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Fontana, Goggia e Moioli, le eroine di PyeongChang simbolo del Girl Power: che inizi la rivoluzione!

Giulia Cicchinè

Aggiornato 01/03/2018 alle 14:37 GMT+1

I tre Ori Olimpici della spedizione azzurra a PyeongChang portano il nome di tre donne: Arianna Fontana, Michela Moioli e Sofia Goggia. Tre ragazze che ancora una volta portano alto il tricolore nel mondo. Eppure spesso è il mondo che si dimentica dello sport delle donne. Ne abbiamo parlato con Elisa di Francisca alla ricerca di una rivoluzione in rosa.

Goggia, Fontana, Moioli - Girl Gold Power

Credit Foto Eurosport

Siam pronti alla morte l’Italia chiamò: SÌ. Quante lacrime di commozione sono scese ascoltando l’inno nazionale Italiano risuonare nella Medal Plaza ai Giochi Olimpici Invernali di PyeongChang?
Non si possono contare. E non si possono nemmeno commentare quelle emozioni che tre atlete su tutte, sono riuscite a trasmetterci in questi 20 giorni.
Arianna, Michela e Sofia. Fontana, Moioli, Goggia. 28, 22 e 25 anni. Tre giovani campionesse, ma prima di tutto tre giovani donne italiane.
Essere una donna in Italia vuol dire aver conquistato dei diritti. Essere un’atleta vuol dire conquistarseli ogni giorno
Chi lo dice è Elisa Di Francisca, campionessa di scherma, fioretto d’oro a Londra 2012 e d’argento a Rio 2016. Con lei, abbiamo chiacchierato sul significato di essere una donna atleta nell’Italia del 2018. Sull’essere delle vincenti, prima nella vita e poi in pedana, per combattere contro un avversario bello tosto chiamato pregiudizio.
Io ho la fortuna di fare uno sport per il quale se faccio risultati vado avanti, quindi vengo convocata per delle gare importanti, se non vinco, non mi spetta niente. Quindi è uno sport meritocratico

Lo sport è donna?

Meritocrazia, dice Elisa Di Francisca. La stessa ricetta che porta gli atleti alle Olimpiadi prima e sulla bocca di tutti poi. Perché diciamocelo: quanti conoscevano Fontana, Goggia e Moioli prima di PyeongChang o prima degli ultimi 2 anni di Coppa del Mondo? E quanti si sono affezionati a queste ragazze di fuoco solo dopo le loro imprese?
Capita per gli uomini, un po’ di più per le donne. Le atlete sono mediaticamente “considerate” solo quando vincono, quando c’è qualcosa di grande che le riguarda o quando, appunto, sono “di tendenza”. Perché? Perché una donna non ha la stessa attenzione riservata ad un uomo? Perché si conosce di più un atleta, e non un’atleta?
Con gli esempi di Arianna Fontana, Michela Moioli e Sofia Goggia in questi Giochi di PyeongChang, c’è l’ennesima conferma di un’Italia sempre più donna in un binomio in cui la donna stessa è sinonimo di vittoria.
Vinciamo sì, perché abbiamo il fisico. Ma abbiamo anche la testa, il cuore, la determinazione. Con le unghie e con i denti, andiamo a prenderci quello che è nostro
Spesso però si tende a categorizzare uno sport: uno è femminile, l’altro è maschile. E spesso se ne fa una questione di fisicità e potenza atletica. È chiaro che il corpo di una donna sia diverso da quello di un uomo ed è altresì noto che quello che permette il fisico maschile, non sarà mai possibile per un corpo femminile.
Questo sminuisce il valore di una performance, di una partita e perché no, di un oro olimpico? Assolutamente no, in teoria.

