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Perché così tanti sportivi soffrono d’asma? Froome, salbutamolo e la zona grigia del doping

Luca Stacul

Aggiornato 14/12/2017 alle 00:20 GMT+1

Analisi sulla diffusione dell'asma nel mondo sportivo partendo da dati e statistiche: un problema in crescita e decisamente preoccupante.

Uno sportivo affetto da asma

Credit Foto Getty Images

Chris Froome e i valori alterati di salbutamolo: la notizia ha scatenato nuovamente le polemiche sul doping nel mondo del ciclismo, ma ha anche stimolato una domanda che molti tifosi si fanno: perché ci sono così tanti sportivi che soffrono d’asma?
E poi, se la percentuale degli asmatici tra gli sportivi fosse davvero superiore, esiste una causa che lo giustifica o si tratta solamente di una scusa per poter utilizzare il ventolin e ossigenare meglio il sangue sotto sforzo?

Le statistiche: negli sport faticosi l’asma è più probabile

Partiamo dai numeri: l’incidenza dell’asma sulla popolazione mondiale è in costante crescita – prevalentemente a causa dell’inquinamento – e ad esempio negli Stati Uniti e in Inghilterra sta raggiungendo la soglia del 10% della popolazione, mentre in Italia siamo leggermente sotto il 5%. A livello mondiale la percentuale si attesta intorno al 4,5% (dati da “The Global Ashtma Report 2014”).
Tra gli atleti olimpici i numeri sono leggermente più alti: già nel 2012 uno studio della University of Western Australia evidenziava come gli atleti asmatici presenti ai Giochi fossero l’8% del totale, ma il dato più evidente riguarda i picchi relativi a determinate discipline sportive: su nuoto, ciclismo, triathlon e sci di fondo si arriva al 15-20% dei casi.

Perché esiste quest’incremento? Il caso dell’EIA

Il motivo di quest’incremento statistico sugli sport di maggior fatica viene spiegato da uno studio dello specialista inglese John Dickinson per la Kent University, che nel 2014 testando un gran numero di atleti britannici ha scoperto che gli sportivi – oltre all’asma di natura allergica – possono soffrire anche di una tipologia d’asma causata proprio dagli allenamenti intensi e quindi dalla respirazione rapida sotto sforzo (EIA, exercise-induced asthma). Il tutto sarebbe accentuato anche dal cloro nel caso degli sport acquatici e dal freddo e dall’aria rarefatta per gli sport all’aperto in montagna.
In ogni caso lo stesso Dickinson evidenzia come la materia studiata sia “una zona grigia; non tutti gli pneumologi la vedono alla stessa maniera”.
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Miguel Indurain

Credit Foto Imago

L’asma, una malattia difficile da diagnosticare… ma fa vincere?

Un altro problema per completare un’analisi precisa è legato al fatto che l’asma è difficile da diagnosticare. I test allergologici possono individuare con sicurezza l’asma allergica, ma per tutte le altre tipologie il test della metacolina è il metodo più affidabile; una positività al test, però, non costituisce di per sé una prova della malattia, perché un’ipersensibilità bronchiale può avere anche cause diverse dall’asma.
L’asma inoltre è una malattia che ha soglie e sintomi molto soggettivi, quindi a livello di controlli anti-doping è davvero complicato settare un limite che sia egualmente efficace per tutti gli atleti.
Tornando a concetti più oggettivi e sportivi, un dato molto chiaro e probabilmente preoccupante evidenzia quanto siano vincenti gli atleti asmatici. A Pechino 2008 nel ciclismo il 17% dei corridori erano asmatici e vinsero il 29% delle medaglie; nel nuoto c’era un 19% di atleti asmatici che conquistò il 33% dei podi. Numeri su cui vale la pena di riflettere, perché il salbutamolo non è certamente comparabile con l’EPO a livello dopante, ma nello sport di altissimo livello che conosciamo oggi anche un piccolossimo dettaglio facilitante può trasformarsi in un vantaggio decisivo.
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