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Rafael Nadal, l'uomo che ha rifiutato la resa e sfidato le leggi della natura che mancherà in questo Roland Garros

Federico Ferrero

Pubblicato 26/05/2023 alle 14:13 GMT+2

ROLAND GARROS 2023 - Forse in pochi sanno che, nella grande avventura che ha portato Nadal a giocare tutti i Roland Garros dal 2005 fino all’edizione che sta per iniziare, e nella quale il suo despota più inavvicinabile ha stabilito un primato che chissà chi e quando insidierà, c'è uno snodo decisivo che avrebbe potuto cambiare per sempre le cose ma a cui Rafa con ostinazione non si è arreso.

Top 10: tutto il meglio di Rafa Nadal al Roland Garros

C’è una storia di tennis, o meglio, di mancanza di tennis che si sarebbe potuta raccontare molto diversamente da come la conosciamo. E siamo andati vicinissimi a non conoscerla mai. No, non è un discorso sulle probabilità che un impiegato della Big Pharma svizzera capitasse in Sudafrica in viaggio di lavoro e incontrasse una ragazza, la sposasse, ci facesse due figli e, tra i miliardi di possibili combinazioni, nascesse un fenomeno dalle qualità naturali mai viste nel tennis. Quella è la storia di Federer e, semmai, ne parleremo un’altra volta.
Questa è la non-storia, perché ovviamente non è andata così, del Rafa prima che diventasse Rafa, pure nel nome. Sulle riviste specializzate - io me lo ricordo perché ci lavoravo e toccava a me controllare la corretta grafia di quella moltitudine di terraioli nel ranking - era Rafael Nadal-Parera. Quando se ne inizia a parlare, il ragazzino è anzitutto nipote di Miguel Angel Nadal, il calciatore del Barcellona. Ha 16 anni (vent’anni fa giusti) va a Barletta e gioca il challenger locale. Incontra in finale Tomas Behrend, di dodici anni più adulto, e lo batte. Primo titolo. Solo che Rafa, pardon, Rafael ha un gioco fin troppo vitaminico per quel fisico esile e secco; la maglietta azzurra Nike che porta indosso sembra di tre taglie più grande perché mancano deltoidi, braccia e torso a sostenerla. Pare un sacco, più che una t-shirt. E tutta quell’energia per colpire e spazzolare, correre e tirare su pesi costa cara: difatti, tornato a Manacor per preparare il primo torneo dello Slam della vita, cade e si lesiona il gomito destro. Il medico di Palma di Maiorca gli dice che gli è andata bene ma che deve tenere il braccio appeso al collo e no, ovviamente niente Roland Garros. A parlare per lui, in veste di coach e tutore, Toni, anzi no, Antoni (la stampa non lo aveva ancora reso “zio Toni”): “Una cosa molto brutta, mio nipote ci teneva molto a partecipare al suo primo Roland Garros”. Invero, non se ne accorge nessuno: quell’edizione di interregno la vince Juan Carlos Ferrero, il coach di Alcaraz, in finale su un parvenu olandese, Martin Verkerk, un omone che tira servizio e rovescio come se avesse da vendicarsi di qualche torto pesante a racchettate.

Lo snodo decisivo e il coraggio di reagire

A fine anno, Rafael è tra i primi 50 del mondo. Era partito da 203. Inizia a farsi conoscere come Rafa il guerriero. Qualche mese dopo, incontra Re Roger a Miami e – incredibile a dirsi – lo batte. In due set. Inizia la stagione sul rosso e Nadalino è carico a molla: va in Portogallo, all’Estoril, gioca due match e si fa di nuovo male. Manco scende in campo contro quel pazzoide di Irakli Labadze, un Nadal che ha applicato al contrario tutte le regole di disciplina di Toni, e si precipita in clinica dal dottor Ángel Ruiz Cotorro a Barcellona, pregando per buone notizie. Sono cattive: frattura da stress a un ossicino del piede sinistro. Al Roland Garros ci può andare, se vuole, ma a guardare gli altri giocare.
È una botta non da poco che, nella per il resto dimenticabilissima e anacronistica biografia del fenomeno spagnolo (pubblicata nel 2011, insomma, manco a metà carriera), viene curiosamente raccontata nuda e cruda, senza quel volémose bene un po’ democristiano che ammanta il resto del libro – e che ha accompagnato a lungo le dichiarazioni ufficiali di Rafa, in questi due decenni di carriera. Ecco come viene narrata la vicenda: Carlos Costa, il suo manager, decide di mandarlo a Parigi da spettatore. Rafa ci va controvoglia e con la stampella, si ferma due giorni al Bois de Boulogne. Dopodiché, invece di deprimersi o di ammirare le gesta altrui, si ritrova comprensibilmente frustrato perché “mi sentivo quasi male ad assistere a partite in cui si scontravano giocatori che sapevo di poter battere. Al mio team, ripetevo: ‘L’anno prossimo, questo titolo sarà mio’”. Difatti, va proprio così: Rafa trionfa a diciannove anni nella finale di Parigi 2005, superando Mariano Puerta e principiando la sua spaventevole collezione di titoli Slam, attualmente consistente in quattordici titoli del Roland Garros e ventidue major nel complesso.
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Mentalità Nadal: il riscaldamento pre-finale parte negli spogliatoi

