Olimpiadi: i 10 episodi più controversi, da Ben Johnson ai boicottaggi

Marco Castro

Aggiornato 26/03/2020 alle 09:59 GMT+1

La storia dei Giochi olimpici è costellata di medaglie e grandi imprese ma anche di momenti bui che hanno segnato le vicende a cinque cerchi in maniera indelebile. Andiamo a vedere quali sono stati i casi più clamorosi.

Ben Johnson in Seoul

Credit Foto Imago

I Giochi olimpici, si sa, rappresentano la massima aspirazione sportiva per la maggior parte degli atleti. C'è chi ha l'obiettivo di vincere il maggior numero di medaglie possibili e chi realizza un sogno già con la partecipazione a una rassegna a cinque cerchi. In 120 anni di storia, le Olimpiadi moderne sono state teatro di imprese memorabili e magnifiche storie da raccontare. Ma non solo. Ci sono stati episodi molto meno nobili, che spesso e volentieri hanno fatto più rumore di una medaglia d'oro. Ve ne riportiamo brevemente alcuni, perchè tutti sarebbe impossibile, nell'elenco sottostante.

Ben Johnson

La gara delle gare, il fulcro di un'intera rassegna olimpica, quella che in assoluto non si può perdere. I 100 metri. Fu così anche a Seoul 1988. Ben Johnson dominò, sverniciando il rivale Carl Lewis e stampando il nuovo record mondiale: 9.79. Una prova di forza impressionante da parte del canadese, che si permise di voltarsi verso sinistra e di esultare ancor prima di tagliare il traguardo. La sua gioia e il valore di quel risultato dureranno un paio di giorni. I risultati del test antidoping rivelarono la positività di Johnson agli steroidi e le controanalisi lo confermarono. L'oro gli venne tolto, così come il trionfo iridato del 1987. La squalifica, di fatto, mise fine alla sua carriera ad alti livelli, nonostante il ritorno nel 1991. Nel corso degli anni a seguire si scoprirà che anche Lewis, il terzo classificato Linford Christie e altri partecipanti a quella finale avevano fatto uso di sostanze proibite. Ecco perchè il giornalista Richard Moore la definì "la gara più sporca di sempre".
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Ben Johnson taglia il traguardo nella finale dei 100 metri a Seoul 1988

Credit Foto Imago

Boicottaggio di Mosca 1980

Nel 1980 i Giochi olimpici si tennero a Mosca, tra il 19 luglio e il 3 agosto. Ma la storia che portò al clamoroso boicottaggio da parte degli Stati Uniti di quella rassegna cominciò sette mesi prima, quando l'Unione Sovietica invase l'Afghanistan. In piena Guerra Fredda, gli Stati Uniti valutarono subito delle azioni di risposta e le imminenti Olimpiadi parvero l’obiettivo adatto da colpire. Con il loro forfait, gli americani furono imitati da altre 61 nazioni (tra cui Giappone e Germania Ovest, mentre l'Italia fu presente). Altri Paesi del blocco occidentale, invece, permisero ai propri atleti di gareggiare ma senza esporre le bandiere nazionali e senza partecipare alla cerimonia d'apertura. Il livello delle competizioni si abbassò per forza di cose e qualcuno definì Mosca 1980 come "Le Olimpiadi dimezzate".
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Gli spalti dello stadio durante una partita di calcio ai Giochi di Mosca

Credit Foto Imago

Boicottaggio di Los Angeles 1984

Quattro anni dopo, la storia si ripetè a parti invertite. La dichiarazione di boicottaggio da parte dell'URSS alle Olimpiadi in terra statunitense arrivò l'8 maggio 1984, a meno di tre mesi dalla cerimonia d'apertura, anche se in precedenza erano arrivati diversi segnali. La motivazione ufficiale furono i "motivi di sicurezza nazionale" imputabili alla Guerra Fredda, ma era chiaro che fosse una risposta allo schiaffo ricevuto nel 1980. Come successo nell'edizione precedente, l'URSS fu seguita nel boicottaggio da altri Paesi, 14 per l'esattezza. Tra questi però, a sorpresa, non ci furono Jugoslavia, Cina e Romania, tutte presenti a Los Angeles. Un'adesione dunque minore, ma che influì in alcune discipline come nuoto e atletica. Da sottolineare che l'Unione Sovietica decise di organizzare una manifestazione parallela: i Giochi dell'Amicizia. Fu la terza edizione di fila con un boicottaggio in atto visto che già nel 1976, a Montreal, 29 paesi diedero forfait come segno di protesta contro la Nuova Zelanda, rea di aver fatto una tournée in Sudafrica in pieno regime di apartheid.
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La cerimonia di apertura a Los Angeles

