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US Open, l'ultimo Slam di Serena Williams: la leggendaria donna che ha cambiato il tennis

Simone Eterno

Aggiornato 24/08/2022 alle 12:05 GMT+2

US OPEN - Nessuno nell’era Open ha vinto più di Serena Williams quando si parla di tennis femminile. 23 titoli dello slam. E una percentuale dell’85% di successi in match ufficiali (856 partite vinte, 155 sconfitte). Questo sarà l’ultimo appuntamento di una leggenda assoluta di questa disciplina, una figura che ha rappresentato come il tennis non fosse uno sport d'elite ma un fenomeno popolare.

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30 ottobre 1995. Bell Challenger, Quebec City. Annie Miller, numero 149 del mondo, batte in meno di un’ora col punteggio di 6-1 6-1, al primo turno di qualificazione, una wild-card di cui nell’ambiente si era già iniziato a parlare. La 14enne Serena Williams incassa il suo primo assegno per aver partecipato a un torneo professionistico di tennis: 240 dollari americani. Ventisette anni dopo, solo dagli organizzatori dei tornei, Serena Williams avrebbe visto accreditarsi la cifra di 94,588,910 dollari. Tutto ciò al netto degli 80.000 dollari in più che si porteranno via gli inscritti al primo turno degli US Open 2022: l’ultimo torneo della carriera di Serena Williams.
Un viaggio infinito. 27 anni di successi, sconfitte, gioie e delusioni. Certamente di record. Nessuno nell’era Open ha vinto più della Williams quando si parla di tennis femminile. 23 titoli dello slam. E una percentuale dell’85% di successi in partite ufficiali. Il conteggio è piuttosto preciso: 856 partite vinte, 155 sconfitte. Un’autentica mostruosità sportiva.
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Al di là dei titoli da assegnare nel maschile e nel femminile, questo sarà l’ultimo appuntamento di una leggenda assoluta di questa disciplina e di una figura che, insieme alla sorella Venus, ha forse rappresentato la cesoia secca, definitiva, nella percezione del tennis a livello globale: da sport di élite destinato a un tipo di pubblico a fenomeno popolare il cui potenziale accesso si allarga a masse prima mai considerate. Non serve ripercorrere le note origini della famiglia Williams, riportare su grande schermo per altro anche di recente attraverso la pellicola ‘King Richard’, uscita nel 2020 – lo scorso anno in Italia, per comprendere come la storia delle sorelle Williams nasca da un concetto sostanzialmente opposto a quello che nell’immaginario collettivo globale era sempre stato: dall’alta borghesia di Wimbledon allo sgangherato cemento del ghetto di Compton, Los Angeles, tra sparatorie di gang rivali e spaccio a cielo aperto. Le Williams hanno definitivamente, dopo Arthur Ashe, mostrato al mondo che non bisognava essere nobili e ricchi per accedere al tennis. “Se ce l’ha fatta lei, partendo da lì, perché non posso farcela io” la sorta di mantra che ha racchiuso in ogni suo singolo successo Serena. Poi, ovvio, servono talento, ossessione e lavoro.
Perché quella di Serena non è solo la storia di qualcuno che “ce l’ha fatta”. Non è solo in classico esempio di emancipazione attraverso lo sport. Insieme a tutto questo c’è l'aver riscritto le regole della disciplina: la fisicità imposta da Serena Williams, ancor più della sorella Venus, è stata anche in questo caso un’altra cesoia definitiva dei tempi. Un passaggio netto, finale, tra il vecchio e il nuovo: dal tennis del tocco, del gesto e del ricamo al tennis della potenza e dei materiali. Un’epoca che per quanto rimpianta da molti, rappresenta la naturale evoluzione della specie umana. Ecco allora che nessuno, più di Serena nel campo femminile, ha incarnato come meglio avrebbe potuto – anche grazie alla doti di Madre Natura – questa inevitabile rivoluzione antropologica della disciplina, se così la possiamo definire.
E’ anche questa ragione, al di là di record, titoli, slam, del personaggio e di tutte le sue storie, che l’ultima partita di Serena Williams prende una connotazione iconica: quella dell’evento a cui nessuno, negli Stati Uniti, vuole mancare. L’addio al tennis di Serena rappresenta infatti il saluto definitivo di un personaggio a cui è destinata l’immortalità di questa disciplina, proprio il doppio peso specifico che il suo ingresso in gioco ha rappresentato per questo sport. Una pagina destinata ai libri di storia. Un appuntamento a cui nessuno vorrà mancare e che non a caso è già stato preso d’assalto al momento dell’ufficialità della notizia. Quando dalle pagine di Vogue la Williams ha annunciato lo scorso 9 agosto di essere pronta a salutare tutti agli US Open, le prime 3 sessioni serali a Flushing Meadows sono andate letteralmente a ruba. A comunicarlo gli stessi organizzatori, che informavano come il 9 agosto avessero venduto 16500 biglietti: più di quanto avessero fatto nei precedenti 7 giorni. Prezzi poi naturalmente schizzati sul mercato dei rivendite ufficiali come Stubhub o TicketIQ: e questo ancora non sapendo la giornata in cui Serena giocherà il suo match di primo turno. Quel che è certo, insomma, è che non mancherà lo show. Sugli spalti, con un sold out già scritto, così come da parte degli organizzatori, che per l’occasione avranno allestito quel tipo di cerimonia che tanto riesce bene agli americani, leader assoluti quando si tratta di celebrare le proprie leggende. L’appuntamento è già fissato. Il resto lo farà la vena tennistica di Serena: spostare il più in là possibile la cerimonia, infatti, resta l’ultimo obiettivo della Williams. Forse, visto il momento, il più complicato di tutti.
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