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Mohamed Salah, quel talento partito dalla strage di Port Said

Stefano Fonsato

Aggiornato 10/08/2015 alle 17:19 GMT+2

Il campione della Roma abbandonò l'Egitto subito dopo la sanguinosa strage di Port Said che sancì un'interruzione di due anni del campionato locale. Giocava in una squadra di centro classifica prima di essere reclutato al Basilea. Oggi il calcio delle piramidi sta morendo di nuovo, tra stadi chiusi e violenze mai sedate. E nuovi campioni, forse, si stanno per rivelare...

Mohamed Salah con la maglia della Fiorentina, LaPresse

Credit Foto LaPresse

"Da qualche parte dovevamo pur riprendere. Il nostro calcio stava morendo". Diceva così Gamal Allam, presidente della federcalcio egiziana, lo scorso 26 dicembre 2013, alla ripresa del campionato domestico dopo che la strage di Port Said in quel maledetto 1° febbraio 2012 lo aveva drasticamente interrotto.

Dalla strage di Port Said...

Quella notte morirono 74 persone: al fischio finale del match tra i locali del Al Masry e i capitolini dell'Al Ahly finì 3-1 ma fu quanto accaduto immediatamente dopo il triplice fischio che indignò il mondo: immediata invasione di campo e una violenza inaudita, in cui non c'entrava la decennale rivalità tra le due compagini ma la politica più cinica e sanguinaria. Gli ultras casalinghi anti-rivoluzionari e sostenitori dell'ex presidente Mubarak, diedero un segnale ai "Fratelli Musulmani", protagonisti qualche giorno prima in piazza Tahrir. Il talento più cristallino del calcio delle piramidi, Mohamed Aboutrika (sì, colui che rifiutò l'invito di Javier Zanetti alla Partita della Pace) soccorreva feriti e imbracciava tifosi morenti negli spogliatoi. Stop. Tutto finito, per 22 mesi. Da quel punto, ognuno prese la sua strada. Chi restò e aspettò in patria, chi provò l'avventura all'estero. Come Mohamed Salah, oggi osannato dai romanisti, rimpianto dai tifosi viola, poco tempo fa protagonista di una squadra egiziana di centro classifica, l'Al Mokawloon e nulla più.

... A Mohamed Salah

Parla ancora la sua lingua, non solo in campo, Mohamed Salah. Non ha imparato il tedesco a Basilea, l'inglese a Londra, l'italiano a Firenze. All'arrivo in Italia pretese di firmare un contratto redatto in arabo per capirne tutte le clausole. Quando si ha a che fare con lui sembra quasi che la carriera internazionale gli sia stata imposta. Un po' è così. Salah stava bene nel suo Egitto: era giovane quando arrivo in Svizzera, non troppo tuttavia, per i canoni degli scout elvetici, a 20 anni. Non sono poche le voci che insistono sul fatto che, probabilmente, senza la strage di Port Said, Salah oggi giocherebbe ancora in riva al Nilo. Altrettante, quelle che individuano nei paesi nordafricani un plotone di eredi di Zidane che, però, non hanno grandi interessi ad essere scoperti.

Quei talenti nascosti dalla sabbia

Prendete lo stesso Aboutrika, che iniziò e concluse (un paio di anni fa) la sua carriera in Egitto, di cui è e resterà l'idolo incontrastato. Più di Salah. I due giocatori sono legati non solo dall'infinito talento che portano in dote ma anche da quelle voci malandrine su gesti o posizioni opinabili, un po' confermate e un po' smentite: se Salah respinse al mittente le accuse di antisionismo (per non aver stretto la mano ai giocatori del Maccabi Tel Aviv in un match di Europa League ai tempi del Basilea), Aboutrika fu accusato di finanziare la jihad. Storie di calcio mediorientale, insomma.

Stanno uccidendo il calcio, di nuovo

Lo scorso giugno, per la strage di Port Said, sono state sentenziate 11 condanne a morte. Purtroppo, però, il calcio in Egitto sta morendo di nuovo. Troppi scontri, troppe violenze mai sedate con i corpi di polizia che, come a Port Said, guardano senza intervenire. Tanto che la federcalcio egiziana ha deciso di chiudere gli stadi o, almeno, di aprirli solo "ad invito", per arrivare a stento, alla fine del campionato, vinto dallo Zamalek, squadra del quartiere ricca del Cairo e passione sportiva di Mubarak. Oggi il pallone delle piramidi è degli amici, degli amici degli amici. Della politica. Che emerge ad ogni gol, ad ogni palleggio. E che uccide: col sangue e nel cuore, perché "l'Egitto - è il mantra del Cairo di questi tempi - era il paese africano più appassionato di calcio e oggi ce lo vogliono far dimenticare". Può fermarsi di nuovo tutto in Egitto. E, forse, un nuovo Salah sta già per arrivare...
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