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Tamberi e quelle lacrime genuine: il sogno non può finire qui

Paolo Pegoraro

Aggiornato 17/07/2016 alle 10:00 GMT+2

Le lacrime di Gimbo Tamberi al momento del responso dell'ecografia, il sogno di Rio spezzato e quelle critiche bacchettone. La traiettoria dell'altista marchigiano non può finire così, dopo aver dimostrato di poter signoreggiare sull'elite mondiale. Jury Chechi insegna: si può tornare più forti di prima, si può andare a riprendere un sogno interrotto.

Tamberi - Salto in alto - 2016

Credit Foto LaPresse

PAVIA - Sono stato testimone oculare delle lacrime di Gimbo Tamberi seguite all’impietosa ecografia eseguita dall’equipe guidata dal professor Benazzo presso il dipartimento di Ortopedia Traumatologia dell’Ospedale San Matteo di Pavia. Ho visto il sogno di Rio deformarsi davanti ai miei occhi, perché di fronte a reazioni del genere non si può che partecipare a un dolore così forte e al contempo genuino. Già, hai voglia a riscrivere primati nazionali su primati, piantare la bandierina in vetta al mondo in quel tempio del track and field rappresentato dalla città di Portland oppure arrampicarsi sulla cima d’Europa quando l’unico obiettivo plausibile è quello della gara della vita, che manco a dirlo fa rima baciata coi Giochi olimpici. Rio, Rio, Rio, ripetuto come un mantra a ogni intervista e ora svaporato per un maledetto tentativo a 2,41.
Gianmarco mi si mette a piangere e ora qui comincio a piangere pure io (Marco Tamberi)

Il salto incriminato e il falso mito della scarpa rotta

Dimenticatevi la scarpa aperta, il presunto infortunio in volo, tantomeno il possibile trauma coinciso con un fantomatico brusco atterraggio. Dall’entourage di Gimbo – disponibilissimo, dal papà/coach/angelo custode Marco che c’incenerisce con lo sguardo ma poi abbassa le difese, al consigliere federale Campari passando per la ristrettissima cerchia familiare del campione – assicurano che l’origine dei mali sia da ricercare nello stacco, in quella torsione innaturale e nefasta del piede sinistro al momento di spiccare il volo verso la ragguardevole quota. Il più classico degli infortuni dei saltatori in alto, né più né meno.
Dopo l’immediato consulto nell’ospedale di Montecarlo la fiammella della speranza era ancora accesa, ma il rigonfiamento alla caviglia e i forti dolori accusati dall’altista marchigiano l’indomani mattina non lasciavano ormai adito a dubbi sulla gravità dell’infortunio. La diagnosi del professor Benazzo - parziale lesione del legamento deltoide - non faceva altro che confermare ciò che aveva ormai assunto i crismi dell’ineluttabile. Al ragazzo spetta ora la scelta di procedere con l'intervento chirurgico o meno: ripresa degli allenamenti fissata tra non meno di quattro mesi e goodbye Rio. "In gara non mi sono mai fermato e non l'ho fatto nemmeno ieri perché non puoi immaginare che ti vai a fare male...Poteva succedere a 2.20 come a 2.40" trova il tempo di confessarci Gianmarco nonostante l'enorme peso di un mondo che crolla addosso.

Quelle critiche insensate

Sembra una contraddizione in essere, ma questo personaggio così genuino e anticonformista capace di riportare la bistrattata atletica leggera azzurra agli onori delle cronache invece di generare una ventata d’aria fresca divide l’opinione pubblica. Da una parte i sostenitori (per fortuna in nutrita maggioranza, non solo entro i nostri confini), dall’altra i detrattori che proprio non riescono a tollerare quel look “un po’ così”, che hanno stigmatizzato certe sparate di Tamberi nei confronti di Alex Schwazer e addirittura imputato a una presunta ostinazione dell'altista l’incidente alla caviglia.
Guelfi e ghibellini, in linea con il patrimonio genetico del nostro popolo. Un popolo che non sempre incoraggia spontaneità e diversità arenandosi di fronte alle apparenze e scoprendosi bacchettone: meglio atleti fatti con lo stampino oppure formidabili agonisti che si nutrono dell’entusiasmo del pubblico e proprio grazie a cotanta energia riescono ad avventurarsi oltre i propri limiti? Dopotutto l’HalfShave altro non è che un rituale scaramantico da sfoderare rigorosamente nelle finali per propiziare la catarsi con il pubblico: se si accompagna a prestazioni eccellenti dove si nasconde il problema? E poi ci sono quelle lacrime così genuine e tangibili: le lacrime scatenate da un sogno interrotto ma cui - siamo sicuri - ben presto il diretto interessato saprà ridare forma nel solco già tracciato da fior di campioni azzurri quali l'eterno Jury Chechi.
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Gianmarco Tamberi: tutti i salti verso un oro storico

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