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Dal progetto di Southgate a Kane: come l'Inghilterra ha riportato il calcio a casa

Mattia Fontana

Aggiornato 08/07/2018 alle 15:08 GMT+2

Indipendentemente da come si concluderà il Mondiale, i Tre Leoni sono tornati a recitare il ruolo da protagonisti che mancava loro dal 1990: non sono la favorita per il titolo e hanno sfruttato anche la buona sorte, ma la bontà del lavoro impostato dal ct e dalla Football Association si gode ora il meritato entusiasmo dei tifosi.

England steht im WM-Halbfinale

Credit Foto Getty Images

Sono passati 28 anni dall’ultima volta che l’Inghilterra è arrivata alle semifinali di un Mondiale, un’impresa riuscita soltanto in tre occasioni se si considera il successo del 1966. Quando nessuno ormai ci credeva più, ecco l’impresa. I giovani Tre Leoni di Gareth Southgate sono giunti al momento del dunque dopo anni di fallimenti. Dalla semifinale persa ai rigori contro la Germania a Euro ‘96 all’eliminazione per mano dell’Islanda due anni fa in Francia, passando per la delusione della Golden Generation di Beckham e soci. Ottavi di finale nel 1998, quarti nel 2002 e nel 2006 ai Mondiali, fuori ai gironi a Euro 2000, nei quarti a Euro 2004 e nemmeno qualificati nel 2008. Ora la storia è cambiata. E, dopo anni, i tifosi inglesi sono tornati ad appassionarsi alla nazionale. Com’è stato possibile?
All'inizio degli anni 70 ero diventato un perfetto inglese; ovvero odiavo l'Inghilterra almeno quanto sembravano odiarla la metà dei miei compatrioti. Mi allontanarono l'ignoranza, il pregiudizio e le paure del ct; ero convinto che le mie scelte avrebbero distrutto qualsiasi squadra del mondo, e provavo una forte antipatia per i giocatori del Tottenham, del Leeds, del Liverpool e del Manchester United. Cominciai a provare imbarazzo quando guardavo le partite dell'Inghilterra in TV, e a sentire, come molti di noi sentono, che non avevo nessun tipo di legame con quello che stavo guardando; avrei potuto benissimo essere gallese, o scozzese, o olandese.
- Nick Hornby, "Febbre a 90°"

"For the nation, by the nation"

Certo, sarà anche stata soltanto l’ennesima campagna strappa-like sui social network. Ma, in fondo, per capire le ragioni dell’entusiasmo inglese basta ritornare all’annuncio dei 23 convocati per il Mondiale. L’autentico manifesto di ciò che Southgate voleva trasmettere alla nazione. Proprio lui, divenuto commissario tecnico nel novembre 2016 dopo che uno scandalo truffaldino aveva pescato con le mani nel sacco Sam Allardyce, l’ultimo degli inglesi "bread and butter” divenuto selezionatore un po’ per caso dopo il quadriennio dell’understatement (per ambizioni e risultati) con Roy Hodgson in panchina. Southgate, l’uomo dell’errore dal dischetto a Euro ’96, ha iniziato un lavoro di cesello mirato a valorizzare non soltanto i migliori giovani del paese (del resto, proveniva pur sempre dall’Under 21) ma anche le tendenze tattiche espresse da una Premier League nel frattempo sempre meno restia al cambiamento. E, alla fine, è parso dettare la linea guida all’intero movimento. "For the nation, by the nation” è più di un semplice motto. Indica quel bisogno di condivisione che un progetto calcistico necessita per potersi esprimere nella sua pienezza, specie se si tratta di un Mondiale. In quel video, che flirta apertamente con tanti spot commerciali, c’è tutto ciò che vorrebbe essere l’Inghilterra post-Brexit. Un paese unito, multiculturale e tradizionalista assieme, desideroso di guardare al futuro senza essere stritolato dagli orpelli della retorica. A Harry Kane e compagni il compito di rappresentare sul campo questa ambizione. Andando in netta controtendenza per tutto ciò che è stato il rapporto dell’Inghilterra con l’Inghilterra dal 1966 in avanti (salvo minute eccezioni), una relazione ben tratteggiata dalle parole di Nick Hornby.
Le rivalità tra i nostri club ebbero la meglio su tutto. Uccisero la nazionale e quella generazione. Un anno dovevi vedertela con il Liverpool, l’anno dopo con il Chelsea. Per questo era difficile presentarsi nello spogliatoio e aprirsi a gente come Frank Lampard, Ashley Cole, John Terry o Steven Gerrard. Temevi sempre che sarebbero tornati al loro club e avrebbero usato quelle informazioni contro di te. Non volevo legare con loro.
- Rio Ferdinand sulle ragioni della Golden Generation