Credit Foto Getty Images

Musone messo ko dalla giuria

Ancora Los Angeles 1984, con l'italiano Angelo Musone nella semifinale dei pesi massimi. A contendergli un posto all'ultimo atto lo statunitense Henry Tillman. Il pugile campano si scatenò come una furia, scaricando tutti i suoi colpi sull'avversario, per una vittoria che sembrò scritta per quanto era parsa netta. Ai punti, il verdetto disse 3-2 in favore dell'azzurro, un risultato decisamente stretto. Ma secondo le (controverse) regole dell'epoca, il risultato doveva essere confermato da un giury, che rovesciò il verdetto e assegnò un clamoroso 5-0 all'atleta statunitense. Una decisione talmente assurda che anche il pubblico presente scelse di fischiarla. Tillman vincerà poi l'oro mentre Musone dovrà accontentarsi di un bronzo amaro. Un'Olimpiade che diede una certa fama al pugile italiano, ma di certo non per le ragioni che aveva sognato.

Boris the Cheat

Un inganno così clamoroso e sofisticato da meritarsi un soprannome a riguardo. È quanto accadde ai Giochi di Montreal 1976 al pentatleta sovietico Borys Onishchenko. Nel primo incontro di scherma, vinse per una stoccata contro il britannico Adrian Parker. Ma c'era qualcosa in quella sfida che non aveva convinto gli inglesi, i quali invitarono la giuria a controllare con maggiore attenzione il seguente match di Onishenko, contro Jim Fox. Il sovietico vinse ancora, ma in molti notarono che i suoi colpi andavano a segno pur finendo decisamente lontani dal bersaglio. La sua spada fu così confiscata e all'interno del manico fu rinvenuto un rudimentale pulsante che faceva accendere il segnalatore della stoccata "a richiesta". Boris venne squalificato mentre la squadra sovietica si salvò, riuscendo a dimostrare l'estraneità dai fatti. Lui, una volta tornato in patria, fu privato di tutti i suoi allori (tra cui 1 oro e 2 argenti olimpici) e venne dimenticato, anche se leggenda narra che si sia messo a fare il tassista.
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Jim Fox (GBR) protesta con un giudice accusando Boris Onishenko di barare

Credit Foto Eurosport

Marion Jones

A Sydney 2000, la nativa di Los Angeles fu senza dubbio una delle atlete da copertina. Jones vinse cinque medaglie, di cui tre d'oro, diventando una delle sportive più rappresentative dell'intero movimento americano. Ma quegli allori verranno completamente cancellati. Nell'ottobre 2007, l'atleta confessò in lacrime di aver fatto uso di sostanza dopanti fin dal 1999 e di aver mentito in una precedente inchiesta dell'antidoping americana, quella legata allo scandalo dell'industria farmaceutica BALCO. Nella stessa annunciò anche il ritiro. Poco tempo dopo fu costretta a restituire le medaglie di Sydney e le vennero cancellati anche i risultati dei successivi mondiali di Edmonton. Jones dovette anche restituire i premi in denaro ricevuti in quel periodo e fu condannata a svolgere 400 ore di lavori socialmente utili per aver mentito sull'utilizzo di sostanza dopanti.
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Marion Jones entra in tribunale

