Sport popolari
Tutti gli sport
Mostra tutto

Da Anderson a Reid, il lato oscuro dell'Australia: quando i giovani non reggono l'urto della fama

Federico Ferrero

Pubblicato 01/02/2023 alle 16:04 GMT+1

AUSTRALIAN OPEN - Lo spettacolo a cui abbiamo assistito a Melbourne in occasione dell'ultima edizione degli Australian Open racconta solo in parte ciò che avviene nel tennis professionistico: ci sono anche storie, che forse in pochi conoscono, di giocatori che da giovani hanno assaggiato il successo, senza poi avere la possibilità di viverselo bene. E arrivano proprio dall'Australia.

Il lato oscuro dell'Australia: quando i giovani non reggono l'urto della fama

Credit Foto Eurosport

Lontano dagli occhi e dall’attenzione dei più, Oliver Anderson aveva pensato che quello potesse essere un buon affare. Stava affrontando un amico, Harrison Lombe, nel primo turno di un challenger a Traralgon. Una partita tra le centinaia che, ogni giorno, si disputano in appuntamenti minori, challenger o futures. Non doveva neanche venire troppo a compromessi: gli avevano chiesto soltanto di perdere apposta il primo set, e poi di giocarsela. Il suo avversario era molto più debole di lui: sapeva, insomma, che avrebbe potuto salvare il torneo e, intanto, intascare un extra. Anderson, in effetti, vinse quel match dopo un primo set strano, nel quale commise due doppi falli sul 4 pari e poi dominò: 4-6 6-0 6-2.
picture

Oliver Anderson

Credit Foto Eurosport

Oliver Anderson non era un ragazzino qualunque, quel 24 ottobre del 2016. A inizio stagione aveva vinto gli Australian Open juniores e laggiù, dal 1976, sono ancora in cerca di un campione che possa succedere all’ultimo giocatore di casa trionfante nello Slam di Melbourne – ai tempi c’era riuscito uno che, per mantenersi il tennis, lavorava in bidelleria: era Mark Edmondson, ma questo non è il momento di raccontare la sua storia. Su Anderson scommettevano in tanti: a diciotto anni, però, era già fragile. Il tempo di assaggiare il circuito dei professionisti e si era procurato un infortunio da cinque mesi di sosta forzata. Un amico gli aveva proposto, al rientro, di guadagnare qualche migliaio di euro facendo puntare una terza persona su quel primo set; i soldi gli sarebbero serviti per finanziare l’attività agonistica e nessuno si sarebbe fatto del male.

Da predestinato a pregiudicato

Purtroppo per lui, la compagnia Crownbet segnalò alla polizia una puntata anomala, da 10.000 dollari australiani, su quell’incontro sperduto in un torneino da cinque spettatori. Nel giro di pochi mesi, Oliver venne incriminato e, per evitare una condanna penale, patteggiò davanti al giudice spiegando le ragioni della corruzione: "Ero stato fermo per tanto tempo. Temevo che il mio sponsor mi chiedesse indietro i soldi, perché non stavo rispettando gli accordi in termini di tornei disputati". Pochi mesi prima, Anderson stava dando battaglia nel tabellone Slam di Melbourne ai coetanei Stefanos Tsitsipas, Felix Auger Aliassime, Ugo Humbert. E lo aveva vinto lui, il torneo. Da possibile nuova stella del tennis, Oliver Anderson divenne un pregiudicato e precocissimo pensionato: smise di giocare prima ancora che la sua squalifica di 19 mesi terminasse e oggi, a neanche 25 anni, lavora come coach. L’impatto col mondo dei professionisti lo aveva annichilito: non era una questione di saper giocare, ma di dover fare le cose sul serio, di rischiare fallimenti e bancarotta. Di tradire la fiducia della famiglia e del pubblico.
C’è chi dirà che se l’è cercata, Anderson, che la responsabilità individuale esiste, ed eccome se esiste. Quello che latita, però, è il racconto delle circostanze che possono guidare, o semmai traviare, giovani cui spesso mancano ancora esperienze e crescita personale sufficienti per gestire vite non ordinarie.
Cambiamo sfondo, ma neanche troppo. Netflix sta dando spazio a Break Point, una serie fortemente voluta dall’Atp che coinvolge campioni, ossia quelli che ce l’hanno fatta, nel tentativo di attirare nuovi fan nel recinto del tennis. Tra questi, l’australiano più famoso al mondo: Nick Kyrgios. E sì, è vero: tra un colpo spettacolare, un successo su un Top 10 e un incasso con tanti zeri Kyrgios è riuscito a far passare anche il concetto che non tutto quanto circonda la vita dei campioni è lusso e agio, perché vanno gestiti pressioni e ritmi cui un ventenne non è attrezzato, non soltanto l’acquisto della Lamborghini. Però ecco, quello che forse manca è un B movie. Un documentario “sporco” che racconti l’altra faccia della luna e la sua popolosissima schiera di promesse che tali sono rimaste fino all’appassimento, di ragazzi che si sono bruciati. Non i disagi dei salvati, ma il dramma dei sommersi. Perché sono tanti, tantissimi e se ne parla solo se succede qualcosa di clamoroso, come la mazzetta al campione juniores di uno Slam. In realtà due ex professionisti negli anni Novanta, Mark Keil e Geoff Grant, armati di videocamera a mano ci avevano provato: girarono The Journeymen, una sorta di “Gli operai della racchetta”, e riuscirono ad aprire uno squarcio sulla vacuità del tennis-business. Negli stessi tornei frequentati da superstar sciamava – e sciama tuttora – una massa di giocatori in cerca di gloria e di qualche soldo per far quadrare i conti. Che, come a volte raccontano i profili Instagram dei Behind The Racquet, gestito da Noah Rubin, per la solitudine e la delusione si comportano come reietti, si mettono a bere, si lasciano sprofondare nel baratro.
picture

