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L'odio del tifo europeo verso il calcio senz'anima: i casi Red Bull e MK Dons

Stefano Fonsato

Aggiornato 05/11/2016 alle 15:04 GMT+1

In Austria e in Germania, l'impatto Red Bull: da una parte, la volontà dei tifosi-dissidenti del vecchio "Austria", decisi a muovere guerra alla bibita energetica. A Lipsia, invece, non si contano i boicottaggi delle varie tifoserie verso l'RB, il team più odiato in Bundesliga. In Inghilterra, la storia dell'imprenditore musicale Winkelman che cercò di "arraffare" la storia del mitico Wimbledon.

Tifosi RB Lipsia (LaPresse)

Credit Foto LaPresse

C'è un fattore comune che definisce "l'antipatia" nel mondo del calcio. Astenersi immediatamente chi, nel vocabolo quotidiano dello sfottò, usa costantemente termini come "rubentini" o "prescritti", che equivalgono ai "perditempo" negli annunci comuni. No, c'è dell'altro, una motivazione ben più netta e seria rispetto alle solite dietrologie del calcio italiano. E' qualcosa che ha a che fare col "furto d'identità" di un club, costretto a vendere l'anima per sopravvivere o fare grandi cose. Venderla al diavolo? Dipende dalle interpretazioni che si danno al dio Danaro. Ragioni materializzatesi in un fil rouge che parte da Salisburgo, sale a Lipsia e arriva in un posto a 90 chilometri a nord di Londra chiamato Milton Keynes.
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Esultanza Red Bull Salisburgo nella gara di Europa League contro il Nizza, 2016-2017 (LaPresse)

Credit Foto LaPresse

I dissidenti di Salisburgo: il caso Red Bull in Austria

Nel 2005 l'Austria Salisburgo, al collasso finanziario, venne rinnovato dalla Red Bull, decisa a investire nel mondo del calcio, oltreché dei motori. Con un metodo che, forse, può essere consono nelle industrie o in altri sport diversi dal football europeo: imporre la propria legge, disinteressandosi senza mezzi termini della storia del club. Per giunta glorioso, con la squadra biancoviola che nel 1994 si arrese solo all'Inter in finale di Coppa e Uefa. Bianco e viola, colori che furono subito fatti sparire dai proprietari per la maglietta bianca e rossa con i due tori ben visibile, stesso imprinting utilizzato anche in Germania (a Lipsia, e ne parleremo) a New York in Mls e poi, ancora, Campinas (Brasile) e Sogakope (Ghana). Succede così che il Red Bull, rilevato il titolo sportivo dell'Austria Salisburgo, si mette a mietere successi: 7 titoli nazionali e 4 coppe, tra le cui firme troviamo anche quella di Giovanni Trapattoni, alla guida del club dei due tori dal 2006 al 2008. Ma il nucleo del tifo salisburghese non ci sta e abbandona sul nascere l'idea di un club senz'anima, rifondando (senza titolo sportivo l'Austria Salisburgo e in uno stadio diverso dalla Red Bull Arena, lo "Sportanlage West") e riportandolo sino alla seconda serie, persa tuttavia l'anno scorso per una retrocessione al penultimo posto, figlia anche di una penalizzazione di sei punti inflitta per ragioni finanziarie. Il crowdfunding fin qui attuato - a cui hanno recentemente partecipato molti tifosi dell'Udinese -, è servito ad arrivare sin qui e non oltre. C'è chi dice che la retrocessione sia stata addirittura pilotata dai dirigenti, per contenere i costi diventati ingestibili. Quindi, l'idea: attuare un crowdfunding ancor più massiccio e internazionale, sul sito internet ad hoc kickrs.net: ad una donazione minima di 50 euro, corrisponde la consegna di un invito ad una festa di supporters, due braccialetti, e un paio di lattine di energy drink, ironicamente scelte per "mettere le ali al progetto". Solo che, ovviamente, la marca è differente rispetto a quella degli arcirivali cittadini.
Nizza-Red Bull Salisburgo, Europa League 2016-2017 (LaPresse)

