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La lezione di Jiri Vesely (a Djokovic ma non solo...)

Simone Eterno

Pubblicato 13/04/2016 alle 22:08 GMT+2

Dopo mesi spesi a incensare l'imbattibilità di un alieno che per molti "giocava da solo", basta un cambio di superficie e un 'Vesely qualunque' per far cadere Novak Djokovic. Tutto così semplice? Non esattamente. La vittoria del ceco sul numero 1 al mondo ci regala due lezioni: 1. Anche Djokovic ha bisogno di riposo 2. Nel tennis nulla è scontato o arriva per caso

Novak Djokovic of Serbia (L) reacts after missing a point during his match against Jiri Vesely of Czech Republic

Credit Foto Reuters

MONTE CARLO – Da un certo punto di vista eravamo stati profetici: attendiamo la stagione del rosso per vedere se almeno qui riusciremo a trovare un avversario a Novak Djokovic. Nella celebrazione del 28esimo titolo Masters e del record arrivato in quel di Miami, la conclusione era arrivata così, a metà tra il desiderio di comuni spettatori – quali anche noi siamo – e la più complessa analisi giornalistica di fatti, episodi, precedenti.
Il cambio di superficie non è quasi mai un buon affare, nemmeno se arrivi da un altro pianeta del tennis. E non lo è specie quando l’acceleratore, pur di aliena fabbricazione che sia, è rimasto giù spinto così tanto a lungo. E così, in un caldo e soleggiato mercoledì pomeriggio monegasco, non si è dovuto poi attendere a lungo; il signor Jiri Vesely, 22 enne ceco numero 55 al mondo, è riuscito a fare quello che solo una congiuntivite e Feliciano Lopez - in un torneo per giunta ‘minore’ - erano riusciti a fare: sconfiggere l’alieno del tennis.
Una caduta dall'inevitabile rumore per l’unicità dell’ultimo periodo; perché Djokovic non perdeva da un tennista fuori dai primi 50 da 6 anni (Malisse al Queens 2010); ma che lascia spunti decisamente interessanti anche e soprattutto perché nelle polveri del rosso è dove tutti attendo Djokovic con maggior ansia.
L’obiettivo stagionale, esattamente come nel 2015, è il raggiungimento dell’ultimo slam che ancora manca in bacheca. Un’idea dietro la quale non si nasconde nemmeno il diretto interessato, ma che la sconfitta con Vesely, seppur con tutte le attenuanti del caso – che vedremo tra poco – torna a buttare lì come tutto fuorché scontata.
Persino Djokovic infatti, che in questi lunghissimi mesi abbiamo incensato di complimenti e dipinto come macchina infallibile, non è immune a stanchezza e pressioni. Pare una banalità raccontato oggi dopo il 6-4, 2-6, 6-4 preso dal ceco, ma fino alle 14 di mercoledì pomeriggio in molti se l’erano dimenticata, dando per scontata la vittoria del serbo sempre e comunque.
Il tennis ci ha ricordato invece che nulla arriva per caso, sottolineando così al tempo stesso sia l’umanità di un Djokovic che in conferenza ha ammesso di aver bisogno di un periodo di “completely rest” – (riposo totale) – che al tempo stesso la grandezza delle imprese del serbo scritte in quest’ultimo anno e mezzo.
In quanti tornei avevamo infatti visto Djokovic incappare nella sua classica quasi sconfitta? Solo nell’ultimo periodo basti pensare a Simon in Australia, a Tsonga a Indian Wells, a Goffin a Miami, a Kukushkin in Coppa Davis e così via dicendo. Partite poi sempre girate dal serbo e trasformate in qualificazioni, titoli, record.
Risultati scontati sulla carta esattamente come doveva essere un secondo turno contro il Jiri Vesely di passaggio. Un tennista che, evidentemente, oltre a regalare al serbo un motivo d’ispirazione in più per l’immediato futuro – “Tutto succede per una ragione, ora avrà tempo per rilassarmi un po’ e riprendermi. Non mi piace perdere, ma questo match non disturberà il resto della mia stagione” – consegna a tutti noi una lezione su cui riflettere.
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