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Giro delle Fiandre Da Fiorenzo Magni ad Alberto Bettiol, da Zandegù a Bartoli passando per Tafi, cinque imprese italiane

Marco Castro

Aggiornato 31/03/2023 alle 19:42 GMT+2

GIRO DELLE FIANDRE - La Classica dei Muri e del pavé, nella terra dove il ciclismo è religione. In 105 edizioni sono state 11 le vittorie italiane: abbiamo provato a raccontarvi le cinque più memorabili, dal bianconero del dopoguerra alle imprese a colori degli ultimi anni con la magia di Alberto Bettiol nel 2019.

Alberto Bettiol al Giro delle Fiandre: la vittoria del predestinato raccontata da Magrini e Gregorio

Partiamo da un assunto fondamentale: vincere il Giro delle Fiandre, qualsiasi sia il copione scelto, costituisce un'impresa che consegna al libro mastro del ciclismo. Lì dove lingue di pavè ed erte micidiali decorano una terra che è il volto di questo sport, la Ronde è stata teatro di trionfi colossali e tonfi fragorosi. Al giudizio del Kapelmuur e dei suoi fratelli, tra sfilze di belgi e di altri artisti del pedale, si sono distinti anche nove italiani, capaci di mettere insieme undici successi nelle 105 edizioni in cui questa corsa ha preso il via. Di queste, abbiamo scelto di raccontarvene cinque.
Chi vince il Giro delle Fiandre 2023?

Il tris di Magni, il Leone della Fiandre (1951)

Se scorrete tra i plurivincitori della Ronde, appaiato in cima alla classifica a gente come Achiel Buysse, Eric Leman, Johan Museeuw, Tom Boonen e Fabian Cancellara, troverete il nome di Fiorenzo Magni. Merito di un tris consecutivo (l’unico a riuscirci, tra il 1949 e 1951) che gli valse il soprannome di Leone delle Fiandre. Dei tre successi del favoloso corridore toscano, quello che resta più impresso è l’ultimo. In una giornata da tregenda, tra vento, pioggia e grandine, Magni trascina via un drappello di nove fuggitivi a suon di frustate. A 70 km dalla fine, però, rimane da solo. Nessuno può tenere il ritmo di quel satanasso col dorsale numero 1. Il corridore della Ganna va a velocità doppia rispetto a chiunque e scava un solco incolmabile. Arriva al traguardo di Wetteren dopo 7 ore e 43 minuti, precedendo il più immediato inseguitore (il francese Gauthier) di cinque minuti e mezzo. Tutti gli altri oltre i 10 minuti di ritardo, compreso il gruppetto di agguerriti belgi partiti da Gand con il coltello tra i denti e pronti a tutto per spodestare quell'intruso che da due anni banchettava a casa loro. Ma Magni aveva altri progetti…
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Fiorenzo Magni nel 1951

Credit Foto Eurosport

Dino Zandegù, l'uomo che battè Merckx (1967)

Quel 2 aprile 1967, gli occhi delle Fiandre e del mondo ciclistico sono puntati, tanto per cambiare, su Eddy Merckx. Il Cannibale ha 22 anni e una voglia matta di levarsi di dosso i fantasmi dell’anno precedente, quando all’esordio alla Ronde era stato messo ko da un brutto incidente. La Primavera è iniziata da un pezzo, sulla carta, ma il cielo sopra le Fiandre non è d’accordo. Pioggia, vento e nevischio, con i corridori pronti alla battaglia. Nella Salvarani il capitano unico è ovviamente Felice Gimondi, mentre Zandegù ha un compito speciale: seguire come un’ombra il Cannibale. Un ruolo fondamentale, tanto che il ds Pezzi gli appiccica il numero di Merckx sul guanto. Si parte e Dino esegue il copione, mordendo i tubi di scarico del belga. Eddy spinge e sbuffa alla sua maniera, Zandegù lo bracca, mentre il percorso reso ancor più duro dal clima si dipana sotto le ruote del gruppo. Sul Kapelmuur, Zandegù si sente bene, risponde al forcing di Merckx e va a riprendere i fuggitivi di giornata. Quando restano in tre, lui, Eddy e Forè, ha una pazza idea. Si schioda dalla ruota del Più Forte e piazza la sparata. E qui la sorpresa: Forè risponde, ma Merckx no. Zandegù tira alla morte, sa che Eddy è furente e non è battuto. Ma quegli ultimi chilometri di passione si trasformano in un Inno alla Gioia: Dino vince con il braccio alzato, mentre Forè può solo scortarlo al traguardo da quanto è stremato. Terzo Merckx a 20 secondi. La festa sul palco è straordinaria quanto la gara. Zandegù intona O Sole Mio per i minatori italiani accorsi alla gara. Che grande, Dino da Rubano.
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Dino Zandegù vince il Giro delle Fiandre 1967

Credit Foto Eurosport

La prima Monumento di Michele Bartoli (1996)