E quindi? Beh: forse in pochi sanno che, nella grande avventura che ha portato Nadal a giocare tutti i Roland Garros da quell’anno fino all’edizione che sta per cominciare, e nella quale il suo despota più crudele e inavvicinabile ha stabilito un primato che chissà chi e quando insidierà, c’è uno snodo decisivo.
Finalmente ha potuto giocare il torneo che sentiva suo ancor prima di poterne prendere parte e, come da previsione sua e dei suoi famigliari, ha fatto polpette della concorrenza, alzando l’asticella del tennis su terra a un livello tanto superiore da ricordare la rivoluzione di Fosbury nel salto in alto, una cosa del genere. Pur tuttavia, a fine di quel 2005, il sogno sta per finire. Per sempre. Ormai numero due Atp e rivale diretto di Federer, al quale aveva fatto già assaggiare il gusto amaro della sconfitta seriale, Nadal finisce la stagione battendo 7-6 al quinto set nell’indoor di Madrid Ivan Ljubicic, futuro coach di Roger. Ma l’ossicino del quale Rafa, per sua ammissione, mai aveva sentito parlare prima di doversene occupare come di un molesto compagno di vita, decide di deviare il corso degli eventi. Lo scafoide tarsale. Lo stesso del 2004. La cura del riposo, irrogata come nella stagione precedente, stavolta non funziona. Rafa si sveglia la mattina e trova il piede gonfio. Non riesce ad appoggiare il peso del corpo sull’arto, si ferma una settimana, riparte. E il dolore, una specie di coltellata al collo del piede, pure: lo sbatte nuovamente sul divano. Cotorro, per la prima volta, allarga le braccia: il riposo non basta, eppure non esistono cure alternative. Se non fermarsi a tempo indeterminato. Altro, non c’è.
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Il disappunto di un giovane Rafa Nadal

Credit Foto Getty Images

Vietato dire non ce la faccio

Come avremmo imparato nel tempo a venire, Nadal e i “no” non sono mai andati d’accordo. Ma questa volta non è una questione di dilazionare l’attività: i Nadal fanno il giro delle sette chiese pur di trovare una via d’uscita ma non ci sono santi. Ci provano con un medico che l’altro zio, Miguel Angel, aveva conosciuto da calciatore. Responso: niente da fare, mai vista una cosa simile, impossibile da capire pure con la risonanza. Altro giro, altro dottore: a Madrid c’è il dottor Maceira, un luminare dell’ortopedia. Dopo una serie di test sfinente, la sentenza. Quel dolore allo scafoide non è un mistero né un malocchio da parte di qualche avversario invidioso ma null’altro che un difetto congenito. Un’eredità scritta nel Dna dei genitori. Quell’osso, piccino e defilato, negli anni infantili si deve necessariamente calcificare. Se qualcosa, nel corredo genetico, non fa partire il processo, in realtà non succede nulla di compromettente. Se Rafael Nadal-Parera vuole gestire l’albergo di famiglia a Manacor, si intende. Perché invece, per la carità, se mai si mettesse in testa di fare l’atleta professionista, allora tanti auguri. Anzi: aver giocato così tanto da bambino, ha aggravato ulteriormente la situazione, perché l’urto del piede col terreno deforma l’osso in maniera tale da esporlo non solo al rischio di infiammazioni croniche ma pure di fratture.
Maceira, al termine della diagnosi, confessa a Nadal che quel tipo di problema rende probabile il ritiro. La reazione di Rafa, padre, madre e zio fu un pianto corale di fronte alla scrivania del luminare. Racconta nel suo precoce memoir: “Ero distrutto. Mi sentivo come se la mia vita fosse stata tagliata a metà. Ero irriconoscibile: irritante, distante, cupo. Non parlavo della lesione neanche con i più cari amici e neppure mi aprivo con la mia ragazza, Maria Francisca, che stava diventando sempre più confusa e preoccupata per il cambiamento che vedeva in me. Ero triste, notte e giorno, […] rimanevo per ore sdraiato sul divano a fissare il vuoto, oppure seduto in bagno, o sulle scale, a piangere. Non ridevo, non volevo parlare, avevo perso la gioia di vivere”.
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L'esultanza di Rafa Nadal dopo una delle vittorie più importanti agguantate nel 2004