Tra teste di vacca e boicottaggi: l'RB Lipsia, secondo in Bundesliga

Stessa identica procedura, gli emissari Red Bull la seguono nella vecchia Germania dell'Est. A Lipsia. Ma qui i cuori sono caldi e i dirigenti della mitica Lokomotive - dopo il totale fallimento nel 2003 - preferiscono ripartire dall'ultima categoria della piramide calcistica tedesca (oggi il club gialloblu milita in quarta serie insieme a un altro "must" del clacio tedesco oltrecortina, il Carl Zeiss Jena), senza lo sfrusciare dei soldi dei due tori. SImbolo che campeggia, oggi, sulle maglie RB Lipsia. Ma come? Possibilissimo, è bastato rilevare il titolo sportivo dell'insignificante club SSV Markranstädt, investirci soldi a palate, rilevare lo stadio ereditato da Germania 2006 ed ecco che oggi, la squadra, categoria dopo categoria, si ritrova al secondo posto della Bundesliga, dietro solamente al Bayern Monaco. Ma perché RB? Anche qui, il cavillo del genio: la federcalcio tedesca nega l'affiancamento di uno sponsor nella denominazione ufficiale. Da qui l'idea di mantenere nello stemma i tori stilizzati e chiamare il club RasenBall Leipzig. Ovvero RB. Facile, da qui, andare avanti per processi associativi...
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Torino-RB Lipsia, amichevole precampionato 2016-2017 (LaPresse)

Credit Foto Eurosport

Per tutte queste ragioni, l'RB Lipsia è la squadra più odiata di Germania. Talmente odiata che non esiste una tifoseria di Bundes che, ad oggi, non abbia esposto uno striscione di protesta contro la ragion d'essere di questa società. Alcune di esse hanno perfino boicottato la trasferta per non versare soldi ai già tronfi botteghini dell'RB. Quelli della Dynamo Dresda, nella gara di inizio stagione di DFB Pokal, hanno perfino gettato in campo una testa di vacca...

In Inghilterra, il pasticcio Wimbledon-MK Dons

L'anima venduta al dio Danaro. Tradizione e identità completamente smarrite. C'è un episodio che aiuta a capire ancor meglio il concetto: in un preliminare di Champions contro i lettoni del Liepaja, il terzino del Red Bull Salisburgo Andreas Ulmer scese in campo con la maglia dell'RB Lipsia e nessuno se ne accorse.
Pete Winkelman, presidente Milton Keynes Dons (LaPresse)
Un fenomeno, quello del "furto d'identità calcistica", di cui fa parte anche quello del MK Dons, a sua volta, la squadra più disprezzata d'Inghilterra. Questo perché l'imprenditore musicale Pete Winkelman (nella foto sopra), decise di rilevare il titolo del leggendario Wimbledon, trsferendolo da Merton ad 88 chilometri a nord di Londra, in una cittadina chiamata Milton Keynes, nata nel 1967 in stile comprensorio di piccoli centri del Buckinghamshire e ancora priva (unico caso in Gran Bretagna) di una squadra di calcio.
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Lo Stadium:mk del Milton Keynes Dons (LaPresse)

Credit Foto LaPresse

L'esperimento, a livello di seguito, fallì immediatamente. I tifosi del Wimbledon s'infuriarono (così come mezza Inghilterra), facendo ripartire il club di Merton dal fondo (denominandolo AFC Wimbledon) e portandolo, da quest'anno in League One, proprio dove milita l'MK Dons, che in passato è stato allenato da Roberto Di Matteo e si è avvalsa dei gol di un certo Will Grigg, idolo (da panchina) nordirlandese di Euro 2016. Inoltre, i tifosi di Merton ottennero la restituzione di tutti i trofei e la rinuncia, da parte di Winkelman, di non rivendicare alcun legame con la storia del Wimbledon FC.
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Tifosi Milton Keynes Dons (LaPresse)

Credit Foto LaPresse

Le due squadre si sono già affrontate, una volta in Fa Cup (dove si registrarono incidenti prima del match) e il 7 ottobre scorso nel Football League Trophy. Ma sarà senz'altro un'altra musica quella che suonerà il prossimo 10 dicembre, allo Stadium:mk. Perché nel calcio tutto torna e le bugie - farsi chiamare "Dons" quando non lo si è - hanno le gambe corte.
Milton Keynes Dons-Everton, amichevole d'inizio stagione 2016-2017 (LaPresse)
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