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Post-San Siro

Davide Bighiani

Aggiornato 30/07/2016 alle 15:33 GMT+2

14 novembre 2009 - Striscioni, cori e soprattutto il "gran boato" degli 80mila di San Siro: Italia-Nuova Zelanda è stato anche e soprattutto questo. Gli azzurri perdono 20-6 ma a vincere in questo sabato di novembre è tutto il movimento del rugby. E la pensano così anche i protagonisti...

Italy San Siro New Zealand

Credit Foto Getty Images

E' bello a fine partita sentire dai protagonisti che è stata una festa per il rugby, sport che difficilmente si guadagna un palcoscenico come quello che gli si è profilato in questo strano 14 di novembre. Il calcio non c'è (l'Italia che gioca a Pescara è solo un 'pro forma', impossibile dare un weekend di tregua alle fidanzate dei pallonari), e allora San Siro decide di aprire i propri cancelli alla palla ovale. Un inedito, o quasi. Sicuramente una bella pensata se a fare da 'rivale di turno' della nazionale italiana c'è quella macchina da spettacolo (e da soldi) che rappresentano gli All Blacks. E' bello anche sentire il coach della Nuova Zelanda, Graham Henry, che in conferenza stampa loda lo stadio di San Siro e la sua magnificità. Detto da lui, c'è da fidarsi.
Sono splendidi i cartelloni esposti dal pubblico di San Siro che si immerge splendidamente nel colore del rugby, ma che non dimentica che la Scala è quella del calcio: "Mallett almeno tu mitt'a Cassano" è quello che fa più ridere, senza ombra di dubbio, "A noi l'ovale c'arrimbalza" è scherzoso ma sottolinea la diversità dei due mondi a confronto. L'atmosfera è distesa, come vuole il rugby, ma la partita è agonismo puro e anche tatticismo, questa una caratteristica più calciofila.
Il clima è surreale: l'urlo di San Siro è impressionante, se si chiudono gli occhi si può vedere Marco Van Basten che stoppa la palla a metà campo e punta la porta oppure Zlatan Ibrahimovic snodarsi per mettere giù la sfera. Li riapri e invece vedi Martin Castrogiovanni cercare frontali con gli All Blacks, Sergio Parisse ricacciare fieramente tutti i tentativi avversari, Kaine Robertson involarsi tutto solo prima di capire che l'arbitro ha già fischiato ("E' fuorigioco?", chiede qualcuno...). La partita è facile da interpretare: Italia tutto cuore e supportata benissimo dal pubblico, Nuova Zelanda timida e, chiamata all'ennesimo impegno in poche settimane, molto molto sottotono.
Il finale è da brividi: 10 minuti buoni di fortino All Blacks, una cosa che nessuno alla vigilia si sarebbe mai atteso. Ma come, di solito a difendersi, a fare "catenaccio" (Che brutta parola) non sono gli azzurri? Questa volta San Siro e il suo pubblico impongono una meta. Meritata, strameritata, ma forse l'arbitro Dickinson non è dello stesso parere. La partita finisce. Proteste? Qualcuna, ma soprattutto tanto affetto per i nostri beniamini. E il giro di campo finale è un tripudio di colori e di applausi. In 80mila a tifare rugby: in Italia non era mai successo.
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All Blacks Italy 2009

Credit Foto Getty Images

"Una giornata fantastica", dice Mirco Bergamasco, occhi azzurri penetranti e fisico imponente. "Spero ci possa essere ancora così tanta gente", ribatte il Man of the Match, l'arruffato Castro. Si perde ma si va avanti, anche quando era quasi ovvio poter alzare la voce per le privazioni arbitrali del finale. Ma questo è il rugby. E allora può succedere anche che in zona- mista il sottoscritto faccia da interprete a un divertito Totò Perugini, che risponde alle domande di un collega neozelandese. "We deserve it" (la meritavamo, la meta), "Efforts" (sforzi), gli suggerisco. E poi è il mio turno e gli chiedo se gli sarebbe piaciuto sentire il "ruggito di San Siro": "Caspita, dopo sette mischie era quasi ovvio - fa lui, ridendo sotto la barbetta ispida - però non è il nostro mestiere giudicare l'arbitro. Certo, sarebbe stato bello segnare nel finale, sarebbe stato un giusto premi ai nostri sforzi. E ora sotto con Sud Africa e Samoa, senza alcun timore riverenziale".
Mauro Bergamasco, petto in fuori e faccia alle telecamere parla anche di un'Italia "che poteva vincere la partita" e di un "boato incredibile", ma a lasciare l'amaro in bocca sono le parole di Leonardo Ghiraldini, che incrocio nei meandri di San Siro e subito scatta la domanda. "Più soddisfatto della prestazione o più deluso per quello che poteva essere e non è stato (nemmeno a noi viene di pronunciare la parola vittoria)?". "50% e 50% - ammicca il Ghiro - Siamo soddisfatti ma un po' di rammarico c'è ed è giusto che ci sia. Dimentichiamo e andiamo avanti, ora c'è il Sud Africa (e sospira). Ma quello che non dimenticheremo presto è l'emozioni di giocare a San Siro: ho vissuto sensazioni fantastiche". Ci sono anche i ragazzi neozelandesi nella zona mista imprestata al rugby: ma se gli azzurri possono sorridere, c'è poco di cui andar fieri nella prestazione della Marea Nera, sabato solo poco più che un'ondina. Carter (squalificato e quindi non sgridato da Graham e lo staff) si ferma a fare foto e autografi, McCaw (solo panchina per lui, per rifiatare) accenna un sorriso, gli altri scappano via veloci, scurissimi in volto. Sono proprio Tuttineri. La partita è finita, il post anche, andiamo a casa consci di aver assistito a qualcosa di particolare: quel giorno a San Siro la palla era ovale.
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