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Sei Nazioni 2021: "The Show must go on", ma che tristezza il rugby senza tifosi

Davide Bighiani

Aggiornato 07/02/2021 alle 14:09 GMT+1

SEI NAZIONI – È cominciata l’edizione 2021 del Sei Nazioni di rugby, la prima totalmente senza pubblico da quando è cominciato questo torneo (e da quando esiste la palla ovale). Osservazioni e riflessioni su una realtà davvero molto difficile da digerire.

Italia-Francia, Sei Nazioni 2021

Credit Foto Getty Images

ROMA - Ci può essere rugby senza pubblico? La risposta secca è “no”. E lo dico per esperienza personale, per una volta. Ma naturalmente va motivata e messa sul piatto per una riflessione più ampia.
“Il grande Rugby è tornato”: l’ho detto in onda ma lo pensavo solo a metà, conscio che il surrogato di sport che siamo costretti a farci andare bene in questo (lungo, troppo lungo) periodo è appunto solamente una lontana idea di quello che consideravamo il nostro hobby preferito (per taluni anche lavoro). E, secondo me, per il rugby questa massima vale due, tre volte perché ci sono poche cose come il famoso “pubblico del rugby” che possano trasmettere emozioni, soprattutto positive, ai propri idoli sul campo, che queste sensazioni le immagazzinano e a loro volta le trasformano in energia e voglia di prevalere sull’avversario.
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Italia, un lampo di orgoglio: la meta di Sperandio

E allora, siccome la partita non l’avete potuta vedere se non dai nostri canali – Dmax, Discovery+ ed Eurosport Player –vi racconto come l’ho vissuta io.
Stadio Olimpico di Roma. Ore 15.15. Italia-Francia, prima partita del Sei Nazioni 2021. Spettatori presenti: zero. Fatti salvi giornalisti e alcuni ospiti degli sponsor, i quali però non fanno parte di quella parte di tifo che si esalta e strepita in caso di meta. E lo fa anche quando le mete, come spesso succede nel caso della nostra Italia, non giungono copiose.
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Italia-Francia, Sei Nazioni 2021

Credit Foto Getty Images

No, niente, nada, niet. Facendo un passo indietro, anche l’avvicinamento allo stadio è sinistramente tranquillo. A Roma è già sbocciata la Primavera, se non l’estate, ma questa volta niente massa festante di gente (più o meno grossa) che non vede l’ora di far festa insieme a tutti gli altri appassionati di rugby che 2/3 volte l’anno si ritrovano a Roma, arrivando da ogni parte del Paese (ma soprattutto dal Triveneto!). Nessuno si aspetta che l’Italia vinca tutte le proprie partite - anche se una ogni tanto farebbe piacere, onestamente -. L’Italrugby è un pretesto per unire le masse, e questo basta e avanza.
“Io conosco gruppi di persone, ex colleghi, ex compagni di università – mi racconta il vate Antonio Raimondi – che, pur non essendo rugbisti o super-malati dello sport, si riuniscono a Roma da varie parti d’Italia in occasione delle partite del Sei Nazioni. Semplicemente perché a loro piace il clima che si crea in queste circostanze”. Come dargli torto.
Il periodo però – giustamente – impone morigeratezza e non ci resta che commentare in maniera oggettiva ciò che succede in occasione della partita e intorno ad essa. Ovvero, esattamente niente. Sì perché se prima una sconfitta azzurra la si dimenticava abbastanza facilmente, tra una birra e l’altra nel post partita e qualche sfottò “cucchiaioso”, ora il boccone risulta davvero indigesto da mandare giù.
Il 50-10 (come erroneamente annunciato dal buon speaker a fine match) – forse meglio 10-50 – ci restituisce un quadro davvero desolante, in tutto e per tutto. Dai due inni, cantati comunque a squarciagola ma senza la carica emotiva che ti arriva dirattemente dalle vibrazioni delle tribune, al fischio finale le uniche interruzioni arrivavano dalle urla degli allenatori, dei vice e dei giocatori stessi, che le prendono e le danno (quando succede si sente per davvero da bordo campo). E nei 6 minuti a inizio ripresa in cui gli azzurri subiscono tre mete una dietro l’altra, non c’è nemmeno nessuno che possa rincuorarli.

Chapeau a Galthié

E allora “Chapeau” al ct francese Fabien Galthié che al termine della scorribanda francese in quel di Roma (sette mete a una) dedica la vittoria a chi non può esserci e a chi non può ancora scendere in campo, per le limitazioni causate dal Covid.
Continueremo a giocare per quello che al momento non possono farlo e per i bambini che devono sempre stare a casa. Grazie a tutti in nostri tifosi, stiamo cercando di lavorare al massimo per far sì che loro si possano divertire anche a distanza.

Scozia corsara a Twickenham

E poi succede che nella partita successiva, quella della storia, tra Inghilterra e Scozia – 150 anni fa la prima partita ufficiale della palla ovale proprio tra queste due Nazionali – esca un risultato imprevisto ed imprevedibile: gli scozzesi si impongono per 11-6 a Twickenham per la prima volta dal 1983. “E non possono nemmeno festeggiare...” il commento sarcastico di Antonio Raimondi. E la sensazione che senza pubblico - il nostro argomento di discussione - il fattore campo cominci a diventare un optional continua a girarmi sempre più nella testa.
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La Scozia vince a Twickenham 38 anni dopo: la festa con la Calcutta Cup

E dunque ha senso giocare a rugby senza pubblico? Ovviamente, al termine del ragionamento, la risposta più assenata diventa “”, per un milione di ragioni: soldi, in primis, perché questo mondo ne ha persi e ne sta perdendo già abbastanza, interessi, macchine che si muovono, perché tutto riparte, perché la gente comunque ha sete di rugby, anche limitato, anche a distanza. Perché, perché, perché... “The Show must go on”, lo sappiamo. Ma è molto molto dura.
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Sei Nazioni 2021, Italia-Francia 10-50: gli highlights

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