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Snowboardcross, Jacobellis e quel maledetto salto a Torino 2006 che regalò l'oro a Tanja Frieden

Zoran Filicic

Aggiornato 09/04/2020 alle 17:40 GMT+2

Zoran Filicic, telecronista di Eurosport, ogni settimana ci racconta una storia legata agli sport che più ama dal suo punto di vista: fra flashback, esperienze sul campo e un excursus tra i grandi delle discipline più amate, un punto di vista nuovo da leggere ogni 7 giorni. Terzo appuntamento con lo Snowboardcross e l'incredibile epilogo della finale olimpica femminile di Torino 2006.

Lindsey Jacobellis, Getty Images

Credit Foto Eurosport

8 febbraio 2006, al Lalimentari di Bardonecchia due ragazzi stanno seduti uno di fronte all’altro, nelle loro mani una birra, intorno musica e gente chiassosa. I ragazzi stanno in silenzio, ogni tanto alzano gli occhi, si guardano, scuotono la testa e bevono sorridendo, fuori c’è neve, dall’altra parte della strada il complesso del Villaggio Olimpico.
Era un pò che non vedevo Alberto Schiavon, aveva iniziato a fare Boardercross a Campiglio nell’inverno del 1995, io l’anno successivo. I primi anni a ridere e a scherzare, la grande amicizia, i grandi litigi, le trasferte e le gare. Alberto entra in Coppa del Mondo, sale sul podio e infine vince, poi arrivano gli Xgames mentre io prendo la via dello speakeraggio e degli eventi, sempre più grandi.
Non era ancora sport olimpico, lo Snowboardcross, negli anni ha pure cambiato nome ma per noi è sempre rimasto il Boarder e poi, nel febbraio del 2006, Berti ed io ci ritroviamo in quel bar, con una birra a testa, lui atleta olimpico, io speaker dell’Olimpiade Torino 2006. Eravamo increduli, non abbiamo parlato in quel tardo pomeriggio ma ci siamo detti tutto con gli occhi, Bardonecchia respirava snowboard e il tempo benediceva tutta quella passione: nevicate notturne e sole nel corso delle giornate.
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Birra e medaglia olimpica a Torino 2006: il riquadro della felicità, Foto Zoran Filicic

Credit Foto Eurosport

Bardonecchia, dove la storia dello Snowboardcross si stava per riscrivere

Le tribune costruite per l’arrivo potevano contenere 20000 spettatori, la musica riempiva di punk rock la valle, li tracciato di Boardercross disegnato e costruito da David Ny e Roberto Moresi era monumentale. Stavamo vivendo la storia, gareggiavano i nostri amici, gente con cui facevamo festa in Coppa del Mondo, ragazzi e ragazze che conoscevamo e uno di loro sarebbe tornato a casa con l’oro olimpico, il primo della storia.
Ricordo il primo giorno di training, per noi era anche giorno di check dell’impianto audiovideo (monumentale come tutto il resto) e tra i tanti mi arrivò un sms il cui testo recitava: “hey, bello sentire la tua voce anche qui”. Era di Tanja Frieden, atleta Norvegese di nazionalità Svizzera, una ragazza tosta fidanzata con un americano, una delle favorite per la finale. Ecco, questo era l’ambiente, messaggi e sorrisi; gli snowboarder dopo Nagano 98 e Salt Lake City 02 erano sempre più seguiti ma rimanevano gli stessi, semplici ragazzi che vivevano per scivolare sulla loro tavola.
Le speranze italiane non erano alte, se non per Giacomo Kratter che aveva chiuso i Giochi precedenti al quarto posto, in half pipe. Che fosse finito quarto ad un decimo di punto dal terzo e che i primi tre fossero tutti americani e che i giochi fossero in USA non importa, non pensate male. Nel Boarder avevamo Malusà, Pozzolini, Schiavon, Tagliaferri mentre tra le donne c’era Carmen Ranigler e se le cose si fossero messe bene, un podio da una parte o dall’altra si poteva sperare ma le cose non si misero bene e il migliore fu Tommaso Tagliaferri, undicesimo, ma questo è “solo” un risultato, lo sport è fatto di molto altro.
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La run di Tommaso Tagliaferri a Torino 2006, Getty Images

Credit Foto Getty Images

La finale femminile

Il 17 febbraio va di scena la finale femminile. Michela Moioli ha 10 anni e mancano ancora 7 stagioni per vederla debuttare in coppa del mondo, forse non guarda nemmeno quella finale e sicuramente non immagina che a Pyeongchang, 12 anni dopo, canterà l’inno di Mameli con al collo la medaglia d’oro.
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Michela Moioli: dall'infortunio all'oro da favola di PyeongChang

