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Medvedev: la vittoria agli US Open ha fatto di me un bersaglio - Players' Voice

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Aggiornato 23/08/2022 alle 12:45 GMT+2

PLAYERS' VOICE - In questa edizione di Players' Voice a raccontarsi è Daniil Medvedev, campione uscente all'Open degli Stati Uniti. Come è cambiata la vita del russo in un 2022 ricco di novità: dalla finale persa in Australia con Nadal all'infortunio, dal ban a Wimbledon alle ambizioni per Flushing Meadows.

Daniil Medvedev - Players' Voice

Credit Foto Eurosport

Tornare a New York mi riporta solo memorie felici, credo sia normale. Mi è sempre piaciuto giocare lo US Open, mi sono sempre sentito bene su questi campi e alla fine ho sempre ottenuto dei buoni risultati; questo se escludiamo ovviamente i primissimi anni della mia carriera. Farlo da campione in carica, dopo il titolo conquistato qui lo scorso anno, è naturalmente qualcosa di speciale.
Si dice spesso che vincere uno slam poi sposti le aspettative e diventi una cosa di difficile gestione, ma per me non è stato così. Sono contento di aver vinto il mio primo slam; è un passo, seppur grande, nella vita di ogni giocatore di tennis con grandi ambizioni. Possiamo sempre discutere su cosa sia più importante: le ATP Finals, la Coppa Davis, i Masters 1000 e così via dicendo. Ma gli slam sono qualcos’altro. Gli slam sono sopra tutto e vincere il mio primo major ha significato per me solo tre cose: felicità, fiducia in me stesso ed extra motivazione. Capire finalmente che ero stato in grado di vincere uno slam, specialmente battendo un giocatore come Novak in finale, è qualcosa che ti fa riflettere, che ti fa pensare ‘Ok, se sono stato capace di farlo una volta, posso rifarlo anche in futuro’.
E’ un qualcosa che cambia la tua prospettiva di giocatore, di come vieni percepito anche dagli altri nel tour. Vinci uno slam, diventi numero 1 della classifica ATP e vieni guardato in maniera diversa. Diventi una sorta di obiettivo, di bersaglio. Tutti vogliono batterti. Ed è normale. In ogni partita si aprono due scenari differenti: uno positivo e uno negativo. Ad esempio se inizio bene una partita, se tutto funziona come si deve, è come se percepissi che nella testa del mio avversario inizi questo discorso: “Oggi sta giocando in maniera incredibile, cosa posso fare più di così?”. Diversamente però, quando inizio male, quando sbaglio qualche colpo di troppo, i miei avversari pensano: “Devo dare tutto, è la mia grande occasione per battere il n°1 del mondo”. Tutto questo diventa più difficile da gestire perché è una situazione in cui ognuno cerca la sua grande impresa. Tutti vogliono trovare la 'vittoria importante' perché nessuno tra 6 mesi si ricorderà una cosa del tipo “sì, ha battuto il n°1 del mondo, ma quel giorno Medvedev – o Nadal, o chi per lui – non era al meglio”; no, tutti si ricorderanno che quel giorno hai battuto Medvedev. O Nadal. O Djokovic. Per questa ragione, appunto, dicevo che diventi un obiettivo per tutti.
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Medvedev: "Vorrei Djokovic allo US Open, ma non faccio io le regole"

Negli ultimi 12 mesi tante cose sono cambiate e tante cose sono successe. La finale dell’Australian Open, l’aver raggiunto il ranking di numero 1 al mondo, il mio infortunio in primavera, tante vittorie ma anche tante sconfitte. La vita di una giocatore di tennis è questa, ma cerco di prendere ogni aspetto e di farne esperienza positiva. Volete un esempio? Per quanto si sia discusso, l’Australian Open per me è stata un’esperienza positiva. Ho giocato un ottimo tennis. Ho vinto partite incredibili, come quella contro Felix (Auger Aliassime, quarti di finale n.d.r.) che non voglio dire che avrei dovuto perdere, ma dove ho salvato match point. E se salvi match point significa che alla sconfitta ci sei andato veramente vicino.
Certo, la finale contro Rafa resta un momento importante. Mi sarebbe piaciuto vincere. Ero avanti nel punteggio e sentivo di potercela fare. Dopo una sconfitta del genere, ovviamente, non è mai semplice. Sono stati giorni duri – direi settimane – dopo la finale dell’Australian Open. Ma oggi, quando riguardo indietro, vedo il lato positivo della cosa: mi dico che è tutta esperienza, che è semplicemente la vita di un tennista e se volete anche di un essere umano. E’ un processo di crescita complessivo. Capisci, ad esempio, che nella vita le cose non vanno sempre nel verso in cui vorresti; e questo nonostante quanto tu possa impegnarti nel volere quella cosa. Ecco, da quel giorno vedo le cose in maniera leggermente diversa.
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Daniil Medvedev e Rafael Nadal dopo la finale dell'Australian Open 2022

Credit Foto Getty Images

Poi, ovvio, ci sono tante partite che avrei voluto vincere. Ad esempio, dopo lo US Open, ho perso parecchie finali. Ho anche iniziato a pensare “Che succede? Perché nelle finali non riesco a essere più efficace come nelle partite precedenti?”. Poi, finalmente, a Los Cabos, sono riuscito a tornare a vincere un titolo, contro Norrie; un giocatore che è cresciuto tantissimo e che lì difendeva il titolo. Ed ecco di nuovo che torna il tema del ‘processo’. Non importa che sia una finale slam o un titolo a Los Cabos, è tutta una questione di esperienza, di mettere inseme gli insegnamenti che ogni partita, ogni torneo ti lascia. E di goderti i momenti qualsiasi sia alla fine il risultato: io sono felice di poter vivere momenti così, di poter fare ciò che mi piace.
Spero di poterne vivere ancora per questo finale di stagione, partendo dallo US Open. Non so se non aver giocato Wimbledon potrà aiutarmi a New York in termini di energie conservate, spero però che sia così. Mi sono preparato al meglio, ho avuto 3 ottime settimane di lavoro specifico per lo US Open e per il finale di stagione; che sono una cosa piuttosto rara nella classica stagione di un tennista, specialmente averle a metà dell'anno come nel mio caso. Insieme al mio team abbiamo lavorato tantissimo: fisicamente ma anche sull’aspetto mentale. Spero davvero di essere pronto per provare a difendere il mio titolo. Ma spero, soprattutto, di poter essere al 100% da qui alla fine dell'anno.
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