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Olympic Breakfast - Lopez Nunez, addio dorato al simbolo della resistenza nella sfida più romantica possibile
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Pubblicato 07/08/2024 alle 08:50 GMT+2
PARIGI 2024 - Il mondo dello sport saluta un Campione con la C maiuscola, un uomo capace di vincere cinque ori in cinque partecipazioni olimpiche, a partire da Pechino 2008. A 42 anni e cinque ori lascia Mijaìn Lòpez Nunez e lo fa nel modo più romantico: vince contro il connazionale che ha sempre oscurato, quello Yasmani Acosta che è dovuto diventare cileno per poter combattere.
Mijain Lopez chiude da leggenda: 5° oro di fila e si slaccia le scarpe
Video credit: Eurosport
Il gigante dalle braccia di piombo è sudato, stanco, sembra più vecchio che mai. Le rughe d’espressione che contornano i suoi occhi sono profonde come quelle di un pescatore solitario, ormai bruciato dal sole, e sfinito dal peso che porta sulle spalle. Le mani callose, che per decenni interi hanno stritolato, costretto e poi battuto quelle degli avversari, provano goffamente a slacciare le scarpe, in un gesto molto simbolico, per chi vive di lotta, ma anche tremendamente scomodo per un uomo dalle sue proporzioni. Così, con una fatica cerimoniosa, i suoi 130 kg si rannicchiano in un cumulo di ossa e muscoli, provati dal tempo e scolpiti nella memoria, per un istante di pura e perfetta comunione con il contorno: platea che velocemente diventa un palco. L’arena intera lo applaude, del tutto consapevole del momento presente e del suo significato. Grida, scandisce gli “olè”. Come una bussola, lo seguono ovunque cellulari col flash, pezzi di Occidente che quando ha cominciato a lottare lui, sarebbero stati difficili persino da sognare, soprattutto a Cuba. Come se fossero il regalo di una civiltà aliena.
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Mijain Lopez Nunez
Credit Foto Getty Images
Ha 42 anni e la pelle spessa, come un elefante. E quando si rimette in piedi, lasciando le scarpe al centro del tappeto, perché tanto a lui non serviranno più, si concede un sospiro solo. Profondo. Antico. È come se il magma che ribolle dentro di lui avesse finalmente il diritto di tacere. Mijaìn Lòpez Nunez è più di un atleta, più di un lottatore, più di una leggenda Olimpica. È più della somma delle sue cinque medaglie d’oro consecutive nella stessa disciplina, da Pechino 2008 a Parigi 2024. È persino di più della loro moltiplicazione. Più del loro racconto. Più del loro mito. Perché Mijaìn Lòpez Nunez è un simbolo del passato e della fede persa. Un’immagine stessa della Resistenza cubana.
Cuba è un posto strano per fare sport, perché è come se fosse ricoperta per intero da una polvere sottile, che sa essere nostalgia e sa essere arretratezza con la stessa identica facilità. Nello “Stato socialista dei lavoratori” lo sport ha sempre agito come elemento indentitario, come stella polare di un’appartenenza collettiva messa a dura prova dalle generazioni che passano e dalla globalizzazione che colonizza tutto quello che trova. Uno strumento di competizione col Mondo, fedele sempre all’idea del principio. La prova incontrovertibile che la Rivoluzione funziona, che la gente è felice, che Cuba è forte. Lo sport, “diritto del popolo”, viene tolto alle élite e portato nelle scuole, nei quartieri, nelle strade. Persino per le persone con una disabilità, ben prima che accadesse nel resto del Pianeta. La pallavolo e il baseball, prima di tutto, e poi il pugilato e la lotta: nomi come Teofilo Stevenson, Lucilla Urgelles, Luis Tiant e decine di altri, che diventano, ognuno a modo proprio, un sinonimo della nazione stessa.
Poi, però, il Muro di Berlino cade, e Cuba resta sola e più isolata che mai in una geografia mondiale che si fa sempre più piccola. Restare a casa, all’improvviso, non basta più. Non basta più perché fuori ci sono i grandi campionati stranieri, i soldi degli sponsor, degli Stati che non pretendono di orchestrare ogni passo della tua esistenza. Se ne vanno in tanti. Se ne vanno quasi tutti, accolti a braccia aperte da squadre, federazioni e comunità lontane, pronte a farne campioni “loro”. Mijaìn invece no. Il gigante resta, quasi costretto dalla sua immensità sportiva a continuare a lottare, a continuare a vincere, in nome di una Rivoluzione che deve continuare a esistere e di un Paese che gli affida la bandiera della Cerimonia d’Apertura ogni volta che può. Più una preghiera che un onore. Vince, Lòpez Nunez, vince da sempre e lo fa perché non ha alternative, incastrato nel suo pezzo d’ambra magnifico e soffocante, come un insetto di un milione di anni fa.
E quando si rialza per l’ultima volta dal tappeto, sollevando ancora il peso di un popolo intero, ad osservarlo da vicino, con gli occhi fieramente asciutti, c’è anche la medaglia d'argento, Yasmani Acosta. Lo sconfitto. Nonostante la divisa dica Cile, in realtà è cubano pure lui, ed è il manifesto vivente dell’immortalità senza via d’uscita del grande campione. Neppure lui è più un ragazzino, tutt’altro, ma il solo motivo per cui non difende più i colori della sua terra risiede proprio nella parabola dell’invincibile avversario.
Per anni, e anni, e anni, Yasmani ha vissuto all’ombra del gigante, del padre della Patria, vedendo infrangere, stagione dopo stagione, il sogno a Cinque Cerchi, sull’altare della Nazione e del suo figlio prediletto. Mai una partecipazione, perché quel posto è di Mijaìn. Fino al giorno in cui è scappato, cercando riparo altrove, nella speranza di riuscire, prima della fine, a vedere anche lui, come sono fatte le Olimpiadi. Ci è riuscito grazie al Cile, prima a Tokyo, perdendo in semifinale, e poi qui, a Parigi, dove il sogno di una vita non poteva che sbattere contro le mani di compagno di mille battaglie, ma di nessuna guerra. L’esito è scontato, fin dal principio: perché non può certo essere un figlio di Cuba a fermare la sua incarnazione vivente. Un incontro pieno di rispetto e di formalismi, come quelli del regno animale, che Lòpez Nunez ha voluto lasciar trascorrere fino alla fine, invece di chiudere prima. Come omaggio all’amico fuggito, magari. Oppure per gustarsi fino all’ultimo istante la perfezione del suo racconto. Alma de Cuba: incubo di Yasmani e simbolo di tutti gli altri.
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Dal 5° oro di fila di Lopez a Furlani e Zurloni: il meglio di martedì 6 agosto
Video credit: Eurosport
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