Il pagellone delle ATP Finals 2018: Zverev leone, Djokovic si riscopre umano, Federer eterno
Aggiornato 19/11/2018 alle 12:02 GMT+1
Da Alexander Zverev, che con un weekend da leoni succede a Dimitrov (e fa tutti gli scongiuri del caso...) al robot-Djokovic, che per una domenica si risveglia umano. Ma anche l'eterno Federer, l'intruso Isner, il debuttante Anderson, l'evanescente Thiem, la delusione Cilic e il bluff Nishikori. Il pagellone delle ATP Finals 2018.
Voto 10... Al campione, Alexander Zverev
Qualcuno sabato l'aveva preso a fischi. La sua colpa? Essersi permesso di aver battuto - in bravura, non in furbizia - il più amato di tutti. Ci era rimasto male, il ragazzino. Quasi quasi gli è scesa anche la lacrima. Cosa che ha dovuto coprire anche 24 ore dopo, questa volta però per la gioia di aver battuto l'Imbattibile. Se n'è venuto fuori così Alexander Zverev detto 'Sascha', con l'arroganza tennistica di chi ne sa. Ed evidentemente di chi può. Perché nella storia, qui, non si era mai visto nessuno battere sia Federer che Djokovic. Figuratevi se alle voce 'round' corrispondevano 'semifinale' e 'finale'. Lo Stakanov del circuito maschile - 77 partite stagionali - culmina così il primo degli anni di gloria che certamente lo attendono da qui in avanti. Con la faccia pulita che piace alle adolescenti. Con le randellate al servizio che piacciono decisamente meno ai colleghi. E soprattutto con un compito ben preciso: evitare di far la fine di Dimitrov. Su quest'ultimo però vigila Ivan Lendl. Una discreta garanzia. Voto 10. Al weekend da leoni.
Voto 8,5... Al finalista, Novak Djokovic
Fosse finita sabato sera saremmo stati qui a scrivere di un torneo alieno che culminava 6 mesi perfetti. Djokovic, prima di domenica, aveva concesso 32 punti in 36 turni di servizio. Percentuali che nemmeno se si mettesse a servire da uno sgabello di 50 centimetri. Il tennis - e lo sport professionistico più in generale - è però disciplina crudele, generalmente dotata di una memoria da pesce rosso. Anzi, di una memoria volatile: si va a dormire, si resetta il sistema, e non c'è più nulla. Ecco, la finale del serbo come un post pennichella domenicale, giocata con quel tepore lì un po' meno robot e un po' più essere umano. Che va bene comunque, specie quando ne hai vinte 35 delle ultime 38. Di partite eh, non di punti. Voto 8,5. All'umanità del soggetto.
Voto 7,5... All'eterno Roger Federer
A metà anno qualcuno disegnava già l'ipotetico titolo n°100 nel giardino di Wimbledon. Poi, le vicissitudini varie, quel 100 lì l'hanno spostato fin qui, ovvero a Londra, dove con la chiusura e l'eventuale successo avrebbe fatto felici tutti coloro i quali piace mettere i fiocchetti alla cose e chiuderli in determinati scompartimenti stagni. Federer però, che trascende qualsiasi fiocchetto e certamente ogni tipo di definizione, non è riuscito a regalare la finale che tutti avrebbero voluto. Un'indicazione chiara però l'ha data ancora una volta: resta competitivo. Basti guardare la reazione di rabbia post domenica sonnolenta o il livello fatto vedere contro un ragazzino 16 anni più giovane. Parafrasando un po' un noto rap di Jay Z: I got 99 problems but trophies ain't one. Voto 7,5. Alla presenza.
Voto 7... Al debuttante, Kevin Anderson
Il più credibile, tra i volti nuovi. Protagonista vero tra gli 8 migliori dell'anno a coronamento della miglior stagione di sempre. Atteggiamento giusto, piglio giustissimo. Certo, poi è arrivato Djokovic e ha tirato giù la maschera da supereroe mostrandone il vero volto. Ma di questo non gliene si può certo fare una colpa. Anzi, casomai un gran pregio: ovvero quello di aver fregato tutti quanti gli altri. O quasi. Voto 7. Al trasformismo.
Voto 6... All'intruso, John Isner
Se non fosse stato per uno scivolone di Del Potro. Se non fosse stato per gli acciacchi di Rafa. Se non fosse stato per una settimana in più, con Khachanov pronto a mettere la freccia e operare il sorpasso. Tutto ciò però si è materializzato, come in una favola. Il destino evidentemente lo voleva qui, a coronare a 33 anni una vita dedicata al lancio di palla e conseguente bordata. In un 2018 che gli ha regalato anche il primo '1000' della carriera, Isner si è concesso anche il lusso di esserci. Coronato, dentro i propri evidenti limiti, con 3 prestazioni di livello ed altrettante onorevoli sconfitte. Voto 6. Alla buona sorte.
Voto 5... All'evanescente Dominic Thiem
Non è roba per lui. Davvero, lasci perdere. Un plauso eh, ci mancherebbe, per averci provato. Ma ambiente, formula, superficie, effetti, proprio non gli si addicono. Va apprezzato, certo, per aver giocato di fatto la miglior stagione indoor della carriera. Ma alla fine non ha convinto nessuno, spazzato via da un Federer punto nell'orgoglio e da un Anderson assai più concreto di lui. Per avere un Thiem credibile al Masters di fine anno servirebbero due condizioni. 1. Il passaggio della mozione del compagno Nadal, scavare un poco sotto il pavimento e preparare un bel composto di terra battuta. 2. Dotare gli spettatori delle prime file di panama, affinché l'atmosfera si faccia più parigina. Voto 5. Al disagio.
Voto 4... Alla delusione, Marin Cilic
A differenza di Thiem, qui superficie e contesto dovrebbero aiutare. E invece... Nulla. Niente. Nada. La quarta apparizione alle ATP Finals in carriera si è conclusa con la quarta eliminazione al round robin. Certo, nella sfida decisiva a 'sto giro avrebbe dovuto battere Djokovic, che non è cosa da tutti i giorni in questo periodo, ma la realtà dei fatti è che quando l'atmosfera si fa calda Cilic si scioglie. 12 partite alle Finals, 10 sconfitte. E delle due vittorie, una avvenne a giochi già fatti ed eliminazione già certa. Non esattamente un animale da combattimento. Voto 4. Allo spirito pacifista.
Voto 3... Al bluff, Kei Nishikori
Tennista controverso, il giapponese. Capace di giornate fenomenali e momenti di down inspiegabili. Spesso - anzi, molto spesso - entrambi conditi dalla solita moria fisica, dal suo essere claudicante, da avercene insomma sempre una addosso. C'è tutto Nishikori in queste Finals e nel suo precedente percorso. Prima guadagnate con una gran rimonta nell'ultima parte di stagione, poi onorate con un successo all'esordio che aveva fatto persino temere per Federer, e infine buttate nel cassonetto dell'indifferenziata proprio sul più bello. Il buon Kei ha rischiato il cappotto con Anderson e si è arreso all'evanescenza di Thiem. Voto 3. Al bluff.
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