Decade decisamente luminosa l’ultima del XX secolo per i nostri colori al Fiandre. Perché dopo la zampata in tricolore di Moreno Argentin (1990) e il morso di Gianni Bugno (1994), tocca a Michele Bartoli, nella Primavera del 1996, iscrivere il proprio nome nell’albo d’oro della Ronde. E in un modo assolutamente delizioso, come tale è stata la carriera di un barone delle gare di un giorno. È sul Kapelmuur che la stella di Bartoli esplode definitivamente. Il toscano approccia il tratto in pavè del celebre muro tirando il gruppetto dei migliori insieme a Tchmil, con il campione uscente Museeuw già in affanno. Ma a metà strappo sprigiona tutti i suoi cavalli, masticando il pavè sotto le ruote in piega continua mentre gli avversari sembrano incollati alla strada. Bartoli scollina con una manciata di secondi, che sono già un buon investimento per come sono messi gli avversari dopo 250 km. Bartoli va, Bartoli spinge, a testa bassa e denti stretti in quei 15 km scarsi che lo separano dal traguardo di Meerbeke. Si beve anche l’ultimo muro di giornata, il Bosberg, dove il francese Brochard tenta invano di rientrare su di lui. Affrontata l’ultima curva, Michele si gira un’ultima volta, perché quello che sta per realizzare è fatto della materia dei sogni e lui vuole essere sicuro di essere ben sveglio. È fatta. Segno della croce e braccia al cielo, Bartoli si aggiudica la prima delle sue cinque Monumento in carriera con quasi un minuto sulla concorrenza.
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Michele Bartoli vince il Fiandre 1996

Credit Foto Eurosport

La perla finale di Tafi (2002)

Da un superbo classicista a un altro. Il millennio è cambiato, ma il periodo è ancora d’oro per noi e questo per merito (anche) di un altro toscano: Andrea Tafi. Professionista dal 1987, con la personale bacheca già adorna di un Giro di Lombardia e di una Parigi-Roubaix, il corridore della Mapei sceglie lo scenario migliore per regalarsi l’ultima vittoria da professionista, alla soglia dei 36 anni. E dire che quel giorno, gli uomini designati nella sua squadra sono Paolo Bettini e Daniele Nardello. Ma il Fiandre non accetta copioni già scritti. Il primo vero scossone arriva sul Vecchio Kwaremont, che riduce il gruppo dei migliori a una ventina di unità, compresi tutti i favoriti. A 65 km dal traguardo, sul Paterberg, Tafone si tira giù l’elmetto e dà una sgasata. Si ripete sul Taienberg e mentre Bettini e Bartoli cedono, con lui restano in sette, che dopo il Kapelmuur diventano quattro: ci sono il compagno di squadra Nardello, i grandi belgi Museeuw e Van Petegem, l’americano Hincapie. Il Bosberg non fa selezione, serve una volata o un’azione da finisseur per decretare il vincitore del Fiandre numero 86. I tentativi si sprecano. Prima Museeuw, poi Van Petegem che, favorito dalle moto, guadagna qualcosa. Ma rientrano tutti. Tafi sbuffa in fondo al gruppetto, poi, a 4 km dalla fine, piazza la stilettata. Sulla destra della strada, il toscano guadagna 50 metri. Van Petegem si lancia all’inseguimento, poi si gira perché non ne ha più. Nessuno ne ha più, tranne lui, Tafone. Quella maglia arcobaleno si fa sempre più piccola all’orizzonte degli inseguitori. A 300 metri dal traguardo, Tafi si lascia andare. Ce l’ha fatta. Baci a destra e sinistra, poi le braccia al cielo. Ad oggi resta l’unico italiano ad aver vinto in carriera sia il Fiandre che la Roubaix.
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Andrea Tafi sul Grammont

Credit Foto Eurosport

L’ultimo eroe: Alberto Bettiol (2019)

Riavvolgiamo il nastro di 48 mesi e torniamo alla quart'ultima traccia: Giro delle Fiandre 2019. E la storia d’amore tra la Ronde e il nostro Paese sboccia di nuovo a 12 anni dal successo di Alessandro Ballan. Merito di un altro toscano (e ormai non fa più notizia) che veste il rosa Education First: Alberto Bettiol. Che già alla Sanremo ci aveva provato, prima di diventare grande sulle strade fiamminghe. “Un’edizione indecifrabile” annuncia Matteo Trentin alla vigilia e così è: tanti pezzi da 90 e nessun favorito netto. La corsa è come sempre una balera di emozioni. Cadute, attacchi, ritiri, fughe. Ma è al terzo passaggio sul Vecchio Kwaremont che si decide tutto. Bettiol premia il lavoro della sua squadra e attacca con decisione. Nessuno gli resiste, a partire da Van Avermaet che guida l’inseguimento. Alberto riprende in un amen gli ultimi due fuggitivi e a 18 km dal traguardo è un uomo solo al comando, tra due ali di bandiere giallonere. Dieci secondi che diventano quindici e poi venti. C’è il Paterberg a fare da spauracchio, ma l’ultimo muro non è un problema per lui. Poi la discesa. Dietro si dannano l’anima a turno per rientrare sulla testa. Il primo è Mathieu van der Poel, l’ultimo Kasper Asgreen. Ma non ce n’è per nessuno. Alla flamme rouge, Bettiol ha già il Fiandre in tasca. E quel benedetto rettilineo che porta alla gloria si trasforma in un tappeto rosso verso il sacro graal del ciclismo. Il Giro del Fiandre ha il suo nuovo re. E ci sono decisamente gare meno nobili per ottenere la prima vittoria tra i professionisti.

Gli italiani vincitori al Fiandre

Fiorenzo MAGNI1949, 1950, 1951
Dino ZANDEGU'1967
Moreno ARGENTIN1990
Gianni BUGNO1994
Michele BARTOLI1996
Gianluca BORTOLAMI2001
Andrea TAFI2002
Alessandro BALLAN2007
Alberto BETTIOL2019
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Azione straordinaria di Alberto Bettiol: attacca e stacca tutti sul Vecchio Kwaremont

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