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Paralimpiadi, Bebe Vio, che carica: "La vittoria è ottenere ciò che vuoi, all'oratorio o alle Olimpi

Davide Bighiani

Aggiornato 07/05/2021 alle 09:21 GMT+2

OLIMPIADI - La campionessa di scherma paralimpico è sempre molto carica: anche in questa intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport traspare tutta la sua voglia di incidere, sia nello sport che fuori dallo sport. "Vorrei diventare una Pancalli senza carrozzina ma con le protesi. Vorrei riuscire a fare i discorsi che fa lui, è la persona più brava del mondo a parlare".

Bebe Vio, che carica: "Sogno un'Olimpiade tutti insieme"

Credit Foto Getty Images

Oro individuale e il bronzo a squadre nel fioretto nelle Paralimpiadi a Rio 2016, ma soprattutto un grandissimo esempio di resilienza e voglia di combattere contro le difficoltà che le vita le ha posto davanti: Bebe Vio torna a parlare e lo fa a 360° su Gazzetta.

I miei riferimenti

"Ho sempre adorato Jury Chechi anche per quello che dice sul talento: che non ne aveva, ma si è allenato tantissimo per crearselo. Poi, facendo scherma, ammiravo e cercavo di imitare Vezzali, Errigo, Trillini e Di Francisca. Ma ancora non conoscevo il mondo paralimpico: a parte che ho avuto la fortuna di incontrare subito Zanardi e Pistorius, più vado avanti più mi rendo conto che i miei veri idoli sono i ragazzi della mia associazione art4sport Onlus, che ancora non hanno vinto niente ma che sanno farti venire il sorriso e la voglia di andare in palestra e spaccare tutto".
"La vittoria è ottenere ciò che vuoi vincere, che sia la gara dell’oratorio o l’Olimpiade, e la condizione da cui parti sono affari tuoi. Se poi non vuoi uscire da quella condizione, è un altro discorso. E vale in ogni ambito della vita"

Rio, il sogno

"Io avevo 5 anni quando ho iniziato a sognarmi i Giochi, che fosse Olimpiade o Paralimpiade non è cambiato molto. Per me tutto era pazzesco. Vincere alla prima Paralimpiade è stato incredibile. L’oro individuale lo volevo a tutti i costi, ma la gara a squadre è stata l’apoteosi, la realizzazione di ciò che per me significa lo sport: un volerci credere tutti insieme. Noi non dovevamo neanche esserci, come squadra eravamo nate da poco: siamo rientrate perché la Russia era stata buttata fuori per doping. Il nostro motto era: non succede, ma se succede… E ho chiuso io, 19enne, anziché la capitana che si è fatta da parte approfittando della “irresponsabilità” mia e della voglia che ho di ribaltare le situazioni. L’umiltà di Loredana Trigilia, che era alla quinta Paralimpiade, è stata un esempio per tutte noi: un mito".
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Mi è servito tantissimo e mi rendo conto di quante persone lui abbia ispirato a fare sport, indipendente dall’avere o no una disabilità. Lui ha stimolato tanta gente non solo a fare sport, ma a fare di più nella vita. È uno che ti incanta".

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"Ne vedo 38: tutti i ragazzi di art4sport. Il sogno di fly2tokyo, il gruppo ristretto a 11, è fare la Paralimpiade assieme. Almeno la metà ci riuscirà. Qualcuno è già sicuro, come Edoardo Giordan: lui non ha ancora fatto i Giochi, eppure ha già ispirato un sacco di ragazzini. Non solo disabili. Significa che stiamo cambiando le regole, la mentalità. E la Paralimpiade è solo l’apoteosi".

Comitato Paralimpico

"Vorrei diventare una Pancalli senza carrozzina ma con le protesi. Vorrei riuscire a fare i discorsi che fa lui, è la persona più brava del mondo a parlare. Dovrò studiare tanto, perché Luca è un avvocato e tante cose già le sa mentre io non conosco questo mondo. Il mio primo desiderio dunque è essere una spugna di Pancalli. Il mio sogno sarebbe riunire tutte le federazioni olimpiche e paralimpiche assieme, tipo quella della scherma: noi siamo stati i primi a farlo, ancora prima di Londra 2012, dando pari opportunità a tutti gli atleti. Il Cip sta già facendo un gran lavoro: Pancalli sta riunendo le varie federazioni per far crescere assieme tutto il mondo paralimpico".
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