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Daniele Garozzo: “Il mio oro a Rio 2016? Frutto del lavoro, non del talento”

DaOAsport

Pubblicato 06/12/2016 alle 12:52 GMT+1

Dal nostro partner OAsport.it

Daniele Garozzo con la medaglia d'oro di Rio 2016: uno degli 8 titoli italiani alle ultime Olimpiadi

Credit Foto LaPresse

Pochi giorni dopo il suo 24esimo compleanno Daniele Garozzo è salito sul tetto del mondo vincendo la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Rio 2016 nel fioretto individuale. Un risultato frutto di diversi fattori, maturato nella consapevolezza di un ragazzo con idee chiare in testa e la giusta sicurezza nei propri mezzi, che in un torneo come quello olimpico può fare la differenza. Studia e guarda avanti, senza porsi obiettivi a lunga scadenza ma pronto ad affrontare un nuovo quadriennio da assoluto protagonista sulle pedane di tutto il mondo, con la speranza e la voglia di cambiare il volto ad uno sport che non sembra volersi aprire ad un pubblico più vasto.
Cosa ti è rimasto in mente di Rio 2016 e della gara che ti ha portato all’oro nel fioretto individuale?
“Di quel giorno ricordo poco, ero talmente concentrato che ho pochi ricordi della gara. Poi si riaccende tutto dopo l’ultima stoccata, da lì ho dei ricordi del resto della giornata”.
Prima della gara ti sentivi tra i favoriti e pensavi di poter ambire alla medaglia d’oro, considerando anche la tua giovane età?
“Il ranking non mi dava come favorito ma io mi sentivo tra i favoriti per le medaglie. Il mio decimo posto nella classifica è stato il frutto anche di alcune situazioni sfortunate, per esempio nell’ultima tappa di Grand Prix ho subito una sconfitta immeritata ai quarti che mi avrebbe consentito di salire di 3-4 posizioni nel ranking. Un tecnico di scherma mi ha detto che le Olimpiadi ‘sono una gara per giovani’. Io arrivo da un quadriennio svolto da giovanissimo, ho fatto il mio esordio in Coppa del mondo nel 2013 quando avevo solamente 21 anni. Però sentivo di avere altre carte da giocare se mi fosse andata male a Rio, a differenza di altri che pur con un palmares più importante ma in calo rispetto agli anni precedenti. Io sono arrivato con la convinzione di essere tra i migliori, la mia serenità ha prevalso. Ero pronto per vincere, ma se non avessi vinto avrei avuto altre opportunità”.
Ti senti pronto a diventare il leader della nazionale, in pedana come al di fuori delle gare?
“Siamo un bel gruppo di amici, poi la personalità che uno riesce a mettere in pedana è la stessa della vita. Credo di avere qualcosa di importante da dare, voglio dimostrarlo anche nelle gare a squadre, cosa che fino ad ora non ho fatto. Nel 2015 abbiamo vinto ma ci hanno trascinato Baldini e Cassarà, Nel 2016 invece sono riuscito a tirare bene nel momento in cui serviva di più. Nel prossimo quadriennio spero di essere un leader fuori e dentro la pedana”.
Quanti anni pensi di poter stare ad alti livelli?
“Voglio competere al massimo in questo quadriennio. Da lì in poi è difficile valutare. Io ragiono in tempi brevi, ma di sicuro voglio ottenere risultati nel corso di tutti i prossimi quattro anni. Adesso non so dire se nel 2024 sarò ancora sulle pedane”.
Sia tuo fratello che la tua fidanzata sono atleti: sei tu che cerchi la scherma o è la scherma che cerca te anche nella vita privata?
Mio fratello Enrico è un valore aggiunto, è il mio migliore amico, è bravo fuori e dentro la pedana. Mi ha aiutato molto anche negli allenamenti e nella scherma. Mi ha sempre dato quello che mi serviva per farmi diventare un campione come lui, sono orgoglioso di lui e voglio essere ricordato come suo fratello. Con Alice (Volpi, ndr) mi sono fidanzato da poco, per ora va tutto a gonfie vele“.
Vi siete mai trovati nella situazione di dover sacrificare alcuni momenti insieme per coronare il grande sogno di Rio 2016?
“Abbiamo sacrificato tanti momenti assieme per arrivare al meglio alle Olimpiadi. La mia vittoria non è stata quella del grande talento ma quella del gran lavoratore, non sono un fuoriclasse come tanti che non hanno bisogno di fare gli stessi sacrifici. Mi sento un operaio della scherma, ho fatto tanta fatica per arrivare in alto, con tanto lavoro e tanti sacrifici, tra questi anche molte serate dedicate ai video per studiare ogni avversario e le situazioni per poi essere pronto in pedana”.
La Sicilia sta sfornando tanti talenti all’interno del mondo della scherma. Quale credi sia il motivo?
