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Inter campione - Il trionfo di Simone Inzaghi: finalmente Achille ha "superato" la tartaruga

Roberto Beccantini

Aggiornato 22/04/2024 alle 23:11 GMT+2

SERIE A - Da fratello di Pippo a signor Spiaze, lunga sembrava la strada per Tipperary. E invece eccolo qui, Simone Inzaghi, campione d'Italia con l'Inter della seconda stella. Scudetto per k.o., miglior attacco, miglior difesa, capocannoniere, modici aiutini, sì, ma tutto e tutti nella norma. E sul piano del «giuoco», chapeau.

Inzaghi: "Il rinnovo? Continuare con l'Inter verrà naturale"

Da fratello di Pippo a signor Spiaze, lunga sembrava la strada per Tipperary. E invece eccolo qui, Simone Inzaghi, campione d'Italia con l'Inter della seconda stella, dopo la vittoria sul Milan per 2-1 nel derby, maglia rosa o maglia gialla, a scelta, proprio lui che si esaltava nelle classiche (fra Lazio e Inter 3 Coppe Italia e 5 Supercoppe, l'ultima a Riad, il 22 gennaio: 1-0 al Napoli) e pativa le corse a tappe (i Giri, i Tour). Con quell'aria un po' così, da Gianduia Vettorello, maschera che Teo Teocoli innalzò all'onore della satira; piacentino come Sandro Puppo, il tecnico che, a Barcellona, aveva modellato il «primissimo» Luisito Suarez e a Torino plasmò la Juventus dei giovani (i «puppanti», appunto), in attesa di John Charles e Omar Sivori; 48 anni, centravanti da giovane e «democristiano» da maturo, il 3-5-2 come base di ogni viaggio, sulla luna o in giardino.
Il destino lo ha scortato e coccolato: alla Lazio, Marcelo Bielsa aveva già firmato, ma all'ultimo momento non si fece vedere, «loco» di nome e di fuga; all'Inter, Beppe Marotta aveva puntato dritto su Massimiliano Allegri, ignaro dei benefici che avrebbe ricavato dal suo no. Inzaghino arriva in giacca e cravatta, un po' collegiale e un po' caricaturale. A Coverciano, in un sinedrio che si ciba di etichette, gli hanno rifilato questa: il più antico degli allenatori moderni, il più moderno degli allenatori antichi.
Secondo, terzo, primo. Più due Coppe Italia e tre Supercoppe. Più la finale di Istanbul, in Champions, persa «solo» 0-1 contro i mostri del City guardiolesco e non strapersa per cappotto come, viceversa, ci eravamo divertiti a pronosticare. A furia di essere considerato Pinocchio, è diventato Geppetto: almeno per Thierry Henry, che ne ha lodato la coppia d'attacco. Simone studia e assorbe. In panchina, ansioso; davanti ai taccuini, circospetto. Le dodici sconfitte in campionato ne avevano sgualcito il carisma. In estate, collocai la sua Inter subito dietro il Napoli. Il mercato gli aveva sottratto Romelu Lukaku, Edin Dzeko e, last but not least, Marcelo Brozovic. La bussola. Ci sono stati momenti in cui i padroni cinesi hanno meditato, sul serio, di allontanarlo: per esempio, alla vigilia del Porto, nel febbraio del 2023.
Ha vinto lui. In barba e alla faccia di Zenone di Elea, Achille ha raggiunto la tartaruga. L'ha raggiunta e superata. Scudetto per k.o., miglior attacco, miglior difesa, capocannoniere, modici aiutini, sì, ma tutto e tutti nella norma. E sul piano del «giuoco», chapeau: Hakan Calhanoglu regista, carramba che sorpresa; Henrikh Mkhitaryan, altro che vacanze milanesi; il terzino fionda (Federico Dimarco); il jolly che ogni allenatore vorrebbe come figlio, Matteo Darmian (tanto per rendere l'idea: Arrigo Sacchi adottò Roberto Mussi, mentre il Trap stravedeva per Cesare Prandelli); l'innesto di Marcus Thuram quale spalla di capitan Toro, mica era scontato che Lukaku e Dzeko venissero letteralmente cancellati dalla memoria e dalla classifica; una manovra avvolgente e ficcante, senza esagerare, se riandiamo ai 59 gol di Giacinto Facchetti, ma anche senza arrossire.
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Hakan Calhanoglu

Credit Foto Getty Images

E così sia. Simone ha alzato il livello della rosa aprendola a rotazioni che, in passato, dosava con esagerato pudore. Capace di correggere e, soprattutto, di correggersi, esercizio che pochi praticano. D'accordo, con il Napoli imploso sin dalle doglie di Rudi Garcia, il Milan ballerino e la triste, solitaria y banal Juventus del Feticista, la concorrenza non ha certo opposto muscoli da culturista. In compenso, colui che sembrava un paradosso ci ha presi tutti per il bavero e appesi al muro delle analisi post-ventive, così comode, così ruffiane, così italiane.
«La visione senza l'azione è un sogno. L'azione senza la visione è un incubo»: magari Inzaghi non ha letto James Kerr, ma questo slogan lo aiuterà a crescere. In Europa, specialmente. Là dove l'Atletico del Cholo Simeone ne frenò, bruscamente, l'ascesa.
Per commentare o fare domande potete inviare una mail a roberto.beccantini@fastwebnet.it o visitare il blog di Roberto Beccantini http://www.beckisback.it.
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Inzaghi: "Il rinnovo? Continuare con l'Inter verrà naturale"

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