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Come il disastro di Le Mans 1955 ha cambiato il mondo delle corse

Stefano Dolci

Aggiornato 12/06/2015 alle 16:04 GMT+2

L'11 giugno di 60 anni fa la 24 ore di Le Mans fu funestata dall'incidente più drammatico della storia dell'automobilismo nel quale persero la vita 83 persone, compreso il pilota francese Pierre Levegh, e rimasero ferite 120 persone. Quella tragedia cambiò per sempre l'interesse nei confronti della sicurezza da parte del mondo della velocità

Un immagine della tragedia di Le Mans 1955, AFP

Credit Foto AFP

Ci sono giornate nella storia dello sport nelle quali ti rendi conto che le cose non saranno mai più come prima. Nelle corse automobilistiche per trovare quel giorno bisogna tornare indietro di 60 anni, precisamente all’11 giugno 1955 quando durante la 24 ore di Le Mans si verificò l’incidente più drammatico della storia della velocità nel quali persero la vita 83 persone, compreso il pilota francese Pierre Levegh, e rimasero feriti oltre 120 individui accorsi nella città della Loira, esattamente come altre decine di migliaia di appassionati, per vedere sfrecciare i piloti più forti del mondo sulle vetture più evolute e veloci dell’epoca. Dopo quella immane tragedia si iniziò veramente a lavorare in maniera logica e costruttiva sull’importanza di rendere i tracciati sicuri sia per i piloti sia per gli spettatori: se oggi, per fortuna, la percentuale di incidenti drammatici nelle gare di velocità sono decisamente diminuiti e le vie di fuga, piuttosto che gli air fence, hanno fatto capolino su ogni pista è certamente un effetto di quel disastro che svegliò le coscienze di tutti su un tema centrale fino a quel momento trattato con troppa superficialità.

La dinamica

Per raccontare l’incidente più grave della storia dell’automobilismo non si può non partire da Pierre Levegh, un 50enne driver per cui la 24 ore di Le Mans era diventata non una semplice corsa ma una vera e propria ossessione. Sin da quando poco più che ventenne aveva assistito alla prima edizione della leggendaria gara lo scopo della sua vita era diventato quello di vincere la 24 ore di Le Mans. Levegh ci era andato vicinissimo nel 1952 quando la sua Talbot ruppe il motore nell'ultima ora di gara con quattro giri di vantaggio sul secondo classificato, a causa di un cambio marcia errato causato dalla stanchezza del pilota che scriteriamente aveva guidato ininterrottamente per oltre 22 ore senza cedere il volante al compagno di squadra  Jean Trevoux. Quella condotta di gara assolutamente folle e scriteriata fu unanimente deplorata da addetti ai lavori e tifosi ma non da Alfred Neubauer, il direttore sportivo della Mercedes Benz che a fine gara entrò nel box di Levegh e gli promise che la prossima volta che la Mercedes si fosse presentata ai nastri di partenza della Le Mans una delle vetture tedesche sarebbe stata guidata proprio da lui.
La Mercedes si astenne da Le Mans sia nel 1953 sia nel 1954. Ma nel 1955 tornò prepotentemente in auge con le formidabili 300SLR e tre equipaggi composti da Fangio e Moss come prime guide, André Simon e John Fitch come seconde guide e Karl Kling e proprio Pierre Levegh come piloti dell’ultima vettura. Per Levegh si trattava della chance della vita ma qualcosa non andava: sin dalle prime prove si intuì che quel bolide fenomenale era inadeguato per uno come Levegh che era quasi intimorito dalla potenza della 300SLR e non riusciva ad essere veloce come al solito. Nelle qualifiche era stato il più lento in pista dei piloti Mercedes che si era già pentita di avergli dato fiducia. In cuor suo la casa tedesca era arrivata a sperare nel ritiro ma Levegh era troppo ostinato e cocciuto per fare una cosa del genere.  Per lui quella fu l’ultima corsa perché nel corso della terza ora di gara  sul rettilineo dopo la chicane Ford la sua Mercedes 300SLR agganciò a velocità altissima la Austin-Healey di Lance Macklin che fu costretto a spostarsi repentinamente verso i box per evitare un tamponamento con la Jaguar D-Type di Mike Hawthorn, rientrata ai box.
Dopo aver urtato un cumulo di terra, la Mercedes di Levegh si schiantò sulla barriera che divideva la pista dalla tribuna davanti ai box, prendendo fuoco. Alcuni pezzi dell'auto (il cofano, l'asse anteriore delle ruote, ed altri) volarono sulla tribuna piombando violentemente sugli spettatori che furono letteralmente falciati e travolti dall’esplosione e dai detriti. Solo la gente sopravvissuta in tribuna e qualche meccanico della Mercedes, che in meno di un quarto d’ora raccolse tutti i pezzi della macchina di Levegh, si accorse con lucidità della portata della catastrofe occorsa di certo la stessa solerzia non la ebbero gli organizzatori e le autorità che decisero di non sospendere la gara per per evitare che la gente, presa dal panico, lasciasse il circuito intasando le strade e ostacolando così l’arrivo dei soccorsi. In un clima surreale la corsa arrivò alla fine e per un beffardo segno del destino proprio Mike Hawthorn, pesantemente implicato nell’incidente, vinse la 24 ore brindando e gioendo fra l’altro come se nulla fosse. Quei festeggiamenti rimasero una macchia indelebile nella carriera di Hawthorn (che dopo quella Le Mans arrivò anche a vincere un titolo mondiale di Formula 1 con la Ferrari).
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Un immagine della tragedia di Le Mans 1955, AFP

Credit Foto AFP

Le conseguenze del disastro

In seguito all’incidente, molte gare della stagione furono cancellate. Non si disputarono  il Gran Premio di Germania, la Coppa Acerbo e il Gran Premio di Svizzera. La Svizzera introdusse una legge per vietare le gare automobilistiche sul suo territorio (una normativa in vigore ancora oggi!) mentre la Mercedes, dopo aver vinto il campionato di F1 con Fangio, si ritirò dalle corse in segno di rispetto per le vittime, e vi fece ritorno solamente 32 anni dopo, nel 1987. Negli Stati Uniti l'American Automobile Association il più prestigioso automobile club della nazione, decise di chiudere qualunque attività sportiva. Nonostante un’inchiesta ancora oggi non si conosce con chiarezza i perché e le colpe di quella strage. Di certo c’è che il disastro di Le Mans ‘55 resta una delle pagine più nere della velocità che, anche a 60 anni di distanza, qualunque appassionato e addetto ai lavori non deve mai dimenticare.
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