Serie A - Atalanta-Inter e la scelta di Scamacca: quel salto in alto che fa paura
Pubblicato 03/11/2023 alle 10:42 GMT+1
SERIE A - In estate, Gianluca Scamacca sembrava destinato all'Inter, prima di sbarcare all'Atalanta di Gasperini. Non che la periferia del podio, per quanto nobile e competitiva, sia un rifugio, ma insomma. Sabato, l'attaccante della Dea sfida quella che poteva essere la sua squadra.
Che l’Italia sia un Paese per vecchi, è un fatto. Ma i giovani hanno poi così tanta voglia di proporsi, di scalzarli? Sabato, alle 18, è in programma Atalanta-Inter. Nella Dea gioca Gianluca Scamacca, romano, 24 anni, di mestiere centravanti. Era d’estate, poco tempo fa, e sembrava dell’Inter. Piaceva a Simone Inzaghi. Lo considerava perfetto, con Lautaro Martinez e Marcus Thuram, per coprire il vuoto lasciato da Edin Dzeko e Romelu Lukaku. Improvvisamente, Bergamo. Il laboratorio di Gian Piero Gasperini, un inno alle punte: da Duvan Zapata a Rasmus Hojlund a Luis Muriel, «nueve» dalle felpate movenze.
La cessione del danese al Manchester United e i piani di trasloco che coinvolgevano proprio Zapata hanno sabotato il mercato. Resta la scelta di Scamacca. La provincia. Non che la periferia del podio, per quanto nobile e competitiva, sia un rifugio, ma insomma. Da quante stagioni ci trastulliamo con i vado-non vado di Domenico Berardi, classe 1994? Quel gran pezzo dell’Emilia, per dirla con la penna di Edmondo Berselli, lo tiene prigioniero. Il Sassuolo ci ha costruito il suo Piave. A turno, se ne vanno tutti. Penultimi, Giacomo Raspadori e Scamacca. Ultimo, Davide Frattesi. Tutti, tranne uno: lui. Berardi.
Non era più un cucciolo, ma non ancora un avanzo di arsenale, Totò Di Natale, quando nel 2010 disse no alla Juventus. Ne aveva 33, militava nell’Udinese, e dal Friuli non si mosse. Al rischio dell’avventura preferì l’affetto e la penombra di una regione che difficilmente lo avrebbe condotto allo scudetto. Ammesso che sia il verbo corretto, si «accontentò» di diventare il Leo Messi del Nord-Est. Due volte capo-cannoniere. La bandiera di un popolo perennemente sulle barricate. Non sapremo mai quali livelli avrebbe toccato «se»: tormento più nostro che suo.
Scamacca è una mappa. Ha frequentato l’Olanda (giovanili del Psv Eindhoven, Pec Zwolle) e l’Inghilterra (West Ham); ha girato - da Sassuolo a Sassuolo - Cremonese, Ascoli e Genoa . In Premier non ebbe fortuna: più riserva che titolare, più infermeria che euforia. E’ grande e grosso, incarna la taglia che serve e non banalmente sollazza. Occupa una «casella» cruciale: quella del traliccio che manca, viste le ruggini di Ciro Immobile e l’invasione straniera. Doppiette al Monza e a Empoli, fiocco azzurro in Nazionale: a Wembley, addirittura. Indizi. Sapori. Suggestioni.
Nell’ambiente si aspettavano, per averlo tradotto con il vocabolario del padre aggressivo e collerico, un «passerone» pieno di sé, altezzoso e permaloso. Al contrario: disponibile fin da subito, e mai un raglio sopra le righe. Rimane il domicilio: Atalanta, non Inter. Tra le ragioni, immagino che ci sia la certezza del «posto fisso». Anche se, dopo la partenza di Dzeko e il tradimento di Lukaku, la concorrenza con Thuram non sarebbe stata poi così radicale e sbilanciata. Almeno inizialmente. Altro discorso, chiosarla con i tabellini d’autunno. A 19 anni, Alessandro Del Piero non ebbe paura di Roberto Baggio, nel balzo da Padova alla Juventus, ma questi sono paragoni sin troppo impegnativi, dal momento che stiamo parlando di stoffe e di epoche diverse.
Ricapitolando. L’Atalanta è fuoco vivo, teatro mobile e nobile, palestra ideale per crescere. Ma nei panni di Gianluca mi sarei buttato sull’Inter, là dove la rivalità interna è più spinta perché più alti gli obiettivi. Le gerarchie esistono ovunque, come insegnano le panchine di Muriel. Non escludo che a dirottare Scamacca abbiano contribuito i triboli milanisti di Charles de Ketelaere, oggi suo compagno di cordata. Può essere tutto. Come la fiducia nel marchio-Gasp, il cui mantra recita: per migliorare, bisogna far migliorare.
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