La Provincia del Gol. Da 'nuovo Ibra' al ritiro a 27 anni: la sfortunata storia di Salvatore Foti
Meno di 10 anni fa Foti con la maglia della Samp a neanche 18 anni segnava il primo gol in Serie A e si proponeva come uno dei giovani talenti del calcio italiano. I giornali lo soprannominarono il nuovo Ibra e anche il Chelsea lo seguì. Fra una miriade di prestiti in B e una lunghissima serie di infortuni (ultima un'ernia discale malcurata) lo hanno costretto ad annunciare il ritiro a 27 anni
Salvatore Foti, Sampdoria, LaPresse
Credit Foto LaPresse
L’otto gennaio 2006 durante la partita Sampdoria-Livorno, valida per la 18° giornata del campionato di Serie A e terminata con una vittoria per 2-0 della formazione toscana, un 17enne attaccante di belle speranze e dal talento intrigante veniva lanciato nella mischia dal tecnico blucerchiato Novellino e faceva il suo debutto in massima serie prendendo il posto di Kutuzov. Quel ragazzo era Salvatore Foti e neanche cinque settimane dopo, il 12 febbraio 2006 alla sua prima partita da titolare, si sarebbe guadagnato la meritatissima standing ovation dello stadio Ferraris dopo aver trascinato la Samp al successo per 4-2 sul Messina segnando il primo gol in Serie A, fornendo un assist a Marcello Castellini e guadagnandosi un rigore trasformato da Sergio Volpi. Sembrava l’inizio della favola di un ragazzo di splendide speranze destinato ad avere un futuro luminoso nel mondo del calcio invece 10 anni dopo Foti, a 27 anni e sei mesi, ha annunciato l’addio al calcio con poche righe sulla propria bacheca di Facebook in cui ha ripercorso per sommi capi le tappe di un calvario fatto di infortuni e consulti medici, prestiti semestrali in giro per l’Italia e troppe dannatissime sedute di fisioterapia che non sono bastate ad evitare il triste epilogo di una carriera che ha l’amaro sapore del fiele.
Quell’ernia al disco e un calvario lungo due anni
Per raccontare la personale via crucis di Foti bisogna partire dal gennaio 2013 quando Foti, in forza al Lecce in Lega Pro, accusa i primi dolori significativi alla schiena: "Fino a quel momento stava procedendo tutto alla grande a Lecce. Ero arrivato in estate dopo lo svincolo dalla Sampdoria e stavo aiutando la squadra ad ottenere la promozione in B. Si trattava della prima esperienza in Lega Pro e stavo segnando con una continuità che negli ultimi anni non avevo mai avuto. Segnai fra campionato e coppa 9 gol in 15 partite e con quella curva e la fiducia di compagni ed ambiente ero sicuro che saremmo andati in Serie B. Purtroppo a gennaio dopo un esame scoprii di avere un’ernia discale. Iniziai la terapia conservativa, rimasi ai box ma il dolore continuava a non darmi tregua. La squadra falcidiata da infortuni arriva ai playoff dopo essersi vista rimontare 12 punti dal Trapani e io, vista anche l’emergenza in attacco, decido per senso di responsabilità e amore per la maglia di scendere in campo nella semifinale con l’Entella e nella doppia finale con il Carpi dopo essermi fatto infiltrare”.
Foti non lo sa ancora ma quel Lecce-Carpi datato 16 giugno 2013 rimarrà l’ultima partita ufficiale che giocherà: "Trascorro l'estate 2013 da svincolato (il rinnovo col Lecce sarebbe scattato automatico solamente in caso di promozione in B, ndr) e con l’idea di risolvere una volta per tutte il problema che mi impedisce di fare ciò che più mi piace, ad ottobre mi sottopongo a un intervento chirurgico ma, dopo il periodo di riposo la rigidità il dolore non è affatto scomparso. Provo a stringere i denti ed accetto di firmare con il Chiasso che mi vede giocare in partitella e mi sottopone subito un biennale. La realtà è che però per colpa di un errore medico io una seduta di allenamento completa non posso più sostenerla: anche adesso a causa dei 192 centimetri d’altezza se gioco con mia figlia troppo a lungo devo piegarmi e fermarmi per il fastidio che accuso. Fra una seduta di fisioterapia e un consulto in diversi mi prospettavano l’eventualità che non sarei più stato in grado di fare il calciatore, la certezza però l’ho avuto venerdì scorso. E’ stata una brutta botta perché anche se ero preparato la speranza è l’ultima a morire… C’è tanta rabbia come è normale che sia però anche tanta voglia di ripartire. A dicembre ho passato il corso ed ottenuto il patentino B da allenatore. Mi piacerebbe fare il tecnico: allenare in un settore giovanile o iniziare a collaborare come assistente con qualcuno che mi può insegnare qualcosa di questo nuovo mestiere così difficile ma anche affascinante. Ciò che più desidero però è tornare a lavorare sul campo: quando ti ritiri di tua spontanea volontà spesso lo fai perché sei stanco ioinvece sono stato costretto da ben altro motivo. Per questo sento una grande nostalgia del manto verde e spero presto di tornarci a lavorare seppur in altre vesti”.
