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Djokovic 2.0, da New York a Parigi: la svolta "umana" del campione

Matteo Zorzoli

Aggiornato 09/11/2021 alle 12:06 GMT+1

PARIGI BERCY - L'abbraccio con i figli Stefan e Tara è l'istantanea fedele di un campione che ha fatto pace con se stesso. Il "fallimento" di settembre è stato metabolizzato ed è ormai un lontano ricordo

Novak Djokovic

Credit Foto Getty Images

L'avevamo lasciato in una valle di lacrime nel giorno più brutto della sua carriera, sportivamente parlando. Ad un passo da un record che l'avrebbe spedito dritto dritto nel gotha del tennis e che si è trasformato in un enorme rimpianto. L'avevamo scoperto più umano, con il pubblico che per la prima volta si era schierato apertamente dalla sua parte e che l'aveva "fatto sentire speciale" come mai gli era successo su un campo da tennis. Ci eravamo chiesti cosa ne sarebbe stato del campione e dell'uomo Novak Djokovic. Il successo di Parigi-Bercy ci ha dato tutte le risposte che volevamo.
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Il pubblico lo acclama, Djokovic non riesce a trattenere le lacrime

Un macinatore di record, ma più "leggero"

A 56 giorni dalla sciagurata finale di New York contro Medvedev, il Djoker è ritornato ad essere l'instancabile macinatore di record a cui eravamo abituati, esattamente come aveva fatto dopo l'altro "incidente di percorso" della sua carriera, ovvero la pallata alla giudice di linea (e successiva squalifica) agli ottavi di finale degli US Open 2020 contro Carreno Busta. Quella volta l'occasione del riscatto fu l'edizione autunnale degli Internazionali d'Italia (finale vinta contro Schwartzman), stavolta Parigi-Bercy, in finale proprio contro Medvedev e i fantasmi di Flushing Meadows. Stesso copione. A cambiare, però, è stato l'atteggiamento in campo del serbo, figlio anche del primo posto in classifica Atp blindato per il settimo anno (con sorpasso su Sua Maestà Pete Sampras). Lo ha detto lui stesso nella conferenza stampa dopo il trionfo:
"Mi sono sentito più rilassato, come se potessi giocare lo stile di tennis che vorrei davvero giocare ogni singola partita, sai, andare a rete ed essere un po’ più libero sui colpi".

L'abbraccio con Stefan e Tara

Un Djokovic più "leggero", ma di certo non meno concreto, che ha snaturato il suo gioco, scendendo a rete una marea di volte e minando punto dopo punto le sicurezza del genietto russo. L'atipicità del successo dell'AccorHotels Arena, però, non ha solo radici tattiche. Il serbo si è, infatti, concesso dei "fuoriprogramma" che ci hanno restituito alla perfezione le sue emozioni in campo: un lancio di racchetta in stile giocoliere dopo uno scambio estenuante, una genuina risata dopo un punto perso, tanti complimenti all'avversario sparsi nel match e un meraviglioso sorriso a Stefan e Tara, i suoi figli, ad un cambio di campo. Dettagli, vero, ma raramente abbiamo visto un Djokovic, a tratti, così spensierato. L'abbraccio con la famiglia è l'istantanea fedele di un campione che ha fatto pace con se stesso anche, e soprattutto, rifugiandosi in chi gli è più caro. Il "fallimento" di settembre è stato metabolizzato ed è ormai un lontano ricordo. Le sue parole lo confermano:
"È stato speciale. Sono estremamente fortunato ad avervi. È uno dei motivi principali per cui continuo a giocare. Ho sempre sognato di avere i miei figli sugli spalti, ora sono abbastanza grandi per farlo. Questa è la vita, condividere questi momenti con le persone care. I miei figli sono il mio più grande successo, il mio più grande tesoro".
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Djokovic: "Finché gioco, non penso ai traguardi storici"

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