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90 anni di Clint Eastwood! Il regista da Oscar che raccontò il trionfo del Sudafrica '95 in Invictus

Davide Bighiani

Aggiornato 31/05/2020 alle 09:49 GMT+2

Il 31 maggio 1930 a San Francisco nasceva Clint Eastwood: attore, regista e produttore. Eastwood ha diretto anche numerosi film di successo che gli sono valsi 5 Oscar, tra le sue pellicole famose anche lo splendido Invictus, dedicato al successo del Sudafrica nella Coppa del Mondo 1995 di Rugby. Una bellissima storia sportiva immortalata in maniera formidabile dalla cinepresa di Eastwood.

Clint Eastwood e la moglie Dina alla prima del Film Invictus

Credit Foto Getty Images

Il 31 maggio 1930 a San Francisco nasceva Clint Eastwood: formidabile attore, regista e produttore cinematografico. Celebre per aver interpretato negli anni '60-70 i capolavori Western di Sergio Leone, Eastwood ha diretto anche numerosi film di successo che gli sono valsi 5 Oscar. Tra le sue pellicole indelebili anche alcune legate allo sport come Invictus, a cui qualche settimana dedicammo un articolo che vi riproponiamo quest'oggi nel giorno del 90° compleanno di questa leggenda del cinema.
1995, Sudafrica: non esattamente “the place to be” in quel momento. Da 40 anni il Paese vive una lotta interna che in altri luoghi del mondo sembra ormai distante anni luci: bianchi contro neri, il 20% della popolazione contro l’80%, solo un miracolo può cambiare la situazione. Quel miracolo ha un nome e un cognome, anzi due nomi visto che Rolihlahla (“colui che provoca guai”) Mandela inizierà essere chiamato Nelson solo dalle scuole elementari; anche se per tutti sarà sempre Madiba...
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Invictus: la copertina del film

Credit Foto Eurosport

Invictus

Dal profondo della notte che mi avvolge,
Nera come un pozzo da un polo all'altro,
Ringrazio qualunque dio esista
Per la mia anima invincibile.
Nella feroce morsa delle circostanze
Non ho arretrato né gridato.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
Il mio capo è sanguinante, ma non chino.
Oltre questo luogo d'ira e lacrime
Incombe il solo Orrore delle ombre,
E ancora la minaccia degli anni
Mi trova e mi troverà senza paura.
Non importa quanto stretto sia il passaggio,
Quanto piena di castighi la vita,
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima.
"Invictus" (Mai sconfitto): nasce tutto da qui, da questa poesia scritta dall'inglese William Ernest Henley, un testo che Nelson Mandela utilizza per lenire gli anni della sua prigionia durante l'apartheid. 27 lunghi anni che avrebbero piegato chiunque ma non qualcuno che dentro di sé non cova rancore ma lascia che siano invece pace, amore e compassione a farsi varco e a riempire il vuoto. Madiba si accorge della forza di queste parole durante i duri anni trascorsi nella cella a Robben Island: ogni volta che legge questi versi per i suoi compagni di sventura cambia l'atmosfera, una luce seppur flebile si accende nei loro occhi. La luce della speranza.
Raccontare un personaggio come quello di Nelson Mandela è una sfida: il romanzo di John Carlin la coglie al balzo, Clint Eastwood rilancia e nel 2009 ci regala un film intenso ma molto comprensibile, passando a Morgan Freeman il compito tutt’altro che facile di entrare nella testa di Madiba. E non poteva essere che lui, per somiglianza fisica e di spirito.

