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La storia di Asbjørn Hellemose, ciclista danese rimasto senza contratto a 24 anni. "Mollare? Mai"

Carlo Filippo Vardelli

Pubblicato 19/03/2024 alle 13:14 GMT+1

CICLISMO - Il ciclista danese ci ha raccontato la sua storia: dagli inizi nel paese d'origine al sogno World Tour, attraversando un lungo viaggio da Galten all'Italia. Oggi è senza contratto, ma grazie allo Swatt Club ha trovato una nuova dimensione nel gravel. Il suo sogno è tornare a vivere della sua passione: il ciclismo.

Asbjørn Hellemose (credits: Swatt Club)

Credit Foto Eurosport

Quando Lidl-Trek, squadra americana World Tour, ti ha detto che non avresti avuto il contratto per la stagione 2024, hai pensato di mollare? No, mai.
La storia di oggi parte in Danimarca, sulla costa occidentale dal paese. Più precisamente a Galten, un comune situato nella regione dello Jutland Centrale, che alla sua destra guarda verso Copenaghen e alla sua sinistra osserva il Regno Unito. Un posto lontano quasi 1500km dal confine italiano, una distanza immane, ma che sembra niente se a percorrerla è il protagonista di questa storia: Asbjørn Hellemose. Il classe 1999 è uno dei tanti “figli non dichiarati all’anagrafe” di Bjarne Riis, gigantesco padrone del Tour de France 1996 e uomo in grado di incutere timore con la sola potenza dello sguardo. Quella - ancora oggi per certi versi sorprendente - vittoria della Grand Boucle culminata nella supremazia di Hautacam, unita ai successi di Rolf Sørensen, ha letteralmente stappato lo Champagne che in Danimarca riposava da tempo all’interno di una vecchia cantina. Un autentico boom, che nel giro di pochi anni ha permesso ai più piccolini della penisola scandinava di moltiplicarsi e piombare nel World Tour come formiche attorno al cibo.
Asbjørn è uno dei tanti esemplari che si possono trovare nella strada che collega Mads Pedersen ad Albert Withen Philipsen, anche se, più che del Riis ciclista, lui è figlio della seconda vita del nativo di Herning, quella da dirigente sportivo.
“La passione per il ciclismo è nata con la CSC, squadra diretta da Bjarne Riis. Il mio idolo era Ivan Basso, il capitano. L’ho visto sulle strade del Tour de France e anche al Giro di Danimarca, nel 2005. Ogni sera controllavo i suoi risultati. All’età di cinque anni ho iniziato anche io, con la prima bicicletta: prima pedalavo come un matto nel mio quartiere, poi ho allungato il chilometraggio. Indossavo sempre una maglia della CSC. Bjarne Riis è stato come un’apripista per noi, tutti i danesi volevano correre nella sua squadra. Aveva dei ciclisti incredibili: Ivan Basso, Carlos Sastre, i fratelli Schleck, Alberto Contador”.
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Asbjørn Hellemose con la maglia della Trek durante Il Lombardia

Credit Foto Getty Images

Una carriera iniziata proprio nel paese d’origine, la Danimarca
“Da bambino, quando avevo dieci anni, vincevo tantissimo. Durante la pubertà, invece, ho iniziato a faticare: il mio corpo stava cambiando. Nelle stagioni da Allievo e Juniores il fisico è tornato a crescere, ma ero sempre troppo magro. Ricordo che durante le giornate ventose dovevo farmi furbo, altrimenti sarei rimasto indietro.
In Danimarca il sistema del ciclismo è strutturato in classi: pensavo di essere pronto per la classe A, ma inizialmente mi hanno parcheggiato nella B (che è un po’ come la serie B nel calcio). L’impatto è stato abbastanza complicato perché c’erano ciclisti di tutte le età, ma dopo un po’ di pratica sono riuscito a migliorare e ho guadagnato la promozione. Il primo anno è andato piuttosto bene, avevo un bel passo, ma non ero sicuro di avere i numeri per diventare professionista.
Devi sapere che da noi, una volta finito il Liceo, i ragazzi si prendono una pausa per ragionare sul proprio futuro. A 19 anni non sei sicuro di quello che vorrai fare da grande. C’è gente che lavora, gente che viaggia. Io volevo provare a vivere di ciclismo, ma per farlo dovevo emigrare in Italia: il mio fisico da scalatore - oltre 190cm e poco più di 65kg - era più adatto ai vostri percorsi rispetto alla Danimarca”.
Asbjørn decide di mollare la madrepatria per sbarcare nel Belpaese: un viaggio molto lungo, con l’incognita lockdown, completato grazie alla mano protesa del VeloClub Mendrisio.
“Ho scritto a più di 20 squadre per trovare un contratto, ma nessuno mi ha risposto. L’ultima scialuppa era il VeloClub Mendrisio, guidato da Dario Nicoletti e Alfredo Maranesi. Hanno detto: “Se i tuoi numeri sono reali, può essere interessante”. Mi hanno chiesto di partecipare ad una gara, sono andato molto forte e mi hanno preso. In quel momento, ho iniziato a crederci.
Magari sono abbastanza forte per arrivare nei professionisti
Sono arrivato in Italia nel 2020, pochi giorni prima del lockdown. Fin dal primo istante mi sono detto: “Usa questo tempo per crescere come persona”. Quindi, oltre all’allenamento sui rulli, ho iniziato a studiare l’italiano e cercato l’indipendenza dalla famiglia. Ho imparato tante cose sulla mia persona in quel periodo, ma anche sugli italiani: come soffrivano, come ragionavano. Questa cosa mi ha aiutato tantissimo a livello umano.
I miei genitori? All’inizio erano preoccupati, ma per me è stato abbastanza facile. Mi hanno aiutato tantissimo i ragazzi della squadra e Dario Nicoletti: non mi lasciavano mai da solo. In quel periodo ho stretto delle amicizie che mi porterò dietro per tutta la vita”.
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Asbjørn Hellemose (credits: Swatt Club)