Da 'nuovo Ibra' a pacco postale prestato in giro per l’Italia
Etichettato come il ‘nuovo Ibra’ dopo le prime magie a 17 anni in Serie A, Foti dopo quel strabiliante girone di ritorno in massima serie nel 2006, in cui riuscì ad attrarre persino l’interesse del Chelsea, iniziò un lungo peregrinare per l’Italia che avrebbe dovuto aiutarlo a maturare ed invece ha finito per rendergli più complicato il percorso di crescita e maturazione: “Arrivai alla Sampdoria nel 2005 a 16 anni dopo il fallimento del Venezia. A quel tempo avevo tantissimi club che mi seguivano: ricordo che Bruno Conti tempestò di telefonate la mia famiglia perché scegliessi la Roma e il settore giovanile giallorosso. Avrei potuto anche andare in Inghilterra ma optai per la Samp perché fu l’unica che mi assicurava da subitoche mi sarei allenato con la prima squadra ogni giorno. Dopo lo scampolo di stagione in Serie A nel 2006 invece avevo altre richieste dall’estero ma la Samp scelse di confermarmi ma data la concorrenza importante in attacco mi ritrovai a fare tanta panchina. A gennaio fui mandato in prestito a Vicenza dove segnai 6 reti nel girone di ritorno che aiutarono la squadra a conseguire la salvezza. Sarei rimasto volentieri a giocare ancora in biancorosso e fare esperienza ma mi ritrovai di nuovo a Genova a fare la quinta punta dietro a gente come Cassano, Montella, Bellucci e Caracciolo. Iniziai a girare come un pacco postale: 6 mesi a Genova in naftalina, altri 6 in prestito in B sempre in una squadra e in ambienti diversi spesso anche non semplicissimi per un giovane come il Messina o il Treviso, due club in procinto di fallire quando io ci militai… Analizzando con il senno di poi mi sarebbe piacere avere avuto la testa e la mentalità che ho oggi a quel tempo però quando sei giovane ci sta che pensi che tutto ti sia dovuto invece è quanto di più sbagliato".
L'esperienza di Foti però può insegnare anche altro al calcio italiano sulla gestione e crescita dei giovani talenti: "Quel continuo girovagare di prestito in prestito non non ha aiutato me ad emergere e in generale non è il modo migliore per fare il bene di un giovane calciatore. Con la testa e la maturità che ho oggi non so se rifarei tutto: purtroppo a 19-20 anni hai poca voce in capitolo e ti adegui. Devi sperare che il procuratore e le società curino davvero i tuoi interessi e non siano più interessati ad altro... Ma non sempre ciò accade”. Se all’estero i giovani trovano spazio da noi ciò spesso non accade: “Recentemente mi è capitato di leggere una frase di Cassano in cui evidenziava il fatto che in Italia un calciatore fino a 25 anni, se non è un fenomeno della natura, è considerato un giovane da mettere in campo ogni tanto. Qui sta il nocciolo della questione: tante squadre di A non hanno il coraggio di puntare sui giovani per paura di bruciarli. All’estero invece tutti questi problemi non se li creano e i risultati si vedono. Da noi manca una programmazione organica nei settori giovanili e soprattutto, a causa dell’assenza delle seconde squadre, si è creato un dislivello evidente fra il campionato Primavera e la Serie A. Rispetto a 10-15 anni fa il livello della Serie B e della terza serie è crollato verso il basso e ciò ha portato ad un impoverimento di tutto il movimento. Tra leggi discutibili, come gli incentivi a pioggia alle società di Lega Pro che fanno giocare giovani (forti o incapaci poco conta, ndr), e campionati semprepoco competitivi ci ritroviamo con sempre meno giovani italiani pronti ad imporsi sul panorama nazionale ed internazionale. Serve al più presto un’inversione di tendenza altrimenti sarà sempre più marcato il gap con l’estero e l’impoverimento della nostra Nazionale”.
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Angelo Gregucci visual, LaPresse
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Quella chiamata di Gregucci prima di Alessandria-Spezia
Tra le diverse chiamate e sms ricevuti da addetti ai lavori ed ex compagni di squadra, Foti ammette che uno più di altri lo ha toccato nel profondo: “Lunedì pomeriggio giusto 3 ore prima del fischio d’inizio di Spezia-Alessandria mi ha chiamato mister Gregucci, mio allenatore ai tempi della mia esperienza a Vicenza. Nonostante avesse un importantissimo quarto di finale di Coppa Italia da preparare ha trovato il tempo per chiamarmi e rincuorarmi in questo momento per me non semplice. Mi ha detto parole che non dimenticherò e dal grande spessore umano. Si merita i traguardi e tutte le soddisfazioni che si sta togliendo con l’Alessandria. Gregucci è un tecnico che fa giocare bene le sue squadre, sa lavorare coi giovani e ha qualità morali indiscutibili. Mi auguro sinceramente di non vederlo più allenare in C e che l’Alessandria possa continuare a stupire e chissà fare pure paura al Milan. Il pronostico sembra scontato ma mai dire mai nel calcio…”. Già mai dire mai, il calcio toglie e dà. Foti lo ha imparato sulla sua pelle e anche se un destino sfortunato lo ha costretto ad appendere le scarpe al chiodo ad appena 27 anni sa che arrendersi non serve a nulla. Meglio ripartire con entusiasmo e nuovi sogni nel cassetto. Consapevoli che non può piovere per sempre.
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