“La ragione più razionale è che c’è una bellissima scuola di maestri, anche per questo la costa orientale è florida di atleti al top a livello mondiale. La spiegazione più simpatica è che i giovani che fanno le gare sono costretti a vincer,e perché col cavolo che dopo aver preso l’aereo e aver viaggiato per tutta l’Italia arrivo alla gara e perdo. Dopo la fatica e i soldi spesi piuttosto che perdere ci facciamo ammazzare (ride, ndr)“.
Come hai iniziato a tirare?
“Io ho iniziato per caso. Un amico ha aperto una palestra ad Acireale, il mio paese. Mio fratello si è iscritto proprio perché erano amici di famiglia, e io, che giocavo a calcio, di conseguenza perché volevo passare il tempo con lui. Da quel momento è stato subito amore, sono stato fortunato, ho scelto lo sport che mi piace di più in assoluto”.
Cosa pensi della scelta di Arianna Errigo di provare ad essere competitiva in due armi differenti?
“È stata una scelta molto coraggiosa. Arianna forse è l’esempio perfetto del talento cristallino, l’emblema di chi non ha bisogno di grande lavoro per diventare un grande campione. La strada sarà lunga anche per una campionessa e un talento come lei. È una bravissima ragazza, le faccio un grande in bocca al lupo”.
A quali campioni ti sei ispirato da bambino e nei primi anni della tua carriera ad alti livelli?
“I campioni che mi piacevano erano molti. Tra questi Stefano Barrera, bronzo ai Mondiali di Torino nel 2006. È uno di quelli che pur avendo avuto una bella carriera ma è stato un po’ sfortunato e non ha raccolto quanto poteva. Mi ha dato tanto dal punto di vista educativo su come si diventa campioni e su come lavorare. Nell’ultimo anno ho avuto la possibilità di essere in squadra con Andrea Baldini: siamo diventati amici ed è uno dei più grandi di sempre in questo sport”.
Dall’esterno forse è difficile da capire. In pedana quanto ci si sente soli? L’aiuto tecnico quanto può servire all’interno di un assalto per correggere eventuali problemi dal punto di vista tattico?
“In pedana sei estremamente solo, con le tue paure e con le tue certezze. In pedana porti sempre il tuo bagaglio personali, se hai dei pensieri negativi alla fine vengono sempre fuori. L’aiuto a fondopedana serve, ma è una cosa molto personale. A me serve qualcuno di cui ho fiducia, con cui ho condiviso esperienze anche al di fuori del mondo della scherma, come Fabio Galli che mi ha fatto diventare da buon atleta a campione olimpico. Cipressa invece ha puntato su di me, il nostro connubio si basa molto sulla scherma ma riesco a percepire la sua fiducia nei miei confronti”.
Quali aspetti vengono sviluppati dagli allenamenti, dal punto di vista sia fisico che tecnico?
“Io cambio diversi modi di allenarmi. In una giornata tipo dedico la mattina alla tecnica. Prima una seduta con il maestro, per provare le manovre e sperimentarne di nuove. Poi proviamo gli assalti con i compagni, tiriamo anche due per più di due ore senza fermarci. Nel pomeriggio invece mi dedico alla palestra (con diversi tipi di lavoro) oppure agli allenamenti sul campo di atletica, che variano in base al periodo per sviluppare diverse doti”.
La scherma fa parte di quegli sport che vengono seguiti dal grande pubblico solo una volta ogni quattro anni, in concomitanza con le Olimpiadi. Quale potrebbe essere a tuo parere la ricetta per avvicinare un pubblico sempre maggiore a questa disciplina nell’arco di tutto il quadriennio?
“Servono sicuramente più gare in tv, ma io non critico le televisioni, critico chi organizza le gare che non sono spettacolari. Sono troppo lunghe e poco interessanti, L’evento, la gara che deve essere seguita dal pubblico dovrebbe essere dai quarti di finali in poi per fare una trasmissione di due ore e mezza. Passando nove ore al palazzetto alle gare anche io mi rompo le scatole. Una volta che l’evento è più breve, anche le tv possono essere interessate. Per chi vede la gara dal vivo, la gara di scherma deve essere l’evento con un contorno ben organizzato. Chi guarda una gara di scherma solitamente è un appassionato, bisogna allargare la base del pubblico potenziale. Le gare vanno rese comprensibili: ad esempio in Francia durante le pause durante le pause fanno rivedere gli assalti evidenziando la tecnica, parate, risposte ed esitazioni per rendere le regole comprensibili a tutti”.
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