Russo: "L'argento olimpico del 2008? Per me era di cartone, non me ne facevo una ragione. Poi mi chiamò il Presidente Napolitano..."

PUGILATO - Clemente Russo racconta la sua vita da pugile e ora da allenatore e ritorna sulle sensazioni di Pechino 2008, quando fu argento dopo un'ingiustizia arbitrale. Sentiva quella medaglia come fasulla, ma qualcosa gli fece cambiare idea. Ora, appesi i guantoni al chiodo, l'obiettivo è di portare avanti il progetto con la squadra femminile delle Fiamme Azzurre.

Clemente Russo

Credit Foto Getty Images

Tuffo nel passato per gazzetta.it con una bella intervista a Clemente Russo, uno dei più iconici pugili dilettanti che l'Italia abbia avuto.
Tanti gli argomenti trattati, si parte ovviamente dal soprannome "Tatanka", che arriva dal film "Balla coi lupi" con Kevin Costner come protagonista: "Nel ‘93 cercavo me stesso in palestra e, se non ci riuscivo, attaccavo a testa bassa. Il maestro Brillantino, al quale va la mia riconoscenza, mi diceva: non fare Tatanka, il bisonte di quel capolavoro".
Il peso massimo di Marcianise si racconta, spiegando come abbia deciso di salire sul ring e di come si sia evoluta la sua carriera: "Si chiama riscatto sociale. La crisi economica noi l’avvertivamo, con le difficoltà di inventarsi un domani. Mamma mi rimproverava: se non studi vai a fare il muratore. Io andai alla Excelsior, scoprii quel mondo, il pugilato, e decisi: ecco cosa farò da grande- [...] È stato faticoso ma entusiasmante. Mi sono portato appresso gli insegnamenti di papà e di mamma, ho gioito e sofferto, ce l’ho fatta ma non è finita. Sono incontentabile e adesso che sono ct delle Fiamme Azzurre spero di diventare il Maestro più bravo che esista, con il sogno di lanciare nuovi talenti. Qui c’è fermento, qualcosa accadrà".

Nel passato, ovviamente, ci sono le medaglie: "E sono molte di più di quelle che vengono recensite. Le più importanti sono in cassaforte, ovviamente. L'oro più emozionante? Le mie gemelle, per le quali io e mia moglie siamo stati in ansia quando nacquero, al sesto mese e mezzo di gravidanza. Rimasero a lungo in rianimazione ma quando entrarono in casa scoprii cosa significhi la felicità senza limiti".
Si torna poi a Pechino 2008, una grande delusione:
Pechino, finale contro Cakchiev, verdetto tremendamente ingiusto. Sono state tre ore terribili, dopo il match, mi trovavo con quella medaglia per me di cartone (lo so, non avrei dovuto pensarlo) e non riuscivo a farmene una ragione. Realizzai di aver compiuto qualcosa prossimo all'impresa quando il cellulare cominciò ad impazzire ed arrivò anche la telefonata del Presidente della Repubblica (Giorgio Napolitano, ndr). E allora me lo dissi: che ho combinato?
Ci sono rimpianti nella sua carriera? "Neanche uno: ho vissuto come volevo e come potevo. Anche gli errori servono. Sarebbe impensabile essere saggio a 25 anni oppure ritrovarsi cosparso da quell’esperienza che ti arriva solo nel tempo. Ecco, ora sono più consapevole, ma è una banalità e chiunque alla mia età si sente diverso. Mi riconosco un merito: mettere serietà e impegno in tutte le iniziative in cui mi sono lanciato. Però ho portato e tenuto sempre con me, nel bagagliaio della macchina, la borsa per gli allenamenti: la boxe è stato il dovere, il resto il piacere".
Il pugilato ha più risalto quando ci sono gli anni olimpici, perché? "Ogni quattro anni si vive del quarto d’ora di celebrità. Poi cala il sipario e bisogna aspettare. Quando vincevo, il maestro mi chiamava e diceva: Clemé, devo chiudere le porte della palestra, ci sono 80 "criature" che vogliono iscriversi. [...] Negli anni 60, 70, 80 e anche dopo, il richiamo pubblicitario della boxe era nettamente superiore. Adesso, un banner lo vanno a mettere a bordo di un campo di calcio, e ci sta. A quei tempi, un match tirava eccome".

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