Credit Foto Eurosport

Il tempo per Asbjørn scorre velocissimo: si passa dal Giro Under23 a Vincenzo Nibali, passando per la Trek e alcune difficoltà significative
“Con il Mendrisio ho messo insieme qualche risultato importante, e nel giro di poco tempo sono arrivate le prime chiamate al mio procuratore. Alle fine ho scelto di firmare con Trek, qualche mese prima di arrivare quinto al Giro Under23 (dietro ad Ayuso, T.H. Johannessen, Vandenabeele e Gloag, ndr). Vincevo poco con il club, ma ero sempre piazzato nei primi cinque. Avevo grande stabilità”.
Nel settembre del 2021 l’esordio su strada
Trek mi ha mandato al Giro di Sicilia per correre al fianco di un ciclista che ho idolatrato: Vincenzo Nibali. Per me era la “prima assoluta” nei Pro, mentre per lui la prima vittoria con la nuova maglia: un inizio da incorniciare. Purtroppo, però, la situazione si è capovolta molto presto. Subito dopo il covid ho iniziato ad ammalarmi molto spesso, una cosa inusuale per me. Soffrivo continuamente di malanni e la mia crescita ha subito un rallentamento. Non correvo e non miglioravo: in poche parole una stagione da buttare via.
Il mio punto di riferimento era il test sul Mortirolo: nel primo anno con Trek andavo peggio rispetto alla stagione da Under23
Con il passare delle settimane ho capito di dover cambiare qualcosa negli allenamenti: ho iniziato ad aumentare le ore e l’intensità, diventando sempre più forte. Il 2023 è stato l’anno migliore della mia vita: 35watt in più e tre minuti in meno nel test sul Mortirolo, oltre a una serie di record su TrainingPeaks: miglior tempo sul minuto, sui 5 minuti, sui 10 minuti, sui 20 minuti e sull’ora”.
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Asbjorn Hellemose durante il Deutschland Tour 2022

Credit Foto Getty Images

Durante il primo anno con Trek, nei periodi di malattia, hai avuto paura di essere tagliato?
“Sì, perché senza risultati è dura. Due anni scorrono molto velocemente, è difficile trovare il proprio spazio nel World Tour. Trek aveva visto del potenziale in me, ma non riuscivo ad esprimerlo. La pressione cresceva nel mio cervello, mentre il rendimento crollava. Oggi, che sono fuori da tutto, ho capito che mi mancava l’esperienza per affrontare quei momenti”.
Se non sai come uscire dai problemi, senti la pressione
L’anno scorso Trek ha deciso di non rinnovare il contratto ad Asbjørn, lasciandolo di fatto senza squadra
“Verso luglio mi hanno consigliato di cercare un’altra squadra, ma ormai era troppo tardi. La maggior parte dei contratti si firmano in primavera, a volte anche prima, quindi i posti sono limitati. È una battaglia. In più, le squadre, soprattutto quelle “piccole”, pensano ai punti UCI, in modo da rimanere tra le migliori 18, quindi privilegiano i corridori già pronti”.
Hai mai pensato di mollare in quel periodo?
“No, mai. Amo la bici, è stato facile trovare la motivazione per andare avanti e continuare ad allenarmi. Se avessi mollato, probabilmente, avrei perso una parte importante della mia vita. Sono una persona determinata, provo sempre a vedere il lato positivo delle cose, ci credo fino all’ultimo secondo. E poi lavoro tanto”.
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Asbjørn Hellemose al Santa Vall (credits: Swatt Club)

