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Pavé e Velodrome, Inferno e paradiso: la Parigi-Roubaix è la corsa più bella del mondo

Fabio Disingrini

Pubblicato 14/04/2019 alle 07:41 GMT+2

La Milano-Sanremo perché siamo italiani? Il Giro delle Fiandre perché è una corsa sacra? La Liegi-Bastogne-Liegi perché la più antica? Il Lombardia perché ci sono le salite? De gustibus, sono tutte bellissime, però io scelgo la Roubaix perché...

Peter Sagan won the Paris-Roubaix (Michel Spingler/AP)

Credit Foto PA Sport

La Milano-Sanremo è un inno d'amore, è un viaggio verso il mare. Il Giro delle Fiandre è una liturgia laica, è dove batte il cuore del ciclismo. La Liegi-Bastogne-Liegi è la Decana delle classiche e il Giro di Lombardia conserva il fascino, squisitamente malinconico, dell'ultima impresa dell'anno. Io però scelgo la Parigi-Roubaix per un bisogno primario e chiaroscuro di velodromi e pavé, per i suoi splendidi contrasti di antico e moderno, di sacro e profano. Perché la Roubaix, dannata e romantica, è la corsa più amata anche dai corridori.

Pochi italiani, imprese generazionali

Martirio per molti, gloria dei pochi. Ci sono solo nove campioni italiani nella storia centenaria della Regina delle classiche: imprese esclusive che serbano un fascino generazionale. C’è il baffuto pioniere Maurice Garin (1897, 1898) al tramonto del secolo decimonono e c’è un altro “falso francese”, il parmense Jules Rossi (1937), tra le due guerre. Ci sono i Coppi (1949, 1950) perché a Roubaix vinsero entrambi i fratelli: Serse nell’unico ex aequo del ciclismo con André Mahé, e sarebbe un’incredibile storia da raccontare, Fausto l’anno dopo e poi ancora Antonio Bevilacqua (1951). C’è Felice Gimondi (1966) che, come diceva mio nonno, «Vinse tutto nonostante Merckx, anche la Parigi-Roubaix!». C’è il superbo tris di Francesco Moser (1978, 1979, 1980) che tanto piaceva a papà con la maglia di campione del mondo e quella Tricolore. Un mito come quelli degli anni Novanta, dei fratelli maggiori o della nostra giovinezza: il compianto Franco Ballerini (1995 e 1998) con una scritta sul cuore, Merci Roubaix, e Andrea Tafi (1999) innamorato com’è del suo pavé: era l’ultimo Inferno del ventesimo secolo e, vent’anni dopo, non vediamo l’ora di rifinirci dentro.
Andrea Tafi vent'anni dopo il trionfo: "La mia passione infinita per la Parigi-Roubaix"

Pavé e Velodrome: l'essenza del ciclismo

Ci sono due posti in cui vorrei portare la mia bicicletta: al Vigorelli di Milano, ci abito così vicino, e nella Foresta di Arenberg, chissà. I due elementi più opposti del ciclismo, il pavé decadente delle Fiandre francesi e il parquet modulato del velodromo di Roubaix, uniscono antico e moderno in una corsa esistenziale. Ci sono frasi che raccolgono in sé un’essenza identitaria di cui il ciclismo, coi suoi stadi naturali e la passione popolare, non può proprio fare a meno. Certe parole ci dicono che la Roubaix è anche la corsa dannatamente più amata dai corridori, come una magnifica ossessione. Theo De Rooij ha corso solo una volta la Roubaix, stremato e sporco di fango:
Lavori come una bestia e non hai nemmeno il tempo di pisciare, anzi ti pisci addosso mentre pedali e sei coperto di fango. Un vero schifo… È la corsa più bella del mondo. (Theo De Rooij)
Altre sono di Thierry Gouvenou quando parla della Foresta di Arenberg: «Traversando la Trouée, sei così vicino a una miniera di carbone che la fatica diventa simbiotica, se pensi che i minatori conoscono lo sforzo fisico come nessun altro. La stessa sofferenza che, in ambito sportivo, provano i campioni della Roubaix». Gli fa eco Gilbert Duclos-Lassalle che, provandoci e riprovandoci per un decennio, alla fine l’ha vinta due volte: «Non c'è Roubaix senza sacrificio e quando entri nella Foresta, la gente del Nord sa che sei come loro». Pedalare per un giorno sul pavé è l’opera che rende il ciclismo lo sport più vicino a un lavoro. Il lavoro che sognavi da bambino.
Odiamo quel durissimo pavé quando siamo lì nel mezzo, ma appena usciamo dalla Foresta proviamo l'unico desiderio di tornarci un anno dopo. Non c'è posto più merdoso di Arenberg, ma nel senso buono del termine. (Filippo Pozzato)
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Sagan all'ultima Monumento: i momenti chiave del trionfo sulle pietre nel 2018

Gli amici, santi e poeti, della Parigi-Roubaix

Les Amis de Paris-Roubaix sono dei volontari che, di fatto, passano un mese chinati nel fango a curarsi di cubi di porfido, freddi e sporchi. Li puliscono, li aggiustano, li riassettano tra campi di luppolo, patate e barbabietole. Senza di loro, non ci sarebbe la Parigi-Roubaix perché queste strade in pavé eran vecchissime cent’anni fa, e se quella pietra estratta per la premiazione del vincitore avesse un’anima, forse non vorrebbe privarsi mai della carezza pasquale delle bici. Così barocca, così romantica. Così sacra e profana, la Regina delle classiche si nutre dei suoi splendidi contrasti, abita la bellezza, ci fa venire i brividi. A noi che siam patria di scalatori eppure, da Compiègne al Velodrome, non c’è un metro di salita. Siamo un popolo di santi ma qui si va all’Inferno. Siamo un popolo di poeti e c’è una domenica in cui la Roubaix è la cosa più bella del mondo.
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