La squadra

Quando Southgate fu nominato ct, tre delle colonne attuali (Pickford, Trippier e Maguire) non erano nemmeno vagamente nel giro dei convocati. Lo sono divenuti soltanto di recente. Il 3-5-2 - totale antitesi ai teoremi del british football - si è trasformato nel modulo di base soltanto a ridosso di Russia 2018. Un altro sintomo di come l’attuale selezionatore abbia con molta umiltà valutato i verdetti del campo prima di tutto, abbandonando ogni tipo di gerarchia precostituita. Il risultato è una formazione sbarazzina, che prova a impostare il gioco dalle retrovie così come Stones e Walker sono stati abituati da Guardiola, che non dimentica il collettivo come Pochettino vuole dal suo Tottenham (da cui arrivano Trippier, Alli e Kane). Ma che sa anche integrare chi è abituato a ben altro contesto tattico (Maguire del Leicester come Young e Lingard). E il gioco associa inevitabilmente il controllo della palla alla storia britannica, come i 4 gol segnati di testa insegnano. Un gruppo giovane che si riflette in un capitano come Kane. Cannoniere autentico, attaccante moderno e uomo mite. Un primus inter pares nel quale si rispecchia idealmente il progetto di Southgate. La Golden Generation, come dichiarava Rio Ferdinand, finì per annacquare i propri ardori nell’inevitabile egoismo degli scontri di club tra Manchester United, Chelsea e Liverpool. Questa generazione, invece, si dà ancora battaglia in Premier League, ma pare essere riuscita a mettere da parte ogni tendenza vagamente egotica. Parlare di amicizia è forse esagerato, eppure la scintilla tra i giocatori è scoccata eccome. Esattamente come tra i tifosi, che si rivedono in un Maguire qualunque più di quanto non accadesse con il Terry dei tempi d'oro.

Il commissario tecnico

In questo delirio da social network che è divenuto il carrozzone dei Mondiali, non poteva non fare notizia la foto che ritraeva Southgate consolare Uribe, uno dei due rigoristi colombiani caduti in fallo dagli undici metri. Gesto splendido, tipico di un ct sottovalutato un po’ da tutti alla vigilia del torneo. Proprio lui - l’uomo su cui gravò il fallimento del ’96 - ha saputo prendere un intero paese sulle spalle conquistando passo dopo passo anche i solitamente polemici tabloid. Ed è estremamente difficile non leggere in Southgate un’altro simbolo di questa nazionale. Il tradizionalismo (guardate al look con tanto di panciotto) associato a un’idea di calcio finalmente al passo con i tempi, come all’Inghilterra non accadeva dai tempi di Glenn Hoddle. Il ct di Francia 1998 si incartò però in una spigolosa gestione del gruppo, qualcosa che è rimasto nella memoria dello stesso Southgate. Allora giocatore, ora ct. L’uomo di cui ora tutto il paese si fida ad occhi chiusi.
Nel dicembre 2014 la Federcalcio inglese ha lanciato - con l'idea di implementarlo - "English DNA", un progetto che detta le linee guida di come debbano giocare le nazionali giovanili. Southgate è stato fondamentale in questo processo. Parliamo principalmente di sviluppare un calcio di manovra, basato sul possesso palla e sull’essere giocatori intelligenti, pensanti. Al pari di questo, si punta a creare un rapporto emozionale con la nazionale, affinché i giocatori si divertano e siano orgogliosi di rappresentare il loro paese. Oltre al nostro tradizionale valore del lavorare duramente, la Federazione vuole giocatori più tecnici ed adattabili. Penso che emulare il rinnovamento culturale che ha avuto la Germania dopo il 2000 sia stata una decisione sensata, seppur con metodi differenti.
- Tom Adams (Eurosport UK)
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Il progetto

La campagna di Russia è soprattutto la punta dell’iceberg di un progetto dettato dalla Football Association quattro anni fa. Gli investimenti sui giovani con protagoniste parecchie formazioni di Premier League sono stati convogliati in un contesto mutuato dal modello tedesco post 2000. Allo stato attuale, l’Inghilterra non è soltanto in semifinale nel Mondiale dei big. È anche campione degli Europei Under 19 e dei Mondiali Under 17 e Under 20, oltre ad avere all’attivo due semifinali all’ultimo Europeo Under 17 e Under 21. Dietro all’exploit russo c’è una montagna di lavoro quotidiano sui giovani che sta producendo risultati in tutte le categorie. E, forse, questo è il dato più rilevante dell’intera faccenda.

Il Mondiale, football's coming home

Veniamo dunque alla fredda (ma nemmeno troppo) cronaca di un Mondiale baciato dall’entusiasmo e anche da un pizzico di fortuna. Come ogni cavalcata che si rispetti, l’Inghilterra ha avuto dalla sua un discreto vento in poppa. Un girone con il Belgio da unica vera sfidante e un tabellone apertosi all’improvviso anche grazie alla propizia sconfitta con i Diavoli Rossi (se fosse passata da prima avrebbe affrontato il Brasile nei quarti...). Southgate, però, ha dimostrato di saper come sfruttare questa buona sorte. E ha estratto dal jolly il primo successo ai rigori dell’Inghilterra in un Mondiale, il secondo dai tempi dei quarti di Euro 1996. In attesa della Croazia, questa nazionale ha già vinto tante partite a eliminazione diretta quante ne erano state vinte tra Europei e Mondiali negli ultimi 20 anni, a meno uno dal bilancio complessivo post 1990. A riprova del fatto che in questo entusiasmo, c’è molto anche dei fallimenti del passato. A testimonianza di come la passione ritrovata dai tifosi sia dovuta anche a tutte le altre volte in cui il calcio prometteva di tornare in Inghilterra, ma non lo faceva mai per davvero. L’inno dell’Europeo di casa ha ripreso prepotentemente a suonare nelle casse di tutto il paese, così come impazza nei meme dei social network. Anche per questo, comunque vada a finire in Russia, il football è davvero tornato a casa.
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