I numeri della Juventus: grandi, ma in Europa serve un gioco ancora più "grande"
Aggiornato 19/12/2016 alle 07:27 GMT+1
Il campionato è orientato, non blindato. Sette punti sono un bel gruzzolo, ma non ancora una sentenza. Come, in fondo, ha ribadito lo stesso successo sulla Roma, il secondo 1-0 consecutivo in materia. Da Paulo Dybala a Gonzalo Higuain.
Per essere grande, e rimanervi, una squadra deve considerare normali le vittorie e così eccezionali le sconfitte da trasformarle in lezioni. La Juventus ha scelto questa strada. I numeri del suo 2016 sono straordinari: i 100 punti, le 25 vittorie allo Stadium, il quinto scudetto, l’undicesima Coppa Italia e ci metto anche la gloriosa sconfitta in Baviera, con il Bayern, perché botte del genere non umiliano: fanno crescere.
Per questo, in società, si cita la resa di Marassi come, in passato, si brandiva il k.o. con il Sassuolo. Il campionato è orientato, non blindato. Sette punti sono un bel gruzzolo, ma non ancora una sentenza. Come, in fondo, ha ribadito lo stesso successo sulla Roma, il secondo 1-0 consecutivo in materia. Da Paulo Dybala a Gonzalo Higuain.
Lasciamo ai tifosi i giochi di parole e di stagioni, tipo: campioni d’inverno in autunno. Higuain è stato preso per la Champions, soprattutto. Non solo per il sesto scudetto di fila, che pure costituirebbe il nuovo record domestico. Già un rovescio in Supercoppa con il Milan, venerdì in Qatar, alzerebbe polvere da sparo: la pancia del tifo è un fucile spianato. Se il ritorno di Claudio Marchisio ha reso il centrocampo meno confuso, quello di Dybala ha allargato la gamma delle soluzioni in attacco. L’infermeria si sta svuotando. La sosta aiuterà Massimiliano Allegri a ricaricare le batterie. In attesa di MarKo Pjaca (21 anni), giovani come Daniele Rugani (22) e Stefano Sturaro (23) garantiscono solide alternative ai titolari.
Mario Mandzukic, lui, ha chiuso da marziano. Tutto ciò illustrato, non mancano i pericoli. Il primo riguarda il delirio di onnipotenza: la Juventus lo frequenta poco, ma quando ci cade sono dolori anche per la sua storia. Il secondo è il ruolo di Miralem Pjanic, ancora ballerino. Il terzo coinvolge la tenuta non più stagna del reparto difensivo. Il quarto richiama il livello della manovra: dall’Atalanta in poi è migliorato, ma per fare strada in Europa, dal Porto in su, bisogna alzarlo ulteriormente. In parole povere, bisogna “spalmare” i quindici minuti con i quali la Juventus, sabato sera, ha annichilito la Roma. E bisogna, inoltre, evitare di concedere “mance” ai clienti di turno. In Italia ti può perdonare persino la seconda in classifica; in Europa, è più difficile.
Il dettaglio più curioso è lo zero alla casella dei pareggi. Diciassette giornate non sono poche. Eppure la Juventus di Allegri non ha nulla delle squadre di Zdenek Zeman, votate a un calcio che ha sempre preso a pedate gli equilibri. Allegri è un gestore, e l’età media della rosa gli sconsiglia voli pindarici. In Champions urge affinare la tecnica, non basta l’aspetto fisico, cruciale nei nostri cortili. Avrete letto, immagino, le parole di Luciano Spalletti. Erano rivolte ai giocatori della Juventus: “Difendevano come animali”. La chiave di molto, se non di tutto. Da noi, dove la concorrenza latita, è così. Guai, però, a sedersi sui numeri. Sono cuscini troppo comodi, a volte.
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