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Il gioco, i record e la conquista mancata del palazzo: quello che rimarrà del Napoli di Sarri

Mattia Fontana

Pubblicato 24/05/2018 alle 08:09 GMT+2

Aurelio De Laurentiis ha voltato pagina e portato al San Paolo un tecnico di valore mondiale come Carlo Ancelotti, un indiretto riconoscimento della bontà del lavoro del toscano: analizziamo l'importanza del suo lavoro nel corso del triennio appena concluso.

Maurizio Sarri Napoli 2018

Credit Foto LaPresse

L’emotività è forte. Tanto forte quanto il desiderio di levarsi qualche sassolino dalle scarpe. Del resto, è normale che sia così. Reazioni a caldo dovute all’addio soltanto in parte sorprendente di Maurizio Sarri al Napoli. Alla decisione di Aurelio De Laurentiis di non attendere più e di salutarlo per abbracciare Carlo Ancelotti. E, soprattutto, dopo un triennio nel quale il calcio proposto dal tecnico partenopeo ha riacceso diatribe già viste nel nostro calcio sin dai tempi di Arrigo Sacchi. Evitando accuratamente di riaprire un dibattito stantio, meglio riannodare i fili e cercare di riassumere il senso del triennio sarriano a Napoli.

L’idea, prima di tutto

L’eredità principale dell’ultima gestione azzurra è sotto gli occhi di tutti. Il gioco, il gioco e ancora il gioco. Il Napoli ha proposto un sistema tattico iper-offensivo che, tre anni fa, in molti dubitavano potesse essere trasportato dalla provincia (ovvero Empoli) a una grande squadra. Sarri, invece, è entrato nelle teste dei giocatori, iniziando da un campione come Gonzalo Higuain, e ha plasmato il gruppo all’insegna di un’idea tattica che ha permesso al pubblico del San Paolo di divertirsi sempre e comunque per tre stagioni. I detrattori parlano di "scudetto del bel gioco”, gli ammiratori guardano a quanto prodotto con le risorse a disposizione. Risorse tecniche cresciute esponenzialmente nel corso di questi anni, merito di un allenatore capace di rilanciare giocatori come Jorginho e Hamsik (ebbene sì, anche se ora passa in carrozza, entrambi uscirono con le ossa rotte dalla gestione Benitez) e di far esploderne altri. Koulibaly, Ghoulam, Insigne e Mertens. Nei primi due, si vede il lavoro sulla fase difensiva. Negli ultimi due, l’intelligenza di un allenatore che ha saputo cogliere in due partite un dettaglio sfuggito al predecessore in due anni (meglio il 4-3-3 del 4-3-1-2 impostato inizialmente dal toscano o del 4-2-3-1 monolitico dello spagnolo) e la capacità di un tecnico in grado di fare le nozze con i fichi secchi. Venduto Higuain, rotto Milik. In quanti avrebbero scommesso su Mertens prima punta?

I numeri

Le statistiche non mentono. I numeri, però, vanno anche letti tutti. Il primo risponde alla voce titoli vinti. Lì dove Sarri non è stato capace di portare a casa alcun trofeo, cosa riuscita invece a Walter Mazzarri (Coppa Italia) e Benitez (Coppa Italia e Supercoppa Italiana). Con Sarri, però, il Napoli è stato realmente in corsa per lo scudetto in due stagioni su tre. E, soprattutto, ha ottenuto un record di punti dopo l’altro. 82, 86 e 91 in sequenza. Mai ne aveva conquistati tanti il club partenopeo. Lo stesso che mai si era qualificato alla Champions League per tre anni consecutivi, come avvenuto con Sarri in panchina. 79 vittorie in 114 partite di campionato. E, ancor di più, una percentuale di vittorie complessiva del 66,2%. Benitez chiuse al 53,07%, Mazzarri al 48,41%. Si potrebbe pensare a un aumento di investimenti da parte di De Laurentiis, ma non è stato così. Anzi, con Sarri in panchina è arrivata la cessione più redditizia nella storia del club. I 90 milioni di clausola rescissoria pagati dalla Juventus per Higuain. Già, lo stesso giocatore che con Sarri ha stabilito il nuovo record di marcature in una stagione singola di Serie A (36 in 35 partite).

Gli investimenti

Non riguarda l’allenatore in modo diretto, ma come è stato gestito il progetto a lui affidato. Serve dunque un inciso per spiegare quali sono stati gli investimenti del Napoli nel corso di questo triennio. De Laurentiis ha chiuso un bilancio di mercato puro con una perdita complessiva di 44,75 milioni di euro, quando nel biennio di Benitez arrivò a un -42,7. Con un anno in meno e senza centrare il pass per la Champions League nella seconda stagione. In altre parole, con Sarri gli introiti sono aumentati e sono diminuite le spese. E il campionato appena concluso - quello dell’adesso o mai più - è stato impostato con gli acquisti dei soli Mario Rui e Ounas (15,75 milioni complessivi) e 22 milioni di euro di incasso dalle cessioni. Anche il Benevento (certo, con ben altro monte ingaggi), arrivato poi ultimo, ha speso di più. Ma cosa serve comprare i giocatori se poi Sarri non li mette in campo? Si è detto anche questo. Se Benitez ebbe come regalo Reina, Raul Albiol, Callejon e Higuain, giocatori di quel calibro non sono più arrivati dalle parti di Napoli. Probabiilmente fino ad ora.

Le ombre

Le accuse principali sono già state citate. Mancanza di titoli e rotazione della rosa quasi assente. Un rapporto di concausa esiste tra i due fattori, ma non la controprova. Perché un conto è disporre di una panchina con giocatori di livello effettivamente paragonabile a quello dei titolari. Un altro è essere circondati da giovani emergenti (Zielinski, Diawara, Ounas), seconde linee pure (Mario Rui, Tonelli) e investimenti sbagliati (Maksimovic). Con ogni più probabilità, è onesto sostenere che - come già accadde ai titolarissimi di Mazzarri - l’allenatore abbia spremuto il massimo possibile dai migliori giocatori a disposizione. Qualcuno degli altri si è inserito, altri no (Giaccherini e Pavoletti su tutti). Ma, in ogni caso, puntare il dito su questo aspetto pare ingeneroso. Se si deve parlare di passaggi a vuoto nella gestione di Sarri, invece, è meglio rivolgersi alle dichiarazioni e alle giustificazioni portate in sala stampa. Sul miglioramento dell’aspetto comunicativo, il tecnico toscano si giocherà le chance della sua carriera da oggi in avanti. Perché che sappia lavorare ad alto livello è acclarato, che possa convincere anche grandi giocatori altrettanto...

Un altro modo di vincere

Alla fine, si torna sempre al principio. L’eredità principale di Sarri a Napoli è ben sintetizzata da uno dei tanti epigoni del "Comandante” nel tweet seguente.
La bellezza del calcio proposto in questo triennio è molto difficilmente discutibile. Può piacere ad alcuni e far storcere il naso ad altri. Ma è provata dalla gioia di chi è stato orgogliosi di vedersi rappresentato da un gruppo simile. Unito, compatto e spettacolare. Sarri non si è preso il palazzo, ma ci è arrivato vicino. Non ha fatto nulla di paragonabile all’Olanda del 1974, però non è vero che il suo lavoro verrà dimenticato in fretta. Anzi. Basta pensare che per fare meglio, De Laurentiis è stato costretto a ricorrere all'allenatore più vincente nel panorama italiano. Anche questa, in fondo, è un riconoscimento.
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