Credit Foto Allsport

La finale di basket 1972

Sette ori in altrettanze partecipazioni. La nazionale di basket statunitense sembrava non conoscere sconfitta e Monaco 1972 si apprestava a confermare la regola. Ma il tempo dei festeggiamenti durò una manciata di secondi. La sirena della sfida decisiva contro l'URSS era appena suonata e il tabellone recitava 50-49 in favore della nazionale americana, che era stata in svantaggio per tutto l'incontro. Ma William Jones, segretario della FIBA, entrò in campo interrompendo i festeggiamenti dopo che cronometrista aveva fatto notare che il match non fosse davvero finito. Era successo che l'allenatore russo avesse chiesto un timeout (irregolare) e il relativo fischio dell'arbitro fosse arrivato a un secondo dalla fine, sovrapponendosi con quello della sirena finale. Incredibilmente, Jones decretò che i secondi da giocare dovessero essere tre, ripartendo dalla fine dei tiri liberi precedenti. Il gioco riprese con la rimessa da fondo campo da parte sovietica. La palla sorvolò l'area statunitense, dove due difensori si scontrarono e lasciarono libero Alexandr Belov che, commettendo passi, segnò un attimo prima della sirena: 51-50. Polemiche e ricorsi nel post partita furono inutili e gli americani non si presentarono alla cerimonia di premiazione.

Blood in the water

Un altro episodio in cui la storia scaricò tutta la sua tensione in ambito sportivo: parliamo della semifinale di pallanuoto maschile ai Giochi di Melbourne 1956. Quelle Olimpiadi si tennero a dicembre e solo due mesi prima il governo sovietico aveva inviato i carri armati dell’Armata Rossa a bombardare Budapest per reprimere la rivolta del popolo ungherese. Quella partita divenne l'occasione per riscattare l'orgoglio di una Nazione ferita. Il clima già acceso in acqua fu fomentato dai 5000 tifosi magiari presenti sugli spalti. L'Ungheria si involò sul 4-0, ma l'episodio che segnò quel match arrivò a pochi minuti dal termine. Il russo Valentin Prokopov colpì a gioco fermo l'avversario Ervin Zador, provocandogli un taglio sul sopracciglio e la rapida fuoriuscita di sangue dal volto, tingendo di rosso la superficie dell’acqua intorno ai due giocatori. Un'istantanea, catturata dai fotografi presenti, che fece il giro del mondo e che per molti divenne l'emblema della violenza sovietica sul popolo ungherese. Quella partita, invece, fu sospesa e assegnata a tavolino all'Ungheria dopo la reazione inferocita dei tifosi in seguito al gesto di Prokopov. L'Ungheria agguantò così la finale dove vinse l'oro battendo la Yugoslavia.
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La squadra ungherese di pallanuoto a Melbourne 1956

Credit Foto Eurosport

Lo scandalo coreano

Ancora Seul 1988, ancora un finale discutibile. Questa volta i protagonisti furono Park Si-Hun, atleta di casa, e l'americano Roy Jones e il terreno del contendere fu la finale di pugilato dei superwelter. L'andamento del match sembrò oggettivamente a senso unico. Secondo un conteggio non ufficiale, Jones mandò a segno 86 colpi mentre l'avversario appena 32. Ma alla fine, tra lo stupore generale, l'arbitro alzò il braccio di Park, consegnandogli la vittoria per 3-2 ai punti e dunque la medaglia d'oro. Un epilogo talmente clamoroso che perfino lo stesso Park si scusò con il rivale, riconoscendone la superiorità in quell'incontro. Anni dopo, un'investigazione del CIO rivelò che i tre giudici che votarono contro Jones erano stati invitati a cena dagli ufficiali coreani. Da segnalare che già ai quarti Park era stato protagonista di una vittoria sospetta contro l'Italiano Vincenzo Nardiello, che finì in lacrime alla pronuncia di un verdetto.

Bambine cinesi

Stavolta non si trattò di doping, ma anche questo caso fece (molti anni dopo) parecchio discutere. Oggetto della polemica fu Dong Fangxiao, o meglio la sua età. A Sydney 2000, la giovane ginnasta cinese conquistò la medaglia di bronzo nella prova a squadre ma nel 2010 a lei e alla sua Nazionale venne tolto quel risultato. Il motivo? Un'indagine della Federazione Internazionale (la FIG) rivelò che al momento della gara Dong avesse appena 14 anni, mentre il limite minimo consentito per gareggiare era di 16 e lei era stata presentata su tutti i documenti ufficiali come una 17enne. Come conseguenza, Dong perse tutti i risultati ottenuti tra il 1999 e il 2000 e la Federazione cinese fu multata pesantemente. Il fatto curioso fu che l'inchiesta della FIG cominciò quando l'atleta presentò domanda per un impiego nell'organizzazione dei Giochi di Pechino 2008, dichiarando la sua vera data di nascita.
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