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Il leggendario match che ispirò "Fuga per la Vittoria": quando mito e realtà si fondono

Paolo Pegoraro

Aggiornato 27/01/2021 alle 11:42 GMT+1

Tra mito e realtà, la storia della "partita della morte" tra la squadra dei calciatori di Dinamo e Lokomotiv e gli ufficiali tedeschi nella Kiev occupata dalle forze naziste. Al cinema ha avuto ben 4 trasposizioni, la più famosa delle quali è "Fuga per la vittoria", molto liberamente ispirata a quel leggendario match.

La partita della morte: cinema e realtà

Credit Foto Eurosport

Sapete quanti film sono stati girati sulla semifinale tra Italia e Germania Ovest ai Mondiali messicani del 1970, passata agli annali come la partita del secolo? Zero, allo stato attuale. La partita della morte tra Start FC e Flakelf ne ha invece ispirati quattro, compreso il celebre Fuga per la vittoria. Se questo non è un record, poco ci manca: di certo rende l’idea di quanto quella partita di calcio tra oppressi e oppressori abbia fatto breccia in modo indelebile nella cultura popolare. Per individuarne i motivi dobbiamo riportare le lancette dell’orologio al 9 agosto del 1942.

Il contesto storico

Estate del 1942, Ucraina occupata dalla Germania nazista: la popolazione locale è ridotta allo stremo; chi ha un lavoro tira avanti con 200 grammi di pane alla settimana, chi non ce l’ha non può disporre nemmeno di quello. Per strada non si vedono più circolare né topi né animali randagi e il motivo lo si può facilmente afferrare. I tedeschi, bisognosi di forza lavoro, si rendono conto che quello non è il modo più opportuno per comandare: decidono così di effettuare delle piccole concessioni al popolo ucraino; una di queste è il calcio. A Kiev si rivede dunque un regolare campionato composto da rappresentative tedesche, ungheresi, rumene, da una squadra di collaborazionisti ucraini e da un vero e proprio dream team locale. Già, ma i nazisti ancora non lo sanno…
Statua raffigurante un calciatore che sconfigge l'aquila del III Reich, davanto allo stadio Start (ex Zenit)

Kordik, l'uomo del destino

L’eminenza grigia di questa storia è tale Kordik, argutissimo ceco della Moravia capace di ingraziarsi i vertici nazisti ottenendo l’incarico di direttore di uno dei panifici principali della città. Come il più accanito dei collezionisti di figurine, raduna gli ex calciatori della Dinamo Kiev – tra cui il formidabile portiere Trusevič e il capocannoniere del campionato sovietico del 1938 Goncharenko – e della Lokomotiv Kiev; offre loro un lavoro e forgia la Start FC, la squadra che parteciperà al campionato di Kiev. Di rosso fiammante vestita – non per motivi ideologici bensì per il rinvenimento casuale di un set di uniformi in un magazzino – la squadra di dopolavoristi è un rullo compressore: vince le prime sette giornate di campionato segnando 47 gol e subendone solo 8. L’ottava giornata le riserva la sfida con la Flakelf, la squadra composta dai migliori calciatori selezionati tra gli ufficiali tedeschi di stanza a Kiev: risultato? 5-1 per la Start. Qualche sopracciglio ai piani più alti della Wehrmacht comincia ad aggrottarsi: per loro il calcio è uno strategico strumento di propaganda, una vetrina per la presunta superiorità della razza ariana. In quest’ottica pare loro inaudito che le squadre tedesche siano portate sui banchi di scuola da un nugolo di denutriti ex calciatori ucraini. È tempo di ristabilire l’ordine…

La partita della morte: la leggenda

La rivincita tra Start e Flakelf è in programma per il 9 agosto del 1942, a soli tre giorni di distanza dal primo incontro: questa volta, però, la squadra capitanata da Nikolaj Trusevič dovrà vedersela con i migliori calciatori della Wehrmacht, appositamente richiamati dal fronte. Si gioca allo Stadio Zenit, alla periferia di Kiev, e al momento delle presentazioni delle squadre i giocatori dello Start urlano il motto sovietico Fitzcult Hurrà! rifiutandosi di eseguire il classico saluto nazista. La tensione è palpabile e le cose si mettono subito male per la rappresentativa del panificio: l’attaccante della Flakelf assesta uno spaventoso calcione sul volto di Trusevič il quale, ancora stordito, subisce gol. Nonostante la condotta violenta degli avversari e un arbitraggio scandalosamente pro Flakelf, la Start pareggia con una bordata da fuori di Kuzmenko e si porta sul 3-1 con una doppietta principesca di Goncharenko. All’intervallo un alto ufficiale delle SS fa una capatina nello spogliatoio ucraino; il suo messaggio suona più o meno così:
Complimenti per il primo tempo, ma noi non possiamo perdere la faccia; voi la vita, invece, la potete perdere tranquillamente se vincerete questa partita
La Start sembra recepire il messaggio e permette ai tedeschi di pareggiare senza opporre resistenza. Qualcosa, però, fa scuotere dal torpore i giocatori del panificio: spinti a gran voce dal folto pubblico accorso allo Zenit, Trusevič e compagni stabiliscono che è giunto il momento di rialzare la testa dopo mesi di indicibili soprusi e umiliazioni; di regalare un barlume di speranza al popolo di Kiev e al contempo incrinare qualche certezza nazista. Pur essendo a conoscenza delle conseguenze dei loro gesti segnano altri due gol, vincono la partita e fanno venir giù lo stadio Zenit. La rappresaglia nazista scatterà nelle settimane successive: il centrocampista Korotkikh verrà torturato a morte di lì a poco, Trusevič e altri compagni di squadra verranno brutalmente uccisi nei campi di lavoro.
Monumento dedicato ai giocatori dello Start, nei pressi dello Stadio Dynamo Lobanovs'kyj

Tra mito e realtà

Difficile – per usare un eufemismo - separare romanzo popolare ucraino e propaganda sovietica del secondo dopoguerra dalla realtà: i confini sono troppo labili. Di certo quella partita si giocò per davvero, ma non è provato che si svolse in un clima ostile e violento (le foto dell'epoca parrebbero dimostrare l’esatto contrario); la maggior parte dei calciatori della Start morì effettivamente per mano delle SS ma non a causa di quella partita. Al netto della doverosa opera di debunking della partita della morte per come è stata tramandata di generazione in generazione e per come è stata raccontata sul grande schermo, l’interrogativo è lecito: l’aver affrontato a testa alta i nazisti su un campo di calcio, in una cella o in un campo di concentramento non fa ugualmente di questi uomini degli eroi oltreché dei sontuosi calciatori? E poi per usare un’espressione tanto cara al grande Rino Tommasi... Perché rovinare una bella storia con la verità?

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