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Il nuovo Fabio Fognini: la costanza a servizio del talento

Simone Eterno

Pubblicato 05/03/2018 alle 13:39 GMT+1

Quattordici vittorie e 4 sconfitte nel 2018; nuovo numero 19 del mondo e 11 della Race: Fabio Fognini ha iniziato l'anno tennistico come mai prima in carriera. Il segreto? La costanza nei 'tornei minori', da sempre territorio dei 'mestieranti' a cui il talento di Fabio ha finalmente trovato un modo per palesarsi con più continuità.

Fabio Fognini - Rio de Janeiro 2018

Credit Foto Getty Images

Nella concitazione dei numeri e nella gioia della vittoria, oltre che nella bella dedica che ha strappato ai più tanti titoli, c’è un dato importante per Fabio Fognini. Il successo su Nicolas Jarry nell’ATP 250 di San Paolo che ha consegnato al ligure il primo titolo del 2018, è la vittoria numero 14 di questa stagione tennistica appena incominciata. Quattordici successi quest’anno a fronte di solo quattro sconfitte. Fabio Fognini è undicesimo nella Race2018; a soli 70 punti ATP dal quarto posto occupato da Schwartzman. Evidentemente, il ligure, in Australia, davvero non scherzava.
Già perché qualche settimana fa, nella sala stampa di Melbourne, dopo il dopo il ko con Thomas Berdych agli ottavi di finale del primo slam stagionale, definiva gli obiettivi della stagione: “Ritornare nei primi 20”. L’anno precedente, nella stessa sede, aveva fissato “i primi 30”. Traguardo poi raggiunto a dicembre 2017.
Finisse l’anno oggi – in un paradosso ovviamente dal chiaro senso, essendo il ‘reale’ 2018 pronto a iniziare col torneo di Indian Wells – Fabio Fognini avrebbe rispettato i patti con sé stesso. Eh già, perché un inizio di stagione così il ligure non l’aveva mai avuto in carriera. E si dice chi ben cominci...
Senza obbligatoriamente attaccarsi alle credenze dei detti popolari, le verità confutabili – ovvero quelle del campo – parlano chiaro: Fabio Fognini ha sul serio, in questo inizio d’anno, cambiato marcia. Lo dicono, appunto, i numeri: per raggiungere quel 14, ovvero l’attuale numero di vittorie, lo scorso anno Fognini dovette aspettare il torneo di Roma.
Da qui al Foro invece c’è tutto il cemento americano, oltre che metà della stagione sul rosso. Una riprova evidente del differente impatto con la prima parte dell’anno, per una smussatura di certi aspetti che non possono sfuggire agli occhi più attenti. Perché se è vero che qualcosa del ‘vecchio Fognini’ in fondo lo si sia visto nelle sconfitte in semifinale a Sydney con Medvedev piuttosto che al primo turno di Buenos Aires con Leonardo Mayer – o anche nella complicata partita di Rio poi vinta con Sandgren – al tempo stesso non si può non notare una caratteristica di Fognini quasi sempre sfuggita in carriera: la continuità.
Una novità palesatasi con costanza dai primi di gennaio ad oggi, per una mutazione – o dovremmo forse definirla maturazione – che sta portando Fognini dentro una dimensione per lui attesa da sempre. Spieghiamoci meglio. Del ‘nuovo Fognini’, se così lo possiamo definire, sta apparendo finalmente chiaro un concetto a lungo atteso nella carriera del ligure: la capacità di imporsi sugli avversari inferiori al suo talento, o quelli generalmente definiti dagli addetti ai lavori (e non solo) “alla sua portata”.
Un concetto chiave del Fognini tennista dal giorno zero del professionismo a oggi, a cui però Fabio non sempre aveva trovato soluzione poi in campo. L’esempio più lampante probabilmente nell’intera stagione 2016, chiusa al numero 49 del mondo e perdendo persino lo scettro di n°1 d’Italia a discapito del solido lavoratore Lorenzi, in una sorta di contrapposizione perfetta tra i premi derivanti dal sacrificio del duro lavoro e di chi schiavo del proprio talento si era accontentato di ‘vivacchiare’ lì nel mezzo, beffato lungo tutto il corso dell’anno da tantissimi tennisti inferiori sotto i più svariati punti di vista.
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Paolo Lorenzi e Fabio Fognini

Credit Foto Getty Images

Nel nuovo percorso di Fognini, però, idealmente iniziato lo scorso anno con il cambio di staff, la capacità di imporsi con le cosiddette forze ‘dentro la media’, sta trovando decisamente più spazio; e la scalata alla classifica ATP partita a gennaio 2017 dal numero 49 del mondo e arrivata oggi 30 posizioni più avanti, passa tutta sostanzialmente qui.
Perché nell’”inganno Fognini” – ovvero quegli straordinari exploit che ci hanno fatto brillare gli occhi come la vittoria in Davis a Napoli su Murray o nella rimonta a Nadal da 2 set sotto allo US Open – c’è in realtà appunto “l’inganno” dell’exploit, del puro talento che per una notte illude le masse e mette all’angolo avversari superiori, salvo dimenticarsi poi dei fondamentali standard di lungo periodo veri leggi del tennis moderno. Ma nei successi di questo 2018, quelli sì, costruiti con testa e sudore nei cosidetti tornei minori, c’è la vera essenza di un giocatore che proprio su questo territorio si attendeva da sempre: ovvero quello strepitoso talento naturale in grado di elevarsi sui tantissimi ‘onesti mestieranti’ che popolano l’attuale classifica ATP dai 20 in su, per rendere giustizia in primis soprattutto a sé stesso.
Insomma, in questo 2018 Fognini pare aver finalmente trovato la sua dimensione in un tennis che, sostanzialmente, può e deve continuare a vederlo protagonista soprattutto in queste settimane: quelle di mezzo, quelle senza slam e senza 1000, in una costruzione di una classifica che per Fabio deve continuare da qui; nell’attesa – e nella speranza – che quei grandi exploit possano poi palesarsi di nuovo anche nei tornei più importanti. In quel giusto mix, insomma, per rimanere lì in alto. E per onorare, in fondo, quello che dopo Adriano Panatta, nell’era Open, è il tennista italiano più vincente di sempre.
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