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10 anni senza Marco Simoncelli, il papà Paolo: "Sono arrabbiato con Dio. L'ho detto anche al Papa"

Stefano Dolci

Pubblicato 24/10/2021 alle 00:26 GMT+2

MOTOGP - Nel decennale della morte del figlio Marco, Paolo Simoncelli in un'intervista esclusiva a Sky Sport ricorda il figlio e racconta un toccante aneddoto: "Sono arrabbiato con il capo. Sono veramente arrabbiato, l’ho detto anche al Papa quando con la Federazione andammo a Roma. Gli presi il crocifisso e dissi: ' sono inca**ato con questo qui'. Lui mi dette ragione e mi abbracciò. Fu bello".

Carmelo Ezpeleta e Paolo Simoncelli svelano la Quercia per il Sic, Foto Marzio Bondi

Credit Foto Other Agency

Dieci anni senza Marco Simoncelli. Due lustri senza l’anima pura del motociclismo, il guerriero coi riccioli che si è spento in un incidente assurdo a Sepang ed è entrato nel mito diventando una leggenda assoluta della velocità. Misano lo ha ricordato piantando una quercia, così simile ai suoi capelli crespi sulla curva omonimo del tracciato che dal 2009 porta il suo nome, Paolo Simoncelli – il papà del sic- invece in un’intervista a Sky non nasconde a distanza di tempo un po’ di rabbia per quanto successo in quella mattinata malese che sarà ricordata come una delle giornate più tristi del motomondiale. Una rabbia esternata anche qualche tempo fa in un incontro con Papa Bergoglio.
"Sono arrabbiato con il capo. Sono veramente arrabbiato, l’ho detto anche al Papa. Quando siamo andati a fare la visita a Roma con la Federazione italiana, ho preso il crocifisso che Bergoglio aveva al collo e gli ho detto: ‘Io sono molto inca**ato con questo qui’. Lui ha detto che avevo ragione. Non mi aspettavo che il Papa fosse così, veramente una brava persona. Siamo rimasti soli con lui qualche minuto e io l’ho abbracciato. Ti garantisco che tutti gli altri intanto avevano le mani nei capelli, ma a me non frega un cavolo, mi sentivo attratto da lui. Il Papa ha ricambiato il mio abbraccio. Prima di andare via mi ha chiamato e mi ha dato un altro abbraccio. È stato bello. Marco era un ragazzo che abbracciava, a me questa cosa è rimasta tutt’ora, mi piace tanto. Io nel mio giardino ho piantato una quercia grandissima, secondo me Marco quando lo abbracciavi dava la sensazione di una grande quercia, una sensazione di forza, sentivi che ti potevi fidare, era qualcosa di bello”.

"Non ho rimpianti ma non credevo mai potesse morire in pista"

"Non ho mai pensato che potesse morire. Ho sempre pensato magari a un incidente, a un’invalidità, ho pensato che sarebbe potuto rimanere sulla sedia a rotelle, ma mai che potesse morire. Quella sensazione di morte l’ho avuta soltanto quando sono entrato in pista il giorno della sua scomparsa. È stato veramente terribile. Quell’asciugamano alla rovescia sulla testa di Marco è l’unico rimpianto della nostra vita, della mia vita. Quello stesso giorno, sono arrivato nel box con quell’asciugamano e l’ho posato dove facevo di solito, ma mi è caduto tutto per terra. Allora ho preso il motorino per andare lungo la pista per vedere la gara: appena ho varcato il cancello, mi è arrivato addosso un vento gelato che sapeva di morte, lo giuro. Una sensazione proprio di morte, al punto che mi sono detto ‘Devo andare a fermare Marco’. Mancava un minuto all’inizio della gara, ormai non c’era più tempo, il mio motorino non andava bene… Quei cinque minuti lì sono stati terribili. Non ho rimpianti, io e mia moglie rifaremmo tutto, ma quell’asciugamano che non ho voluto girare per non disturbarlo ce l’ho nella mente. Rifaremmo comunque tutto perché Marco era felice, era un ragazzo veramente felice”.

"Valentino era il suo idolo, con Dovizioso..."

"Marco impazziva per Valentino Rossi. Nel 1996 abbiamo iniziato a fare le minimoto, quando Valentino correva si interrompeva tutto per andare a vedere le sue gare. Al termine delle gare, si ritrovavano nel motorhome di Rossi, era una prassi ormai. Quando Valentino si è fatto male, Marco lo andava a trovare perché gli faceva piacere stare insieme, si raccontavano tante cose. Perché non andava d’accordo con Dovizioso? Perché erano rivali e perché erano entrambi forti. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata a Spoleto, in una finale del campionato italiano. C’erano Marco, Dovizioso e Angeloni in fuga. Marco scivola al tornantino e trascina giù anche Andrea, mentre cade prova a prendere per la tuta anche Angeloni. Finita la gara, Marco torna verso di me piangendo: senza dirmi niente, era già andato da Dovizioso a chiedere scusa, Andrea gli ha risposto che le scuse non bastavano. A quel punto gli ho detto: ‘Basta Marco, a questo punto è guerra’. Questa era una caratteristica di Dovizioso e anche di Pasini: quando erano messi male in gara o avevano qualche difficoltà, era sufficiente che Marco li superasse e si riprendevano subito. Una rivalità accesa che era bellissima, che ha generato dei campioni. Voglio bene a Dovizioso, è stato presente dopo la morte di Marco, ogni tanto ci sentiamo e gli dò anche qualche consiglio, pensa dove siamo arrivati”.
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