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Ali Dia 23 anni dopo: la storia del finto cugino di Weah che truffò la Premier League

Stefano Fonsato

Aggiornato 23/11/2019 alle 13:04 GMT+1

Che fine ha fatto Ali Dia, che il 23 novembre 1996 si spacciò per un attaccante professionista "cugino di George Weah" fino ad esordire per 53' in Premier League con la maglia del Southampton? Attraverso le parole del figlio Simon, Eurosport Italia lo scopre nella sua nuova vita da businessman 54enne in Qatar. Tuttavia, l'aura del falso mito calcistico non è mai tramontata.

Ali Dia - Southampton - Premier League 1996

Credit Foto From Official Website

Mio papà? Sì, sono in contatto con lui. Vive e lavora in Qatar e se la passa bene
Rintracciato da Eurosport Italia, il calciatore semiprofessionista in Francia Simon Dia risponde, una volta per tutte, alla domanda che ogni appassionato di calcio e di storie misteriose che lo circondano, si sarà fatto almeno una volta: "Che fine ha fatto Ali Dia?". Per una volta, la leggenda del finto cugino di George Weah, del più grande impostore della storia del calcio, può essere raccontata attraverso un flash forward. Dal momento che per anni, questa storia iniziava con un mistero, si arricchiva di particolari per poi perdersi nella nebbia dei dubbi e dei "chissà?".

Numeri primi, una storia unica

Ventitré. E' il numero del mistero, dei significati esoterici. Nella smorfia napoletana rappresenta il "giullare di corte". Esattamente 23 anni fa, il 23 novembre 1996, Ali Dia scrisse la storia della Premier League da un'altra prospettiva: quella dell'uomo che la canzonò, appena 10 anni prima dal diventare il campionato europeo di riferimento. Attraverso una serie di combinazioni irripetibili, Dia - pedatore dilettantesco che si era finto un attaccante professionista cugino primo di George Weah - trovò il modo di giocarci per 53 paradossali minuti con la maglia del Southampton, ingannando tutti: l'allenatore dell'epoca Graeme Souness (non proprio di primo pelo, l'ex Liverpool, Sampdoria e Torino, da tecnico), tifosi, e la patria del calcio.

Gli inganni tra Francia, Finlandia e Germania

Ripercorrere quell'inganno colossale è sempre uno spasso. E' una storia che non stanca mai. E' quella di colui che, in fondo, è un bravo ragazzo, partito da Dakar (dov'è nato, nel quartiere di Dieuppeul-Derkle, nel 1965) in cerca di fortuna. Un po' nel calcio e un po' negli studi. Ali Dia è una "testa fina", un volenteroso pronto a tutto per realizzare i propri sogni. Inizialmente si concentra sul football e, ritrovatosi in Inghilterra alla soglia dei 30 anni, non ha ancora abbandonato il sogno di giocare in uno dei più grandi campionati europei. Si spengono le 31 candeline e Dia non ha mai varcato la soglia del professionismo. Tutt'altro, ne è sempre stato piuttosto distante: la prima tappa europea è in Francia. Ci prova con Beauvais e Digione ma l'inadeguaezza è già lampante, tanto da finire nel profondo dilettantismo con le maglie di La Rochelle e Olympique Saint-Quentin. L'epoca dello scouting multimediale è ancora distante e Dia prova a portare quel suo misto di inganni e speranze in Finlandia: 5 presenze tra i dopolavoristi del Finnairin Palloilijat, poi il tentativo al Pallokerho-35, che nel 1995 disputava la "Kakkonen" la terza divisione. Terzo posto e promozione sfiorata ma di Dia, nessun ricordo calcistico in particolare, come spiega a Eurosport Italia Timo Asikainen, il presidente onorario del club della città di Vantaa:
Un ragazzo davvero gentile, educato, simpatico ma, probabilmente, non al meglio delle sue performance quando si unì alla nostra squadra. Qui tutti lo ricordiamo ancora: si impegnò molto e, nonostante tutto, lo ringraziamo per il contributo che ha dato al nostro club".
In fondo, la terza serie filandese, per di più a metà degli anni Novanta, non era uno scoglio così insormontabile. Per un ragazzo che, comunque, atleticamente si presentava preparato. Dia allora decise di alzare l'asticella dell'azzardo presentandosi al Lubecca, neopromosso in Zweite Bundesliga. Ma, anche qui, due presenze e, capita l'antifona, "arrivederci e grazie".

L'Inghilterra nel mirino

Era il 1996 e, senza internet come bene comune, Dia decise di prendere di mira l'Inghilterra. Trovò qualche spazio sulla strada per la Scozia, tra i dilettanti del Blyth Spartans, in settima serie. Senza pretese la squadra così come il suo tesseramento. Ali, nel frattempo, si iscrive alla facoltà di Economia alla Northumbria University di Newcastle. A quel punto, scatta il "genio". Convince un suo amico a fingersi al telefono George Weah,fresco di Pallone d'Oro e Fifa World player. Il calciatore del Milan era l'attaccante più in voga del momento, la Serie A il campionato più seguito e invidiato.

"Mi manda Weah"

E' in quel contesto, e in una Premier League che - di fatto - non si era ancora rialzata dal recente isolamento dalle competizioni europee, che è da collocarsi il misfatto. Il "basista" di Dia - un ottimo segugio anche nel recuperare i contatti giusti - alza la cornetta e prima contattò il West Ham. Riesce a parlare nientemeno che con l'attuale coach Harry Redknapp:
Pronto, sono George Weah. Ho un cugino senegalese: si chiama Ali Dia ed è un ottimo attaccante. Non è come me ma ha la mia parola: se la cava alla grande coi gol. Prendetelo! Ho giocato con lui al PSG e conta già 13 presenze con la sua nazionale.