A Torino le favorite sono le nordamericane, su tutte la fenomenale Lindsey Jacobellis, bionda ultravincente con al collo una collezione di medaglie d’oro degli Xgames, poi la canadese Maelle Ricker, una ragazzina tosta di North Vancouver che insieme alla potente Dominique Maltais, del Quebec, fa davvero paura. Le francesi danno sempre fastidio ed in qualcosa sperano e poi ci sono le svizzere Nobs e Frieden. Le strutture del tracciato sono davvero grosse e le ragazze fanno fatica ma non hanno paura. Dopo i time trials, le qualifiche a tempo per determinare le griglie di partenza, si comincia con le batterie a quattro.
Il format dello Snowboardcross è semplice: si parte in 4, tutti insieme, affronti salti, roller, paraboliche vai giù il più forte possibile e spesso in contatto con le altre, le prime due a tagliare il traguardo passano il turno, le altre due escono dal gioco. Batteria dopo batteria arriva la finale, al cancelletto Maelle Ricker e Dominique Maltais, Canada, Tanja Frieden, Svizzera e Lindsey Jacobellis, USA.
Pronti, via, Rock’n’Roll: Jacobellis e Frieden prendono il comando, wu tang, roller, parabolica a sinistra e poi a destra, segue uno step down, un salto dove si vola verso il basso, altra parabolica e Maltais, che è quarta, cade. Continuano in tre, Jacobellis comanda mentre Frieden a Ricker se le danno tavola contro tavola, parabolica verso destra e Ricker vola, da sola, verso le reti di protezione, è out. Jacobellis ne approfitta, si gira, vede Frieden lontana, gestisce, l’oro è suo, altre due paraboliche, e si gira di nuovo, della svizzera manco l’ombra e mancano solo due salti.
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Jacobellis cade a 200 metri dal traguardo, Getty Images

Credit Foto Getty Images

Jacobellis, il "grab alla Palmer" e l'amaro sapore della beffa

Il più grande interprete del Boardercross è stato, forse, Shaun Palmer. All’arrivo di una delle finali vinte agli Xgames volando sull’ultimo salto fece un grab diventato famoso, afferrando la tavola con una mano per far finta, in volo, di sparare ai fotografi con l’altra per poi atterrare e vincere. Non sappiamo cosa passò in quel momento per la testa di Lindsey, l’ufficio stampa USA disse che afferrò la tavola per mantenere l’equilibrio ma lei lo ha sempre fatto a due mani. Il Press Office non parla di quell’altra mano che si muove e replica il gesto di Palmer, la stessa Jacobellis ha sempre negato ma il salto è quello, il grab è lo stesso, lo sparo anche, l’atterraggio no. Jacobellis cade, la tavola si gira, l’americana guarda in su e vede arrivare un’altra atleta, dagli altoparlanti si sente lo speaker urlare una sola cosa: “Tanja Frieden, Tanja Frieden, Tanja Frieden”, in un pandemonio di urla dai 20000 in tribuna.
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Quando Lindsey Jacobellis buttò l'oro a Torino 2006 per una caduta prima del traguardo

Tanja Frieden fu il primo oro femminile della storia, Jacobellis riusci a rialzarsi e a portare a casa la medaglia d’argento mentre Maltais arrivo al traguardo piano piano e vinse il bronzo. Maelle Ricker non si vide, venne soccorsa e quattro anni dopo vinse l’oro in casa, a Vancouver.
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Tanja Frieden esulta sul podio alla sua sinistra Lindsey Jacobellis sorride comunque nonostante abbia visto sfumare l'oro per nulla, Getty Images

Credit Foto Getty Images

Il giorno prima l’oro maschile venne conquistato da Seth Wescott, USA. Seth e Tanja erano fidanzati da anni ma in quel periodo erano in rotta e dopo l’oro della Frieden qualche giornalista annusò la notizia ed iniziò a chiedere in giro, sarebbe stato uno scoop meraviglioso, “due ori in famiglia”, “due fidanzati una medaglia”, i titolisti li conosciamo tutti ma questa volta non poterono dare sfogo alla fantasia poiché Bardonecchia creò una delle tante magie di quel febbraio 2006: nessuno dei personaggi interpellati, nessuno dei giornalisti specializzati a conoscenza della situazione, nessuno degli atleti fece uscire la storia, un muro di gomma si erse davanti alle domande dei colleghi e il privato di Tanja e Seth, in un momento meraviglioso ma per loro teso, per tanti versi triste, venne tenuto al sicuro.
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L'abbraccio fra Westcott e Frieden a Torino 2006, Getty Images

Credit Foto Getty Images

Quel giorno si parlò solo di sport

Torino 2006 parti con tante polemiche e tanti dubbi, oggi viene ricordata come una delle migliori Olimpiadi Invernali di sempre. Quattro anni più tardi, durante la cerimonia inaugurale di Vancouver 2010 un cameraman americano, saputo da dove arrivavo mi disse: “yeah, Torino 2006, best Olympics ever”. Era solo il primo giorno, fini in festa, ma è una storia che racconterò un’altra volta.
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🎙 Michela Moioli: "Vi svelo come ho vinto la Coppa del Mondo"

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