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Errori + All Blacks = batosta. La lezione della Nuova Zelanda può e deve far crescere l’Italia

Davide Bighiani

Aggiornato 25/11/2018 alle 09:04 GMT+1

La sconfitta di Roma è stata netta e perentoria: 10 mete dei Tuttineri contro le zero azzurre dimostrano che la strada da fare per l’alto livello è ancora lunga e che prima di tutto queste partite vanno affrontate in maniera diversa. Una lezione in vista della prossima puntata, che andrà in onda nella Coppa del Mondo 2019: in quell'occasione dovrà essere un'Italia diversa.

Focus rugby

Credit Foto Eurosport

L’Italia ha provato a fronteggiare gli All Blacks ma quello che hanno messo sul campo all’Olimpico non è bastato. Non è bastato per evitare una sconfitta più che annunciata e nemmeno per una (altrettanto sgradita) sconfitta onorevole. La spiegazione più semplice è che la Nuova Zelanda è troppo più forte dell’Italia, e con questo già si darebbe risposta alla maggior parte delle domande. Se poi si vuole andare più in profondità, bisogna ammettere che l’approccio degli azzurri a questa partita non è stata ottimale. Non che i ragazzi non abbiano affrontato l’incontro con il massimo dell’impegno – questo mai – ma avremmo voluto vedere una squadra più attiva, più intraprendente, meno spettatrice di fronte a uno show, quello degli All Blacks, già visto e rivisto in più occasioni.

Gli errori si pagano

Se sbagli un placcaggio, i neozelandesi ti puniscono. Se sbagli un posizionamento difensivo, gli All Blacks salutano e vanno in meta. Se commetti un errore individuale, partono i motorini tutti neri. Se poi vai sotto di testa, togliendo anche quel poco di pressione che ci si aspetterebbe da un test match internazionale, allora diventa un vero e proprio massacro: la partita diventa molto più lunga degli 80 minuti abituali e diventa una lenta e implacabile discesa all’inferno, fatta di volate e mete e trasformazioni. Ne arrivano 10 nel pomeriggio romano, nato in un clima di festa ma presto trasformato in una lunga fila di bocche storte e sorrisi strozzati.
L’Italia pare stanca fin dalle prime battute, la Nuova Zelanda se ne accorge e ne approfitta subito. Sì perché – ricordiamolo – la sconfitta contro l’Irlanda ha reso i nostro ospiti molto più attenti e spietati del solito: “Non ci regalano nulla”, come fanno notare Vittorio Munari e Antonio Raimondi in telecronaca. E quando è così allora per chi sta dall’altra parte del campo rimane ben poco in cui credere e sperare. Gli All Blacks aspettano e poi allargano gli spazi esterni. Commettono tanti errori di “handling” e nei passaggi – è vero – ma è nulla nel mare (nero) di situazione positive che invece producono, e quando accelerano fanno quello che vogliono.

Migliorare individualmente per crescere di squadra

Al tanto atteso fischio finale il tabellino è spietato: 66 punti contro i soli 3 degli azzurri, che solo in paio di occasioni arrivano quasi nei 5 metri avversari ma senza mai dare l’idea di poter segnare. Intanto dall'altra parte sono arrivate 10 mete subìte, equamente suddivise tra primo e secondo tempo. Erano di fronte la squadra n.1 al mondo contro la squadra al 14° posto del ranking e la distanza si è vista tutta.
Dobbiamo pretendere più da noi e cercare di migliorare individualmente se vogliamo un giorno diventare più competitivi
Ripartiamo dalle oneste parole di Tommaso Castello, evidentemente costernato da ciò che è appena accaduto all’Olimpico. Il miglioramento personale è naturalmente alla base di una crescita di squadra: ci si auto-analizza per vedere quali siano le nostre falle, si mettono insieme i mattoncini che servono per alzare l’asticella e si sale insieme, gradino alla volta. Ed è un concetto su cui è tornato anche Conor O'Shea.
O'Shea post Italia-Nuova Zelanda

Lezioni e bilanci

Nell’inevitabile “giochino” del bilancio bisogna tenere conto di chi abbiamo avuto di fronte e di come sono state affrontate le partite in questione.
Contro la Georgia abbiamo fatto bene, così come avevamo fatto con Figi e Giappone fuori casa, squadre alla nostra altezza. Irlanda e Nuova Zelanda sono di un altro livello, con l’Australia non abbiamo fatto male, siamo stati un po’ sfortunati. Noi dobbiamo imparare da queste partite ed essere realistici.
O’Shea non pronuncia la parola “soddisfatto” ma fa capire che quando l’Italia ha risposto “presente” agli stimoli arrivati, sia dall’esterno che dall’interno: ha vinto quando bisognava vincere (Georgia), ha combattuto ed è stata in partita quando poteva (Australia), è mancata in personalità e atteggiamento però nell’appuntamento “più impossibile” (Nuova Zelanda).
La lezione dell’Olimpico – perché tale è stata, umiliazione (come si è letto in giro) è un'altra cosa – deve essere un esempio di cosa bisogna fare per giocare bene a rugby e di come si deve reagire quando il gap è così grande. Perché la Nuova Zelanda sarà di nuovo avversaria dell’Italia in occasione della Coppa del Mondo dell’anno prossimo e là in Giappone dovremo essere meglio di quanto fatto vedere all’Olimpico. Lo dobbiamo a noi stessi.
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L'Haka degli All Blacks è sempre uno spettacolo: l'Olimpico assiste a bocca aperta

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