Il Southampton in crisi di Souness

Ma a Redknapp non la si dà a bere. Incredibilmente, però, il secondo tentativo andò in porto. E dire che, dall'altra parte dell'apparecchio c'era un'altra vecchia volpe del calcio britannico, lo scozzese Graeme Souness, manager del Southampton con problemi di classifica e di organico, specie in attacco. Tra infortuni e sconfitte, l'atmosfera al "The Dell" era a dir poco turbolenta. Ecco, quindi, l'incredibile concatenazione di eventi: Dia non si aggrega in squadra, come tutti i provinanti, di lunedì: è già venerdì quando gioca la sua prima partitella.
C'è poco tempo per valutarlo. Inoltre si trova pure a saltare il passaggio obbligato nella squadra riserve, che avrebbe giocato contro l'Arsenal: Souness ha bisogno di almeno un attaccante in panchina e, 24 ore dopo averlo conosciuto, decide clamorosamente di convocarlo per la partita della prima squadra contro il Leeds United. Minuto 32: il mito e bandiera dei Saints Matthew Le Tissier si fa male al polpaccio e non può continuare il match. Dentro Ali Dia! Ali chi? Nemmeno i tifosi lo conoscono, tantomeno lo speaker ufficiale, che pronuncia così il suo nome al megafono: "Ali Da-iah". Il "delitto perfetto" era realizzato e, subito, ci fu pure la possibilità che la storia finisse in gloria: dopo pochi minuti dal suo ingresso in campo, Eyal Berkovic confeziona un pallone perfetto per Dia, che solo davanti a Nygel Martin (non uno qualunque) calcia scoordinato sul primo palo, favorendo la parata del portiere irlandese del Leeds.

"Headless Chicken" o "Bambi on Ice"? Sul campo di Premier, un dilettante allo sbaraglio

Ma l'inganno fu presto svelato: dopo quella occasione, Dia prese a correre a caso per il campo, come un "headless chicken" (un pollo senza testa), come vengono soprannominati in Regno Unito i calciatori che fanno i chilometri ma, tecnicamente, valgono poco o nulla. Sul terreno fangoso del "The Dell", il falsario senegalese è impacciato, non azzecca uno stop ed è sempre fuori tempo. Le Tissier, lo guarda con occhi sgranati e su di lui ha ricordato in numerose circostanze:
Sembrava di vedere Bambi pattinare nel ghiaccio. Si vedeva che non aveva assolutamente l'idea di calcio di un giocatore Premier League. Ma nemmeno professionista. Come finì tra di noi, proprio non so spiegarmelo. Nessuno, ancora oggi, riesce a farlo. Resta un mistero, che ovviamente si ingigantisce col passare degli anni. Anche negli spogliatoi eravamo in imbarazzo. Con noi Dia giocò una sola partitella e fu per puro caso che non emersero particolari differenze tra noi e lui: ma, ovviamente, il campionato smascherò tutto. Provate a pensare a giocatori di primo livello, ritrovarsi a giocare in formazione, con un dilettante puro.

I 53 minuti, la fuga, il mistero, il mito. E la seconda vita in Qatar

Ali Dia non finì nemmeno la partita col Leeds, poi persa 2-0: Souness lo sostituì dalla disperazione con il difensore olandese Kenneth Monkou al minuto 86. Cinquantatrè minuti giocati, un altro numero primo come l'unicità di questa storia. Poi che successe? Spiega sempre Le Tissier:
Dopo quel pomeriggio, noi giocatori di prima squadra non vedemmo più Ali Dia. Così com'era apparso, era sparito. Improvvisamente. Non pagò nemmeno l'albergo in cui era alloggiato prima di strappare un contratto da 30 giorni coi Saints.
In realtà Dia giocò ancora metà partita contro le riserve del Chelsea. Non potendo credere a quanto accaduto, il Southampton provò effettivamente a capire se si trattasse veramente di un dilettante allo sbaraglio. Era così. Dopo quegli ulteriori 45', il fantomatico cugino di Weah (che dichiarò di non averlo mai conosciuto) e un fugace ritorno nelle lower leagues con le maglie di Gateshead (dalle parti di Newcastle dove terminò con successo l'università nel 2001) e Spennymoor United, Dia sparì dalla circolazione.
Nel 2003, poi, migrò in USA in cui acquisisce una "Y" nel nome (che mutò in "Aly Dia") e ottenne - alla San Francisco University - un master in Businsess Administration, che oggi, per l'appunto sta facendo valere dalle parti di Doha, come apprezzato manager-businessman 54enne. Fece perdere volontariamente le proprie tracce: chissà se per un sentimento vicino alla vergogna, oppure consapevole di acuire la propria la leggenda. Un "cult hero", la cui maglia-replica biancorossa numero 33 viene ancora prodotta e venduta al prezzo di 80 sterline, oppure un bugiardo? Il "The Dell" è stato demolto nel 2001: al suo posto, oggi, un complesso residenziale in cui non si può giocare a pallone in cortile. Ma sugli spalti del St. Mary's Stadium, ogni tanto, si alza ancora il coro da parte degli affezionati dei Saints: "Ali Da-iah is a lier, is a lier"...
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