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Domantas Sabonis rivela: "La Spagna ha provato a prendermi per la Nazionale. Ma mio papà ha rifiutato"

Daniele Fantini

Pubblicato 09/04/2024 alle 15:08 GMT+2

BASKET, NBA - Domantas Sabonis, figlio del leggendario Arvydas e star dei Sacramento Kings, racconta un dettaglio della sua esperienza nelle giovanili. A 14 anni fu invitato per un camp dalla rappresentativa spagnola, alla ricerca di un mezzo per nazionalizzarlo e poterlo poi avere a disposizione per la squadra senior.

Domantas Sabonis con il papà Arvydas

Credit Foto Getty Images

Dopo aver concluso la carriera con una personalissima "Last Dance" allo Zalgiris Kaunas, Arvydas Sabonis scelse la Spagna come luogo del suo buen retiro. Lì, nel Paese dove aveva già vissuto tra il 1989 e il 1995, quando giocava tra Valladolid e Madrid. Il minore dei suoi figli maschi, Domantas, ha conosciuto la Spagna per molti anni. Da bambino prima e da ragazzino poi. Ha cominciato lì la carriera da professionista, a Malaga, con l'Unicaja e la squadra satellite della Clinicas Rincon Axarquia. Ed era già talmente promettente da ricevere, nel 2010, la chiamata della nazionale spagnola.
Come noto, e già visto nel recente passato per Nikola Mirotic e Serge Ibaka, fino ad arrivare al clamoroso caso del passaporto "regalato" a Lorenzo Brown in occasione di Eurobasket 2022, la naturalizzazione di giocatori stranieri tramite il processo di formazione giovanile è molto semplice in Spagna. Tanto da spingere la Roja a giocarsi un jolly anche per Sabonis. Una manovra impedita dal pronto intervento di papà Arvydas, leggenda della nazionale lituana, con cui vinse due bronzi olimpici (1992 e 1996) e un argento europeo (1995). E che non avrebbe mai permesso al figlio di rappresentare colori diversi da quelli del Paese baltico, liberatosi dalla dipendenza sovietica soltanto nel 1990.
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Domantas Sabonis schiaccia durante i Mondiali del 2019 con la canotta della Lituania

Credit Foto Getty Images

«Giocare in Spagna mi ha permesso di sviluppare le mie qualità all-around - ha raccontato Domantas parlando al podcast di Adrian Wojanrowski -. Parlo dei miei anni da teenager, i più importanti per la mia formazione. Quando ero molto giovane, a 14 anni, cercarono di convincermi a giocare per loro. Mi dissero: 'Vieni con noi a questo camp estivo. È soltanto un camp'. Ma mio papà intervenne e rigettò immediatamente l'offerta. Mi disse: 'No, no. Tu quest'estate verrai in Lituania'».
«Le generazioni si susseguono - ha proseguito la star dei Sacramento Kings -. Ma i sentimenti non cambiano. Non c'è nulla di più bello che giocare per la Nazionale. In Lituania, il basket è come una religione. Essere con la Nazionale, ogni estate, è qualcosa che non si può paragonare a nessun'altra partita. Ogni anno, sotto i colori della nostra bandiera, si crea un gruppo speciale di ragazzi, a prescindere dalla squadra in cui giochiamo. Costruiamo legami che trasportiamo poi anche in campo».
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