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Alexander Zverev: dopo i finti predestinati, ecco una vera stella

Simone Eterno

Pubblicato 22/05/2017 alle 08:32 GMT+2

Con il successo su Novak Djokovic in finale agli Internazionali di Roma il tennis maschile ha finalmente conosciuto il primo volto di successo della nuova generazione. Alexander Zverev è la prima vera stella dopo una generazione di finti predestinati. A soli vent'anni è da oggi in Top 10 ed è già riuscito dove nessuno nato nella decade dei '90 era mai riuscito: vincere qualcosa di importante.

Alexander Zverev, vainqueur du Masters 1000 de Rome.

Credit Foto Getty Images

Predestinato. Nei termini più abusati della storia del giornalismo sportivo c’è senza dubbio questa definizione. Una specie di etichetta, ormai svuotata e standardizzata dopo averla appiccicata sopra a chiunque (si sia trattato di Diego Armando Maradona Jr. o Neymar, la definizione era sempre la stessa) e oggi ridotta a cliché dal linguaggio dei ‘fenomeni’ del marketing e della pubblicità, roba da sensazionalismo social a calamita di pollici alzati. Niente di più.
Dopo tutte le parole spese però e a fronte di un inizio carriera straordinario, a guardarsi bene in giro c’è un 20enne tedesco che gioca a tennis e che a quella definizione – reale, da dizionario – sta provando a ridarne dignità e senso, rispondendo da dietro a una rete a coloro i quali ne avevano esaltato doti e capacità straordinarie. Questa volta, evidentemente, con lungimiranza.
Il ragazzo in questione si chiama Alexander Zverev e nel 2014 ad esempio si presentò al mondo nel torneo di casa – ATP 500 Amburgo – con una serie di vittorie da minorenne – Robin Haase, Mkhail Youzhny, Santiago Giraldo e Tobias Kambe – che fecero gridare al miracolo. D’altra parte l’ultimo che da minore era riuscito a battere un Top20 (all’epoca Youzhny lo era) fu un tale francesino di nome Richard Gasquet, uno che a proposito di “predestinati” era finito sulla copertina di Tennis Magazine all’età di 9 anni.
Poche settimane prima il giovane Alexander, fratello di Misha e figlio d’arte di papà Sasha, aveva comunque già smosso le torbide acque del circuito Challenger vincendo l’evento di Braunschweig dopo aver steso due professionisti come Golubev e Mathieu. I più hipster di tutti si erano già allertati, anche perché di exploit così se n’erano visti ben pochi nella nuova epoca dell’iper-atletismo. Insomma, l’esaltazione collettiva per un nuovo talento pronto ad affacciarsi al circuito era piuttosto percepibile, anche se lo scotto della Lost Generation – quelli nati tra il 90 e il 95 – era lì da vedersi palese e bisognava di conseguenza andarci un po’ più cauti questa volta, anche perché i fenomeni precedenti continuavano a fare (e tutt’ora fanno) razzia di tornei.
In questo breve arco temporale però Alexander Zverev non ha deluso. Anzi, ha continuato a stupire, piazzando 3 anni di crescita rapida e costante che da questa mattina gli hanno concesso di entrare tra l’elite dei primi 10 del mondo. Un ragazzo così giovane non ci riusciva dai tempi di un tale Juan Martin Del Potro, un argentino che con il dritto sarebbe potuto andare a combattere gli inglese alle Falkland.
A Roma il tennis maschile ha però avuto con ogni probabilità l’incisione sul trofeo del nome che tutti stavano aspettando, del primo successore destinato a prendere il posto di quei quattro lì. Agli Internazionali d’Italia infatti Alexander Zverev non è solo stato in grado di far cadere un tabù – nessun tennista della dedace dei nati nei ’90 aveva mai vinto un Masters 1000 (tantomeno uno Slam) – ma lo ha fatto con il grado di maturazione di chi da quei successi di Amburgo ha saputo compiere tutto il percorso: stupire, crescere, imparare, maturare, vincere.
Un cammino fatto di soddisfazioni ma anche cadute, di stese pesanti e investituire importanti, come quando a San Pietroburgo portò via il suo primo titolo ATP a un certo Stan Wawrinka, uno che di finali non ne gioca tantissime ma quando ci arriva, di solito, sa solo vincerle.
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Zverev vince il suo 1° titolo in carriera: Wawrinka perde una finale dopo 3 anni!

Alexander Zverev è ufficialmente arrivato e comincia ora il suo viaggio tra i grandi. Un percorso in cui potrà contare sui suoi impeccabili fondamentali e 198 centrimetri d’altezza perfetti per poter scagliare potenti e precisi servizi (cosa che oggi come oggi, nel tennis, fanno già di per sé metà del lavoro).
A questo però c’è da aggiungere – e Roma ce l’ha messo in luce più che mai – l’ingrediente fondamentale, il lievito dei professionisti d’altissimo livello: il cervello.
Zverev è un ventenne, sembra un ventenne, si muove come un ventenne ma gioca come se ne avesse cinque di più; come se a questi livelli ci fosse da sempre. La finale vinta sul maestro dei tornei dei maestri – Novak Djokovic, nessuno ne tiene in bacheca più del serbo – ci ha fatto vedere un tennista dal braccio caldo ma dalla testa freschissima: mai un tremolio, mai una sbavatura, nemmeno quando doveva andare a servire per fare, nel suo piccolo, un pezzettino di storia recente del tennis.
Zverev è riuscito dunque, ben prima della sua nemesi Nick Kyrgios – che di talento puro ne ha forse di più, ma di cervello tennistico decisamente meno – laddove tutti pensavano potesse arrivare. Una conquista mica da poco nell’epoca dei predestinati “da catena di montaggio”, di gente da dare in pasto all’esaltazione precoce di social e web in cambio di qualche clic, di fenomeni che tali non sono ma che per esigenze di mercato e marketing lo devono diventare. Un bravo in più lo merita anche per questo; perché se è vero che il tennis è diventato più facile da giocare, certamente lo è più difficile da gestire fuori dal campo. Specie a soli vent'anni.
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Novak Djokovic, Alexander Zverev - Masters Rome 2017

Credit Foto Getty Images

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