Todd Reid nella Coppa Davis 2006

Credit Foto Getty Images

La triste parabola di Todd Reid

Vicende come quella di Oliver Anderson, e di tutti quelli che si sono fatti sopraffare dalla foga di non perdere il treno del grande tennis o di non deludere le aspettative, dovrebbero diventare notizie tanto quanto le imprese delle stelle nascenti come Holger Rune e Ben Shelton. Qualcuno ricorda, per esempio, Todd Reid? La risposta è, probabilmente, no. Eppure vinse il più pesante dei tornei, sebbene tra gli under 18: Wimbledon, nel 2002. In quel tabellone c’era Rafa Nadal, sconfitto in semifinale da Lamine Ouahab, a sua volta superato dall’australiano. E poi Tomas Berdych, Marcos Baghdatis. Ma il più forte, come Anderson qualche anno più tardi, era Reid. Due anni dopo, avrebbe raggiunto il terzo turno proprio agli Australian Open, strapazzato da Federer. Iniziò a farsi male. Contrasse la mononucleosi e non c’era verso di guarire: a ventuno anni, invece di ricominciare, annunciò il ritiro.
Lavorò come maestro in un circolo ma gli amici dicevano che era incupito, non era riuscito a farsene una ragione. Perché lui con Tsonga, Berdych, Soderling, Tipsarevic e tanti altri campioni più o meno coevi, ci giocava e talora vinceva. E non fosse stato per la sfortuna ci sarebbe arrivato, a disputare match di fronte a diecimila persone. Todd Reid sparì dai radar. Il 23 ottobre 2018 lo trovarono senza vita, in casa. La famiglia non volle mai dichiarare che non se l’era portato via un incidente o un malore ma il male di vivere, figlio del fallimento nel tennis.
picture

Todd Reid sorride a John Fitzgerald in occasione della Coppa Davis 2005

Credit Foto Eurosport

Successo in gioventù: un'arma a doppio taglio

Ora: si ha un bel dire che vincere da ragazzi non garantisca il successo tra i pro. Lo si sa. Ma è inevitabile che quelle esperienze creino aspettative: camminare nei viali calcati dalle leggende del tennis, allenarsi di fianco alle superstar può facilmente illudere un minorenne di avercela già fatta. E a Melbourne, tra i junior, hanno trionfato pure Lorenzo Musetti, Sebastian Korda, Alex Zverev, lo stesso Nick Kyrgios. Tutti esempi di successo nella transizione da junior a pro. Ma l’Australia ha prodotto in serie ragazzini ultravincenti e poi scomparsi: chi sa qualcosa di Brydan Klein (2007)? E Ben Ellwood (1994)? Grant Doyle (1992)? Johan Anderson (1988) o Shane Barr (1985)? Tutti campioni junior nello Slam di inizio stagione. Tutti professionisti falliti. Filip Peliwo, ex numero uno del mondo under 18, perse la finale australiana del 2012 contro Luke Saville – un altro aussie predestinato che non è andato lontano – e fu almeno finalista in tutte e quattro le prove dello Slam. "Finché sei un ragazzo e la federazione ti segue – ha raccontato – hai un percorso da seguire. Quando ne esci e devi arrangiarti da solo, inizi a pensare ai soldi. E ti carichi di stress, perché se non paghi un team e i viaggi non puoi farcela. Entri in campo dicendoti: ‘Ecco, se oggi non vinco non potrò chiudere questa settimana in pari né pagarmi la prossima trasferta’. Non sai di chi fidarti, sei al fondo della classifica e non riesci a immaginarti come potrai salire. Inizi a farti delle domande, hai paura, ti monta l’ansia". Nel 2018, l’ex campioncino Peliwo batteva Matteo Berrettini nelle qualificazioni di Miami. Mentre altri si contendevano il primo Slam dell’anno, lui vagava per i Futures del Leicestershire: a gennaio ha fatturato 430 dollari. Lordi.
Le pagine social: diventa fan di Eurosport I Facebook | Twitter | Instagram | TikTok
Più di 3 milioni di utenti stanno già utilizzando l'app
Resta sempre aggiornato con le ultime notizie, risultati ed eventi live
Scaricala
Contenuti correlati
Condividi questo articolo
Pubblicità
Pubblicità