Essere Madiba

"Tempo fa (era il 1994) un giornalista chiese a Madiba: "Se mai qualche attore dovesse impersonificarti, chi vorresti che fosse?" Rispose "Morgan Freeman". Così, quando ho incontrato Madiba per la prima volta, mi dissi onorato per la menzione e anche che se dovevo essere lui avrei dovuto avere accesso alla tua persona, mi serviva guardarlo da vicino, tenergli la mano. Lui mi disse: "Certo". E così è stato: nel corso degli ci siamo incontrati a Monaco, Washington, New York, Memphis e ogni volta ho avuto l'opportunità di stargli accanto e soprattutto osservare e ascoltare. E così quando è capitata l'occasione con "Invictus", avevo già in me molta della sua essenza. Stando al suo fianco ho capito cosa c'era dentro di lui, quanta energia serviva per essere lui, per essere quello che rappresentava. Mandela dentro era molto tranquillo, ma era anche un vero comandante, senza essere prorompente. Quando entrava in una stanza non entrava come Nelson Mandela, ma come Madiba; non si prendeva tutta la stanza per sé. Ricordo che un giorno, sapendo che il figlio di una guardia era stato malato, gli chiese: "Oggi come sta il tuo bambino, sta meglio?". Lui era così. (Morgan Freeman)
Madiba è appena diventato presidente e sa che per avviare un processo di riconciliazione nazionale e lasciarsi alle spalle le brutture dell'apartheid deve far nascere un sentimento di appartenenza mai esistito prima in Sudafrica. Quel sentimento, per essere dirompente, deve nascere da una discordia: al tempo la squadra di rugby, gli Springboks, è formata da tutti bianchi con un solo giocatore nero. Madiba decide di puntare proprio su questo per riunire la sua Nazione, contro l’opinione di tutti i suoi consiglieri più fidati.
La frase simbolo di Nelson Mandela
Durante il periodo passato in prigione Madiba sviluppò compassione, generosità e dolcezza, ovvero le armi più infettive per ciò che aveva intenzione di fare, liberare il Sudafrica. Lui lo ha detto per anni: "Lo sport ha un gran potere, quello di cambiare il mondo". Questo fu il vero input del film. (Morgan Freeman)
Il resto è storia, ma per davvero: Mandela si informa, studia il gioco del rugby, incontra la squadra - 25 su 26 bianchi afrikaneer – e chiede a Pienaar (Matt Damon nel film) e compagni di mandare a memoria Nkosi Sikelele, l’inno nazionale per la popolazione nera in lingua Xhosa. Il capitano prima, la squadra poi raccolgono il testimone e quando il gruppo fa visita a Robben Island sente risuonare nelle proprie orecchie le parole della poesia preferita di Mandela (“Invictus”, appunto), capendo l'assoluto non-sense di quella divisione che ha falcidiato per anni il loro Paese in un mondo che sta cambiando, anzi è già cambiato.

Una famiglia di 42 milioni di persone

Quando il 24 giugno 1995, nel giorno della finalissima del campionato del mondo Nelson Mandela si presenta all’Ellis Park di Johannesburg con il capellino e la maglia della Nazionale, tutti capiscono che qualcosa è cambiato.
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Nelson Mandela consegna la Coppa del mondo di rugby a Francois Pienaar

Credit Foto Eurosport

Pochi messaggi nella storia dell’umanità sono stati più forti di quell’immagine e dell’accoglienza riservata a Madiba da quello stadio e da quella gente, la sua gente, riunita ormai sotto un’unica bandiera, quella del Sudafrica e sotto il simbolo degli Springboks. L’andamento della partita, così come il rugby all’interno del film, è uno sfondo, un dettaglio che non può che incastrarsi alla perfezione all’interno di questa storia: ai supplementari Joel Stransky con il suo drop in mezzo ai pali fa saltare per aria una nazione intera, il Sudafrica è campione del mondo per la prima volta nella sua storia, alla sua prima partecipazione iridata. Alla consegna del trofeo, ancora una volta Mandela si fa più piccolo di Pieenar e lo ringrazia: “Grazie per tutto quello che avete fatto per il nostro Paese”. La risposta è d’obbligo: “No, signor presidente, grazie a lei per quello che ha fatto per questo Paese”.
Mandela non si sentiva al livello di successo che noi tutti intorno gli attribuivamo. Dentro di lui, nel profondo, sentiva di essere un "fallito", per il fatto che per la sua famiglia non era riuscito a fare il massimo che poteva, visto che aveva dovuto pensare tanto al Sudafrica e alla sua salvezza. (Morgan Freeman)
Missione riuscita, quella del Sudafrica, intendiamo e se come diceva lui "La mia famiglia è composta da 42 milioni di persone" allora forse anche il concetto di fallimento famigliare sarebbe da accantonare...
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"Invictus": la poesia di Nelson Mandela

Credit Foto Eurosport

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