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Serie A - Atalanta-Inter e la scelta di Scamacca: quel salto in alto che fa paura

Roberto Beccantini

Pubblicato 03/11/2023 alle 10:42 GMT+1

SERIE A - In estate, Gianluca Scamacca sembrava destinato all'Inter, prima di sbarcare all'Atalanta di Gasperini. Non che la periferia del podio, per quanto nobile e competitiva, sia un rifugio, ma insomma. Sabato, l'attaccante della Dea sfida quella che poteva essere la sua squadra.

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Che l’Italia sia un Paese per vecchi, è un fatto. Ma i giovani hanno poi così tanta voglia di proporsi, di scalzarli? Sabato, alle 18, è in programma Atalanta-Inter. Nella Dea gioca Gianluca Scamacca, romano, 24 anni, di mestiere centravanti. Era d’estate, poco tempo fa, e sembrava dell’Inter. Piaceva a Simone Inzaghi. Lo considerava perfetto, con Lautaro Martinez e Marcus Thuram, per coprire il vuoto lasciato da Edin Dzeko e Romelu Lukaku. Improvvisamente, Bergamo. Il laboratorio di Gian Piero Gasperini, un inno alle punte: da Duvan Zapata a Rasmus Hojlund a Luis Muriel, «nueve» dalle felpate movenze.
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Scamacca sbarca a Roma per le visite con l'Atalanta: le prime immagini

La cessione del danese al Manchester United e i piani di trasloco che coinvolgevano proprio Zapata hanno sabotato il mercato. Resta la scelta di Scamacca. La provincia. Non che la periferia del podio, per quanto nobile e competitiva, sia un rifugio, ma insomma. Da quante stagioni ci trastulliamo con i vado-non vado di Domenico Berardi, classe 1994? Quel gran pezzo dell’Emilia, per dirla con la penna di Edmondo Berselli, lo tiene prigioniero. Il Sassuolo ci ha costruito il suo Piave. A turno, se ne vanno tutti. Penultimi, Giacomo Raspadori e Scamacca. Ultimo, Davide Frattesi. Tutti, tranne uno: lui. Berardi.
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Antonio Di Natale Udinese Lazio 2014 AP/LaPresse

Credit Foto LaPresse

Non era più un cucciolo, ma non ancora un avanzo di arsenale, Totò Di Natale, quando nel 2010 disse no alla Juventus. Ne aveva 33, militava nell’Udinese, e dal Friuli non si mosse. Al rischio dell’avventura preferì l’affetto e la penombra di una regione che difficilmente lo avrebbe condotto allo scudetto. Ammesso che sia il verbo corretto, si «accontentò» di diventare il Leo Messi del Nord-Est. Due volte capo-cannoniere. La bandiera di un popolo perennemente sulle barricate. Non sapremo mai quali livelli avrebbe toccato «se»: tormento più nostro che suo.
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Gianluca Scamacca con maglia del West Ham

Credit Foto Getty Images

Scamacca è una mappa. Ha frequentato l’Olanda (giovanili del Psv Eindhoven, Pec Zwolle) e l’Inghilterra (West Ham); ha girato - da Sassuolo a Sassuolo - Cremonese, Ascoli e Genoa . In Premier non ebbe fortuna: più riserva che titolare, più infermeria che euforia. E’ grande e grosso, incarna la taglia che serve e non banalmente sollazza. Occupa una «casella» cruciale: quella del traliccio che manca, viste le ruggini di Ciro Immobile e l’invasione straniera. Doppiette al Monza e a Empoli, fiocco azzurro in Nazionale: a Wembley, addirittura. Indizi. Sapori. Suggestioni.
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Nell’ambiente si aspettavano, per averlo tradotto con il vocabolario del padre aggressivo e collerico, un «passerone» pieno di sé, altezzoso e permaloso. Al contrario: disponibile fin da subito, e mai un raglio sopra le righe. Rimane il domicilio: Atalanta, non Inter. Tra le ragioni, immagino che ci sia la certezza del «posto fisso». Anche se, dopo la partenza di Dzeko e il tradimento di Lukaku, la concorrenza con Thuram non sarebbe stata poi così radicale e sbilanciata. Almeno inizialmente. Altro discorso, chiosarla con i tabellini d’autunno. A 19 anni, Alessandro Del Piero non ebbe paura di Roberto Baggio, nel balzo da Padova alla Juventus, ma questi sono paragoni sin troppo impegnativi, dal momento che stiamo parlando di stoffe e di epoche diverse.
Ricapitolando. L’Atalanta è fuoco vivo, teatro mobile e nobile, palestra ideale per crescere. Ma nei panni di Gianluca mi sarei buttato sull’Inter, là dove la rivalità interna è più spinta perché più alti gli obiettivi. Le gerarchie esistono ovunque, come insegnano le panchine di Muriel. Non escludo che a dirottare Scamacca abbiano contribuito i triboli milanisti di Charles de Ketelaere, oggi suo compagno di cordata. Può essere tutto. Come la fiducia nel marchio-Gasp, il cui mantra recita: per migliorare, bisogna far migliorare.
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