La rivincita di Vincenzo Nibali, la fierezza del campione in carica

I primi quattro successi sono fatti della materia dei sogni e riguardano un progetto bellissimo, un pensiero stupendo nato nella testa e nelle gambe sotto la neve delle Tre Cime di Lavaredo. Quel giorno, il 25 maggio 2013, Vincenzo Nibali vinse il Giro d’Italia trionfando in maglia rosa fra le pendenze assolute delle Dolomiti e un anno fa, il 27 luglio 2014, completò l’impresa in maglia gialla sugli Champs-Élysées, settimo italiano a vincere la Grande Boucle, sesto corridore nella storia a completare la Tripla Corona (Vuelta a España 2010, Giro d’Italia 2012, Tour de France 2014) come Eddy Merckx, Bernard Hinault, Jacques Anquetil, Alberto Contador e Felice Gimondi. Un anno fa, Nibali si librò nel suo volo giallo decollando sul pavé della "Piccola Roubaix”, dopo aver vinto la Piccola Liegi” di Sheffield, per diventare Dantesque. Poi vennero i Vosgi, le Alpi e i Pirenei, Planche des Belles Filles, Chamrousse, Hautacam: La Toussuire è il quinto trenta di Vincenzo all'università del ciclismo, ma un anno dopo è tutto cambiato.

Nella seconda frazione in Zelanda, l'Astana si scompone e Nibali incassa un ventaglio, poi una foratura e cede subito un minuto e mezzo a Froome e Contador. De richesse a la misère, dalle stelle alle stalle, Vincenzo fatica sul Mur de Huy e cade a Le Havre, travolto da una carambola innescata da Tony Martin. A fine settimana, le prime ruote dei leader perse sul Mur de Bretagne e, dopo il giorno di riposo, il crollo sul primo traguardo Hors Catégorie di questa Grande Boucle a Pierre Saint-Martin, prima pirenaica, prima grande salita. Nibali finisce persino fuori dalla top-ten della classifica generale e piovono critiche da parte di chi ha la memoria corta. Non bastasse, sulle Alpi Vincenzo ci sembra subito rigenerato, ma Valverde lo marca a ruota mentre Quintana fa ugualmente con Contador: logiche di podio e tutte interne alla Movistar, fatto sta che Nibali, causa terzi, non può attaccare una maglia gialla più inattaccata che inattaccabile.

Niente di nuovo sul fronte occidentale, o almeno fino a oggi quando il nostro ricama il suo quinto capolavoro francese con un cuore grande così. E dodici mesi dopo il gusto è diverso, ha il sapore della rivalsa contro critici e detrattori. Contro chi diceva che Nibali ha vinto un Tour de France senza rivali, e contro chi speculava sulla necessità di lasciare la Grande Boucle per fare la Vuelta. E invece Nibali ha scelto di non disertare, di difendere il titolo sulla strada e reagire alla crisi, uscire dalla trincea e conquistare un altro passo alpino. Ha fatto la scelta del campione, e allora bentornato Roi Nibalì, con buona pace di chi aveva già scordato cosa vuol dire vincere al Tour de France.