Credit Foto Imago

In una misura superiore agli eterni ritorni e rimbalzi della sua carriera, le cadute e i rilanci stellari, le rincorse, le sconfitte rifiutate, questa vicenda spiega perché esistono ragazzi ordinari e poi gli altri, quei pochissimi altri, che normali non sono. Come Andy Murray, che si fa smontare e sostituire pezzi di osso col metallo, pur di non andarsene salutando in posa, in una festa d’addio vestito in giacca. Perché vuole finire da giocatore, a modo suo. Come Rafa Nadal: azzoppato a vent’anni, coi medici che scuotono la testa, un male cane che ti impedisce di scendere dall’auto senza tenerti con le mani. Il resto, compresa la scommessa sulla salute – della quale pur si dovrà parlare, un giorno, perché di ex tennisti malconci per la vita ce ne sono sempre più – è quasi un accessorio. Cosa volete che sia, per un Rafa, farsi fare una soletta speciale per proteggere lo scafoide, salvo poi trovarsi tutto il corpo disassato e quindi meno equilibrio, strappi muscolari in zone fino a quel momento sane (cosce, schiena), una fiducia da rifare, una forma fisica da ricostruire, un ritorno al tennis dopo tanti mesi di arresti domiciliari e paure assortite? L’ostinazione e la riuscita di questi rarissimi fenomeni ci fa, erroneamente, valutare come normali o scontate cose che non lo sono: perché altri novantotto ragazzi su cento, quel giorno, nello studio del dottor Maceira avrebbero deciso di iscriversi all’università, o di andare a fare bisboccia con gli amici per dimenticare il prima possibile il crollo di un progetto iniziato da bambino.
Questa, in fondo, è la vera ragione per cui Rafael Nadal-Parera non è finito in qualche nota a margine degli annuari ma ha contribuito a scrivere la storia del nostro sport. In un età in cui mezzo mondo è ancor bamboccione e lui già campione, si è assunto il rischio di sfidare le leggi della natura umana e i suoi limiti, rifiutando la resa nello stesso modo in cui ha passato la vita a salvare palle break, set point, match point. Nel respingere la sconfitta, è già il più grande di sempre. E in questi giorni ci mancherà, sì.
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Nadal: "Quando tornerò? Non lo so, ma il 2024 sarà l'ultimo anno"

Roland Garros 2023: dove guardarlo in tv e live streaming

Il Roland Garros 2023 sarà trasmesso in esclusiva su Eurosport 1 ed Eurosport 2, oltre ovviamente a Discovery+, la nostra piattaforma streaming con tutti i campi a disposizione a partire già dalle qualificazioni al torneo al via lunedì 22 maggio alle ore 10:00. Il main draw invece prenderà il via domenica 28 maggio con i primi match del tabellone principale. Solo con la nostra piattaforma in live streaming digitale si potrà godere della copertura totale dei campi per seguire tutti i tuoi tennisti preferiti con un'offerta unica nel suo genere. Anche gli abbonati a DAZN, Sky (canali 210 e 211), e Tim Vision avranno a disposizione i due canali lineari di Eurosport 1 ed Eurosport 2 e potranno gustarsi il secondo Slam stagionale a partire dal 28 maggio 2023, giorno di inizio torneo del tabellone principale.

A quanto ammonta il montepremi?

Per questa edizione 2023 gli organizzatori hanno annunciato un sostanzioso aumento del montepremi: un +12,3% rispetto allo scorso anno, per un totale di 49,6 milioni di euro! Un ritocco al rialzo per ogni singolo traguardo raggiunto, dal primo turno di qualificazioni al vincitore finale, che incasserà nel singolare femminile e maschile ben 2,3 milioni di euro. Il prize money dei singolari è così suddiviso:
Vittoria 2,300,000
Finale 1,150,000
Semifinale 630,000
Quarti di Finale 400.000
Ottavi di Finale 240.000
Terzo Turno 142.000
Secondo Turno 97.000
Primo Turno 69.000
QUALIFICAZIONI
Turno decisivo 34.000
Secondo Turno 22.000
Primo Turno 16,000

Tutto ciò che troverete su Eurosport.it, la nostra app e i social

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NOVITA' - Da quest'anno, inoltre, potrete godere dello stesso servizio dell'app di Eurosport Player direttamente su Eurosport.it nella sezione "Watch", e nello specifico per lo Slam parigino nella sezione Roland Garros.
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Tennis 360 con Roberta Vinci, Jacopo Lo Monaco, Simone Eterno e Fabio Colangelo

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