Credit Foto Eurosport

Quest’anno Hellemose correrà per lo Swatt Club, un qualcosa di molto difficile da spiegare a parole. In Italia sarebbe comodo chiamarla “squadra sportiva”, ma in realtà è molto di più. Swatt è soprattutto un modo di pensare e di vivere, quasi uno stato d’animo. È intensità e agonismo, slogan e concretezza, generosità e purezza. Nati nel 2013 dal blog SoloWattaggio, oggi sono una realtà ciclistica che raccoglie tesserati in tutta Italia. Queste le loro parole nel giorno dell’annuncio di Hellemose: “Abbiamo scritto un contratto sopra un post-it e facciamo uno sforzo che al momento è grosso per le nostre dimensioni, ma è dovuto”
“È stato Mattia Gaffuri (ex compagno in Mendrisio, ndr) che mi ha introdotto allo Swatt Club. Loro sono veramente bravi, è un ambiente che mi è piaciuto fin da subito. È diverso rispetto al World Tour, è più libero. Ogni tanto quando ero nei Pro provavo a essere la persona giusta, mentre con i ragazzi di Swatt devo solamente essere me stesso. A loro piace la gente con personalità, ma lasciano grande libertà a tutti. È un bell’ambiente.
Poi, sono stati portavoce di alcune critiche importanti, che condivido. Perché l’Italia non raggiunge più i risultati di un tempo nel ciclismo? Mi piace che l’abbiano detto. Forse bisognerebbe aprire gli orizzonti e guardare all’estero, ai norvegesi, che in questo momento sono il riferimento. Al nord hanno una mentalità più aperta, riescono a trovare le contaminazioni giuste (es: Sci di Fondo, Biathlon). Anche in Danimarca c’è questo mix, e infatti nel mio paese ci sono tanti giovani che vanno forte. L’Italia ha una storia incredibile, seconda solo al Belgio, ma c’è troppo orgoglio. Si pensa più al passato che alla modernità. Anche in Belgio hanno avuto questi problemi, ma ora stanno tornando. Guardate Van Gils e Van Eetvelt”.
Comunque, credo che le cose stiano cambiando. Molti giovani si stanno interessando a podcast come Ciclismo Kompetente (creato da Mattia Gaffuri e Luca Vergallito, ndr), si informano. Da qui a cinque anni l’Italia potrà tornare in alto”.
Non c’è il rischio che la scuola norvegese porti gli atleti allo sfinimento mentale e fisico?
“Sì, questo rischio c’è, ma se ti piace veramente andare in bici devi seguire le metodologie migliori. Non puoi aspettare, perdi tempo e potenziale. Un ragazzo, se vuole, può rimanere comodo e tranquillo, ma non otterrà mai i risultati che servono. Se non lavori duro ci sarà qualcun altro che lo farà al posto tuo. Sagan, per esempio, ha iniziato a vincere presto e ha smesso a 33 anni, ancora giovane.
Poi, ovviamente, ci sono persone che vanno contro a questa teoria, ma lo fanno perché hanno paura. Anche tanti Pro erano della vecchia scuola, ma ora stanno cambiando idea. A me piace questa gente, che ammette di aver sbagliato. In futuro, se commetterò qualche errore, spero di avere la forza per cambiare idea. Mi piacerebbe essere quel tipo di persona”.
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Quali gare farai quest’anno con lo Swatt Club?
“Sulla strada non possiamo fare tanto, quindi insisteremo sul gravel (Traka, Unbound, Stati Uniti, ndr). La componente offroad sta crescendo tantissimo, e dopo la prima vittoria al Santa Vall (gara gravel in Spagna, ndr) ho sentito un grande supporto. Anche parlando con diverse squadre professionistiche ho capito che è il modo giusto per farsi vedere. A me interessa tornare ad essere un Pro e vivere di ciclismo: non voglio nient’altro”.
Cosa c’è nel tuo futuro: strada o gravel?
“Se me l’avessi chiesto due mesi fa, ti avrei risposto strada. Ora dico che dipende dalle opzioni. Tutte le porte sono aperte, vediamo quali offerte arriveranno. L'obiettivo principale è vivere del mio sport.”
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