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Il sogno della nazionale in esilio continua: la Siria è a un punto dai playoff

Daniele Fantini

Pubblicato 24/03/2017 alle 14:27 GMT+1

Grazie alla vittoria sull'Uzbekistan per 1-0, la Siria si è portata a un punto dal terzo posto, valido per giocare gli spareggi per la qualificazione ai Mondiali di Russia 2018: è l'incredibile storia di una nazionale che gioca in esilio da anni, lontanissima da un Paese dilaniato dalla guerra civile.

Hasan al-Haydos, Siria, qualificazioni Mondiali 2018 (AFP)

Credit Foto AFP

In pieno tempo di recupero, Omar Kharbin trasforma, con straordinario sangue freddo, un rigore a cucchiaio. È il gol che vale una vittoria in extremis sull’Uzbekistan, un gol che potrebbe scrivere la storia sportiva della Siria, un Paese dilaniato da 6 anni di guerra civile ma che sta, contemporaneamente, coltivando il grande sogno di qualificarsi ai Mondiali di Russia 2018.
La Siria sta affrontando il terzo round delle qualificazioni in Asia: inserita nel gruppo A, si trova al quarto posto, con 8 punti, alle spalle di Iran (14), Corea del Sud (10), Uzbekistan (9), Cina (5) e Qatar (4). Le prime due classificate ricevono automaticamente il pass per la fase finale dei Mondiali, mentre la terza gioca i playoff. E, ora, la Siria vede quel terzo posto a un passo, a un solo punto di distanza.

Una nazionale in fuga. Anzi, in esilio

Nessuno dei 23 giocatori della nazionale siriana milita ancora nel campionato locale, un tempo florido e in crescita, ma ora completamente falciato dalla guerra. Chi ha potuto e saputo muoversi per tempo, ha trovato riparo nei Paesi vicini del Medio Oriente o in Cina: molti dei calciatori più esperti della nazionale giocano ora con l’Al Kuwait. Le sanzioni internazionali impediscono alla Siria di disputare le proprie partite casalinghe sul territorio nazionale, ed essere un Paese con molti nemici al mondo è stato un grosso impedimento nella ricerca di un ospite. La Siria stava quasi per dare forfait alle qualificazioni, quando è riuscita a trovare in extremis un accordo con la Malesia, che, dallo scorso settembre, si è trasformata nella nuova casa. Inizialmente, era stata avviata una trattativa con Macao: la “Vegas” cinese aveva infatti immaginato di poter puntare sul turismo cinese e sudcoreano come fonte di profitto in occasione delle partite contro le rispettive nazionali, salvo poi tornare sui propri passi.
La partita contro l’Uzbekistan era in programma al Rahman Stadium di Serembam, a 7.200 km da casa: 72 ore prima del fischio d’inizio, però, le autorità locali hanno dichiarato la struttura inagibile. Una soluzione di ripiego è stata trovata nell’Hang Jebat Stadium di Malacca, a 50 km di distanza, cosa che non ha impedito a 5 fedelissimi tifosi (residenti nella capitale malese, Kuala Lumpur) di presentarsi ai cancelli per tifare la propria nazionale.
Stando al report ufficiale, sono stati 350 gli spettatori complessivi (per uno stadio con una capienza di 40.000 posti): in tribuna, era seduto anche il generale Mowaffak Joumaa, l’autorità sportiva più importante della Siria, membro del Parlamento e presidente del comitato olimpico nazionale: nel 2012, aveva ricevuto il veto per assistere ai Giochi di Londra per l’amicizia con il presidente Bashar al-Assad.

Un campionato locale distrutto

Lo stesso Assad sta dando tanta attenzione alla squadra, ai suoi risultati e al sogno della storica qualificazione ai Mondiali: il calcio viene utilizzato come strumento di propaganda e come mezzo per restituire una falsa immagine di “ritorno alla normalità” nelle zone sottratte all’influenza dei ribelli. In queste ultime settimane, si è tornato a giocare ad Aleppo e a Homs, dopo un lungo periodo in cui il campionato è stato sostanzialmente limitato alle città di Damasco e Latakia, i due centri abitanti più importanti sotto il controllo dell’esercito governativo.
I soldi scarseggiano, anzi, praticamente non esistono. Le squadre e la federazione sono in bancarotta, e vengono tenute a galla quasi esclusivamente dagli aiuti statali. Lo stipendio medio di un calciatore è di 200 dollari, mentre il premio per la squadra campione è di 10.000. Il pubblico è scarso: non ci sono soldi per i biglietti, e il terrore degli attentati che potrebbero colpire luoghi affollati è forte.
Il cugino di Omar Kharbin, Osama Omari, è probabilmente il giocatore più importante rimasto in patria: veste la maglia dell’Al-Whada Damasco, è il capocannoniere del campionato, ma non può espatriare perché è arruolato, in licenza per poter disputare le partite.

Ma il sogno prosegue...

Sotto la guida di Tarek Janna, ex-difensore della nazionale prima dello scoppio della guerra civile e uno dei calciatori più decorati della storia del Paese, la nazionale siriana continua a giocare tra mille avversità, sostenuta dall’AFC, che si è impegnata a pagare trasferte, voli e alloggi pescando dal premio di 2 milioni di dollari dovuto alla Siria per l’approdo al terzo turno delle qualificazioni. Con 8 punti raccolti in 6 partite (2 vittorie, 2 pareggi e 2 sconfitte) e i prossimi impegni contro Cina e Qatar, fanalino di coda del girone, i 23 eroi siriani sono legittimati a continuare a sognare, facendo rivivere lo spirito di un popolo distrutto da 6 anni di una guerra che ancora non sembra vedere la fine.
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