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Ferrari, cacciare Arrivabene era inevitabile per fare chiarezza. Cosa cambia con Mattia Binotto

Paolo Sala

Aggiornato 08/01/2019 alle 09:19 GMT+1

La rottura fra l'ex uomo Philip Morris ed il responsabile tecnico non poteva che portare a scelte drastiche. Alla fine la proprietà ha deciso di puntare sull'uomo scelto da Marchionne, e ora anche l'Ad Louis Camilleri rischia.

Mattia Binotto, Ferrari, Getty Images

Credit Foto Getty Images

Il Mondiale 2018 si era chiuso con una sensazione chiara: a Maranello c'era disperato bisogno che la proprietà facesse sentire la propria presenza e desse segnali forti dopo l'emergere di disarmanti dinamiche interne al team nel finale di stagione. Il segnale forte è arrivato con la defenestrazione di Maurizio Arrivabene e la promozione a Team Principal di Mattia Binotto, 'papà' delle ultime due rosse e a suo tempo riporto diretto di Sergio Marchionne, che ne aveva personalmente seguito e incoraggiato la crescita all'interno della Gestione Sportiva. Una scelta inevitabile viste le tensioni fra i due e la necessità di riportare gli uomini del team a remare tutti nella medesima direzione.

La rottura fra Monza e Suzuka

Le crescenti tensioni fra i due uomini forti di Maranello erano deflagrate nell'ultima parte del Mondiale 2018, fra il Gp d'Italia a Monza e quello del Giappone a Suzuka. In Brianza la squadra era rimasta sconcertata da come Arrivabene (non) aveva gestito la questione contrattuale di Raikkonen e la partenza del Gp, creando le premesse per uno dei più clamorosi hara-kiri della storia motoristica recente. Nel Sol Levante era andata anche peggio, con gli errori della squadra nella scelta delle gomme in qualifica ed il Team Principal livido a cercare un colpevole in diretta tv. Sembrava che l'improvvisa scomparsa di Marchionne dopo il Gp di Germania avesse lasciato la squadra senza una guida, ed in effetti era così.

Mancanza di fiducia

E quando i rapporti prendono quel tipo di piega, viene a mancare uno degli ingredienti fondamentali per il lavoro di squadra: la fiducia reciproca. Da Monza in avanti, nel reparto tecnico, è cominciata a serpeggiare una certa sfiducia nei confronti di Sebastian Vettel e per la gestione dei due piloti da parte di Arrivabene. Il quale, a sua volta, ha iniziato proprio con l'autunno a scaricare le colpe sulla macchina e sul "capo" degli ingegneri, accusando uno stop nello sviluppo con una sovraesposizione mediatica che aveva indispettito i piani alti. Ed è stato probabilmente quello l'errore fondamentale. Perché perdere due Mondiali consecutivi con una Ferrari competitiva è già difficile da digerire, ma un Team Principal che attacca la squadra proprio nei momenti in cui sarebbe più importante tutelarla è francamente indifendibile. E a quel punto è stato naturale scegliere di promuovere Binotto, sul quale peraltro aleggiavano già le offerte di Mercedes e Renault. Perché il Mondiale 2019 è già alle porte, e aspettare ancora per fare definitivamente chiarezza riguardo gli equilibri interni del team sarebbe potuto risultare fatale.

Vettel 'scoperto'

Come accennato, episodi come la mancata gestione di Raikkonen e Vettel al via di Monza (similmente a quanto era accaduto nel 2017 a Singapore) hanno pesato sul fallimento mondiale quasi quanto gli sbagli in serie del quattro volte iridato. Il quale, senza più Arrivabene, potrebbe trovarsi in una posizione più scomoda. Perché se l'ex Team Principal intendeva far capire al nuovo arrivato Charles Leclerc che per il primo anno avrebbe potuto e dovuto accontentarsi di fare da scudiero al tedesco, Binotto presumibilmente considererà i due piloti alla pari fin da subito.
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Sebastian Vettel, Maurizio Arrivabene

Credit Foto Getty Images

Binotto e la scalata a Maranello

A soli 49 anni, Mattia Binotto ha praticamente scalato tutte le posizioni all'interno del team. Nel 1995 entrò come ingegnere motorista nella squadra test, due anni dopo nella squadra corse, partecipando ai trionfi dell'era Schumacher. Nel 2009 fu nominato responsabile generale delle operazioni motore e Kers con Paolo Martinelli, poi vicedirettore motore ed elettronica con Luca Marmorini e infine nuovo direttore del reparto power unit nel 2014, per volontà di Sergio Marchionne. Il manager italo-canadese lo aveva scelto come dirigente di riferimento e referente personale, convinto dalla svolta tecnica che Binotto era riuscito a dare nel 2015 (tre vittorie) rispetto alla deludente stagione precedente. Nel 2016 la decisione di promuoverlo direttore tecnico dopo l' allontanamento dell'inglese James Allison. Binotto al timone, nelle ultime due annate, è andata in scena la rivoluzione che Marchionne aveva pianificato a Maranello. Con un sistema di organizzazione "orizzontale" basato sulla valorizzazione degli ingegneri di seconda fascia, soprattutto italiani. Due su tutti: Enrico Cardile e Corrado Iotti.

Futuro

Se sul piano tecnico e organizzativo le capacità di Binotto lasciano pochi dubbi, ed è presumibile che possa proseguire la valorizzazione delle competenze interne magari proprio a partire dal nuovo responsabile tecnico. Andrà invece valutato il suo impatto politico, in un momento storico in cui i team di Formula 1 sono impegnati nella trattativa con Liberty Media per definire le regole tecniche del futuro. Ma a questo livello dovrà essere soprattutto l'amministratore delegato Louis Camilleri a imporsi nelle trattative sul rinnovo del Patto della Concordia. E anche in questo senso la proprietà potrebbe avere in serbo delle sorprese.
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