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35 anni fa la strage dell'Heysel, il giorno più nero della storia del calcio

Paolo Pegoraro

Aggiornato 29/05/2020 alle 09:32 GMT+2

Il 29 maggio 1985 si consumò la tragedia dell'Heysel, dove trovarono la morte 39 tifosi, di cui 32 italiani. Il mondo del calcio, dall'Italia all'Inghilterra, si stringe attorno al ricordo di quelle vittime innocenti e ancora oggi quella tragedia resta una ferita impossibile da rimarginare.

Des barrières renversées, des grilles qui ont cédé, le chaos dans le stade du Heysel - 1985

Credit Foto Imago

Sono le 18,30 del 29 maggio 1985 e la situazione allo stadio Heysel di Bruxelles – dove è in programma la finale di Coppa Campioni tra Liverpool e Juventus – è completamente fuori controllo. Come sottolineerà l’impeccabile Bruno Pizzul in cronaca “non sussistono i più elementari principi di ordine pubblico”. Già, l’intervento delle autorità belghe è a dir poco tardivo e inadeguato nonostante alla vigilia della partita la gendarmeria avesse dichiarato lo stato d’assedio in città e millantato cavalli di frisia di medievale memoria.
Le recinzioni tra le tifoserie sono fragili, gli spalti fatiscenti, la birra tra i tifosi del Liverpool, i famigerati hooligans, scorre a fiumi: l'elettricità nell'aria lì lì per deflagrare. E infatti gli hooligans inseguono i tifosi bianconeri fino all’estremità degli spalti, inducendo alla fuga persino i gendarmi; presi dal panico i tifosi italiani si ammassano nell’angolo più lontano e basso del famigerato Settore Z, schiacciati l’uno sull’altro contro un muro. Quel muro in seguito crollerà e a salvarsi saranno solo i tifosi intrappolati perché quelli rimasti schiacciati troveranno la morte. Saranno 39 le vittime.

"Quel 29 maggio, abbiamo perso tutti"

A 35 anni di distanza la tragedia dell’Heysel resta una ferita apertissima perché allora “abbiamo perso tutti” come ha riassunto lucidamente il portiere di quel Liverpool Bruce Grobbelaar. A distanza di 35 anni continua senza sosta il dibattito sulla legittimità di quella partita. Aveva senso giocare? Chi è favorevole invoca le possibili tragiche conseguenze di una difficoltosa evacuazione dei tifosi, chi è contrario invoca il buon senso al cospetto dell'illogicità di uno spettacolo che deve continuare ad ogni costo, anche di fronte ai morti: vinsero i primi e la Uefa avrebbe sparso il verbo del show must go on a ogni latitudine. Non continuarono invece - a giocare - le squadre inglesi perchè furono squalificate per cinque anni dalle competizioni europee, mentre dei venticinque tifosi del Liverpool imputati per la strage, solo cinque di loro furono poi condannati a cinque anni di reclusione, gli altri assolti per mancanza di prove.
La vittoria della Juventus e i successivi festeggiamenti dei giocatori insieme a tifosi, visti ora, paiono surreali e tremendamente stridenti con l’orrore e la morte in tribuna; ma da Platini a Tardelli, a Tacconi tutti i protagonisti di allora hanno avuto modo di dissociarsi dalll'esultanza seguita allla strage e, anni dopo, le parole di Marco Tardelli risultano eloquenti: “Non l’ho mai sentita 'mia' come Coppa quella del 1985; una sconfitta per il calcio, lo sport e non solo. Chiedo scusa a tutti”.
Troppo spesso la memoria di quelle 39 innocenti vittime è stata beceramente calpestata così come quella delle vittime di altri stragi impossibili da dimenticare. Se non ricordiamo però non possiamo comprendere come anche a distanza di 35 anni sia doveroso non dimenticare e fare il possibile per seminare un po' di sana cultura sportiva per innalzare le sorti di questo sport così contradditorio, il calcio, che - proprio in questi giorni così particolari si appresta a ripartire un po' ovunque in tutta Europa.
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