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Il punto chiave della vicenda Errani: il letrozolo è una sostanza vietata...

Simone Eterno

Aggiornato 09/08/2017 alle 15:20 GMT+2

Nella conferenza stampa Sara si concentra sull'aspetto "non dopante" e "non migliorativo" del letrozolo, ma la negligenza resta tale: il principio attivo è vietato dalla WADA, anche in campo femminile, dal 2005.

Sara Errani

Credit Foto LaPresse

Seduta dietro un tavolo di un noto hotel di Milano, Sara Errani ha voluto provare a fare chiarezza, raccontando la sua verità sulla questione relativa alla squalifica di due mesi per doping. Colpevolezza legata all’assunzione – involontaria – di letrozolo, farmaco su sui si è basata l’intera istanza difensiva di Sara davanti a televisioni e stampa.
Una Errani arrabbiata e triste, che si è affidata all’aiuto di precisi appunti che hanno provato a chiarire ulteriormente la sua posizione. Ma che l’hanno anche fatta cadere in un paio di uscite su cui sarebbe meglio mettere i puntini sulle i.
Il nocciolo della questione è appunto il letrozolo, su cui la Errani, testualmente, si è così espressa.
Il letrozolo non è uno steroide. Il letrozolo non è uno stimolante. Il letrozolo non è una sostanza dopante per le donne. Il letrozolo non migliora la performance di un’atleta femminile. Il letrozolo abbassa gli estrogeni e aumenta il testosterone ma solo negli uomini. Il letrozolo contrasta gli effetti collaterali di altri dopanti come gli steroidi, ma sempre e solo negli uomini. E questo non lo dice Sara Errani, ma pubblicazioni scientifiche.
Un appunto inattaccabile quello della Errani (o di chi per lei ha scritto quanto letto davanti alle telecamere), e su cui di fatto si è basato l’intero impianto “difensivo” odierno. Così come è inattaccabile l’affermazione del fratello e manager Davide, che giustamente, dal proprio punto di vista, cita i precedenti 83 controlli negativi di Sara dal 2009 a oggi.
Ciò che però deve essere chiaro è che il letrozolo è nella lista dei farmaci proibiti dall’agenzia mondiale antidoping ed evidentemente ci sta per qualche ragione. Se è vero infatti che non ci sono riscontri per il miglioramento diretto delle prestazioni su sportive di sesso femminile, la WADA ha allargato l’estensione del divieto di letrozolo anche alle donne ormai dal 2005 (nel 2001 era diventato illegale per gli uomini). Non conosciamo le ragioni tecniche per cui l’antidoping abbia fatto questa scelta, ma resta il dato di fatto che la scelta è stata fatta. E come tale Sara non può attaccarsi al principio del “non migliora le prestazioni”. E’ questo il vero cardine dell’intera vicenda ed è per questa ragione che la Errani non poteva pensare – così come invece ha riferito in conferenza stampa – di essere assolta con piena formula, di non essere squalificata.
Un concetto simile a quello con cui provò a difendersi, tanto per intenderci, anche Maria Sharapova, quando dichiarò che “non sapeva” e che il suo staff “non aveva letto le email”. Ecco, se di incidente si è trattato – e così è stato visto che un tribunale ha creduto alla versione di Sara e del cibo contaminato, condannandola di fatto a una squalifica minima – non si può pensare che la negligenza di una grandissima professionista, per quanto involontaria, possa passare impunita. Così è stata e queste sono le conseguenze.
Il resto sono chiacchiere da social network o “giornalismo” scadente, con cui la Errani comprensibilmente si arrabbia e se la prende commettendo però il suo secondo errore: quello della generalizzazione. Perché affermare che “ovunque si sono scritte falsità” è come dire che “tutti i tennisti pizzicati all’antidoping si sono volontariamente dopati”. Perché mischiare giornalismo e opinioni sui social network è come fare un minestrone con carne e pesce. E viste le recenti esperienze in cucina, per un po’, sarà meglio stare lontano dai fornelli.
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