La legge 91 del 1981: le donne non sono professioniste

A prescindere dai Giochi di PyeongChang, chiusi con 3 ori, lo sport italiano sembra essere sempre più in rosa e spesso sono proprio le donne a portare lustro alla nazione. È quindi un paradosso che proprio in Italia, una legge non permetta alle atlete di sentirsi pienamente tali. La legge 91 del 1981, che regola i rapporti tra società e atleti professionisti, non tiene conto delle donne e nemmeno di uomini praticanti determinati tipi di sport. Ciò vuol dire che Arianna Fontana, Sofia Goggia e Michela Moioli, non sono legalmente “Atlete Professioniste”, anche se ori olimpici.
Sotto quest’etichetta, c’è il non avere un contratto, pensione, TFR né tantomeno delle tutele basilari che spetterebbero ad un professionista di ogni settore.
Il tempo dedicato all’attività sportiva, è pari a quello di atleti professionisti. Non è quindi assolutamente giusto privare gli atleti e le atlete, di qualunque sport, di uno status che spetta loro. È tempo di cambiare le cose
A mettere una grande pezza sul futuro degli atleti e delle atlete del nostro paese, ci pensano i corpi statali che permettono agli atleti più promettenti di poter svolgere il loro mestiere nel migliore dei modi.

Cosa sono le Armi e come funzionano

Sono entrata il Polizia nel 2005 e per me è stata una manna dal cielo. Avevo finalmente uno stipendio che mi permettesse di coltivare la mia passione, che era diventata ormai sempre più un lavoro. La scherma non è uno sport super pagato eppure ha i suoi costi importanti da sostenere. Se non hai sponsor e se non vinci, non riesci a sostenere le spese della scherma. Una lama costa circa 90 euro e si può rompere ogni settimana, per non dire anche ogni giorno. Senza contare le gare, le trasferte, la divisa. La scherma è uno sport che costa e non è l’unico
Quanto costa il Biathlon  - Wierer
Ma come si può entrare in un’arma e cosa vuol dire far parte di un gruppo che crede veramente in te come atleta?
Semplice: Se un atleta raggiunge risultati, entra nell’Arma. Chiaramente non prendono tutti, ma ci sono dei parametri sia per gli atleti che per i non atleti. Si deve superare un concorso o, nel caso degli atleti, si guardano curriculum e risultati. Se vieni preso e non fai risultati, devi comunque lavorare nell’Arma. Nel mio caso, diventi agente di polizia a tutti gli effetti

E la maternità?

Fino a dicembre per le atlete, considerate appunto dilettanti, non era nemmeno prevista la maternità. Ciò voleva dire che un’atleta intenzionata a diventare madre, avrebbe dovuto mettere da parte la sua carriera. A dicembre però, è stata approvata la legge in finanziaria che prevede un fondo per le donne atlete che rimangono incinte. Elisa Di Francisca, mamma di Ettore, è visibilmente emozionata al ricordo di un grande traguardo raggiunto.
Serve una tutela per tutte le mamme lavoratrici, non solo per le sportive. La maternità un momento importante per una donna e sarebbe giusto che tutte siano più tutelate. Tutte le donne sentono il bisogno di diventare mamme. Non importa in che squadra giochino quelle donne. Se in pedana o in ufficio

Gold Girl Power: far partire la rivoluzione

Dietro la performance sportiva di una donna quindi, c’è molto di più. Dietro una gara, una partita o una stoccata, c’è dell’altro. Confermato da Elisa Di Francisca.
Ogni volta che scendo in pedana combatto molte più cose e cause rispetto a quello che sembra. Io e le altre atlete, combattiamo soprusi, traumi infantili, combattiamo debolezze. Combattiamo ansie e emotività e nel nostro piccolo le facciamo venir fuori. Quando vinciamo, c’è tanto altro dietro una singola medaglia, oltre la fatica fisica
Non che un uomo non sia costretto ad affrontare i propri demoni nella vita e nello sport, ma Elisa Di Francisca ci ha ricordato che per una donna che cresce in una cultura non paritaria, cambiare lo standard sia più complicato. E per questo ogni bambina che sogna in grande, ogni medaglia e ogni piazzamento, può essere un piccolo passo verso la rivoluzione. Girl Power.
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