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Juventus, sei forte.... ma rispetto a Bayern e Barcellona ti manca un passo

Simone Eterno

Aggiornato 17/03/2016 alle 13:28 GMT+1

Dopo la finale di Berlino dello scorso giugno, dalla Champions League 2015/16 la Juventus esce sì rafforzata, ma con più rammarico che mai: se è vero che il livello d'elite del Bayern Monaco è apparso a un passo (come lo era stato per il Barça a Berlino), per fare la differenza manca ancora un piccolo step. Scopriamo quale...

Delusione, Barzagli, Evra, Hernanes, Buffon, Juventus-Bayern Monaco, LaPresse

Credit Foto LaPresse

"Sono orgoglioso di questa Juve. Un conto è uscire in modo ignobile, un altro così". Sono lontani i tempi dei tormentoni, dei gap incolmabili, dei ristoranti a cifre non abbordabili per la Juventus. Dopo la finale dello scorso anno, in quella tavola imbandita che è la Champions League, i bianconeri hanno dimostrato ampiamente di essere cliente in grado di poter rimanere fino al momento del conto. E magari permettersi pure di lasciare la mancia.
Eh già, com’è lontano quell’aprile del 2013, quando la Juventus di Conte uscì con le ossa rotte da una doppia sfida che dimostrava quanto tra i grandi banditori d’Europa e i semplici commensali invitati alla cena di gala, ci fosse un abisso: economico, tecnico, mentale.
Gigi Buffon, Bayern Monaco-Juventus, LaPresse
E se sul primo aspetto le scure di una Serie A dal declino inarrestabile sono la preoccupazione numero 1 in casa Agnelli – ma a cui il presidente della Juventus può fare poco (poco che per altro ha già provato più volte a fare…) – la doppia sfida di questa stagione ai giganti del Bayern ha dimostrato che nei due punti successivi il gap è quasi colmato.
Qualcuno parlerà di lunghezza delle panchine – vero in parte – e si concentrerà, nell’enfasi del momento, sulle scelte, dimenticando magari chi i bianconeri prima della partenza per Monaco avevano lasciato a casa. Ma la verità è che la doppia sfida con quella che universalmente è riconosciuta come la seconda potenza d’Europa dopo il Barcellona degli alieni, dice che la Juve, in questo preciso momento storico, è praticamente su quel livello.
Praticamente, non totalmente. A far la differenza tanto per cambiare gli episodi: incontrollabili per chi crede nel fato; dettagli irrinunciabili per chi crede che il destino si possa indirizzare.
Noi ci iscriviamo al secondo partito, andando a fare le pulci a una Juve che è giusto sì trovi consolazione nelle sempre puntuali parole del suo capitano, ma al tempo stesso si mangi le mani per quanto è accaduto.
Dalla mancanza del killer instinct finale verso un Bayern che dal primo round dell’Allianz Arena, nonostante l’aleatorio 80% di possesso palla, aspettava solo il suono del gong e che con un cazzotto ulteriore non si sarebbe certamente più rialzato; a un finale alla Dornado Pietri in cui una squadra semi-stremata non ha trovato con uno dei suoi giocatori più esperti la lucidità di sparare il pallone sulla vicina E45, autostrada che costeggia l’Allianz Arena e che se presa in direzione sud avrebbe riportato in Italia, insieme al pallone di Evra, anche una Juve con il pass in più per i quarti.
Paul Pogba with Juventus
Dettagli che fanno male in casa Juventus; e che lo fanno ancor di più se si ripensa a quella tiepida serata andalusa dei primi di dicembre, quando con una sciagurata interpretazione dell’ultimo atto dei gironi, i bianconeri si consegnarono all’urna dei secondi e alla mano irrorata da sangue nerazzurro di Javier Zanetti. Risultato: Bayern Monaco. E non poteva essere altrimenti.
Già, perché come ancora una volta Buffon aveva lucidamente sottolineato – questa volta alla vigilia dell’andata – questa partita è effettivamente stata per valore, intensità, tattica ed emozioni prodotte, una semifinale. Con la differenza che mentre la Juve guarda ora dalla finestra le abbordabili Wolfsburg, Benfica, Atletico Madrid, Manchester City, PSG e Real Madrid continuare a cenare, i banditori, ovvero Barcellona e Bayern Monaco, se la ridono nel non veder più seduta al banchetto colei che a quel tavolo era e sarebbe stata il vero terzo incomodo.
Perché no, economicamente, uscire agli ottavi o in semifinale, non è la stessa cosa; perché no, a livello di appeal sulle star del pallone, arrivare a maggio o smetterla di volare in Europa ai primi di marzo, non è la stessa cosa. E perché sì, dall’intransigente conto economico, oltre che dalla possibilità di creare appeal sulle superstar, ne dipende inevitabilmente il mantenimento dello standard qualitativo raggiunto da questa Juventus.
E questi aspetti, ahinoi, pur dipendenti dai dettagli, sono tutto fuorché meri dettagli. Ed è meglio che alla Juve qualcuno lo impari presto. L’ultimo step è davvero a un passo.
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