Opinion
Giochi OlimpiciL’Olimpiade moderna compie gli anni: vi racconto qualcosa (e qualcuno) delle mie dieci
Aggiornato 06/04/2020 alle 10:39 GMT+2
L’Olimpiade moderna compie gli anni: 124. Nacque il 6 aprile 1896. Ho avuto la fortuna di seguirne dieci: nove estive e una invernale.
L’Olimpiade è il massimo dello sport: sta al Mondiale di calcio come una biblioteca al più popolare dei suoi libri. Cesare Pavese scriveva: "Non si ricordano i giorni, si ricordano gli attimi".
Monaco di Baviera 1972
La prima volta. Inviato di "Tuttosport", arrivai che il villaggio era ancora mezzo vuoto. Avevo 21 anni. E adesso? mi dissi. Cercai di vincere la paura (di non essere all’altezza) che mi aveva preso. Feci un pezzo di pura cronaca, quasi didascalico. Le emozioni, dopo: del massacro di Settembre Nero si occuparono i grandi capi. Io giravo per le agenzie, portavo i dispacci. A livello agonistico, un francobollo su tutti. La finale di basket Usa-Urss. Quella dei 3 secondi più lunghi della storia, fatti giocare e rigiocare da William Jones, il Blatter della Fiba. Quella del canestro di Alexandr Belov alla fine della (terza?) fine, con gli americani furibondi: 50-51, mai ne avevano persa una. Ma che polli, sulla rimessa di Ivan Edeshko.
Montreal 1976
Prologo. Volo a Eugene, Oregon, per i trials americani di atletica. C’è Steve Williams che gli esperti accreditano addirittura di tre medaglie (100, 200, 4x100). Lo intervisto in barba alla differenza di fuso, al programma e alla prudenza che simili dettagli avrebbero dovuto suggerirmi. Telefono il pezzo al giornale. Corre, Steve, quando ormai da noi è notte fonda. Corre (i 100) e si strappa. Morale: la mattina, "Tuttosport" va in edicola con le risposte, non già di un probabile mattatore, ma di un sicuro assente. Avviso ai naviganti (giovani): col fuso di mezzo, mai provocare il destino. Montreal, adesso. Jugoslavia-Italia di basket. Dominio totale, più 16 al riposo. Raggiungo i cessi per una pipì volante. Incontro niente meno che Gianni Brera. Mi presento. Parliamo della partita. Mi mette in guardia. Ah, questi «plavi». Il signore sì che se ne intende. Zoran Slavnic ci castigherà sulla sirena.
Mosca 1980
In cima, i duecento di Pietro Mennea e l’alto di Sara Simeoni. Ma il fatto è una telefonata del 2 agosto, agli sgoccioli dei Giochi. Mi informano che, alla stazione di Bologna, è esplosa una bomba: 85 morti. Mamma e papà vivono nel cuore della Bolognina, non molto lontano. Li contatto. Hanno sentito il boato. Immergersi in certi istanti è proprio dura.
Los Angeles 1984
Sono passato alla "Gazzetta". Egitto-Italia di calcio. La decide Aldo Serena. Il ct era Enzo Bearzot. Gli egiziani la misero in rissa. Sangue e arena. La violenza della trama mi fece guadagnare spazio. Più di quanto non ne avessi strappato con l’esperimento (fallito) di Franco Baresi mediano.
Seul 1988
Ancora calcio. Zambia-Italia 4-0. La prima Olimpiade con il pc portatile. Il football, si sa, non è il centro storico dei Giochi. E’ la periferia. A meno che non succeda un patatrac come quello di Kwangiu. Gli azzurri di Francesco Rocca, poi quarti alla meta. Me la sarei dovuta cavare con un "trentello". Finì che scrissi una pagina.
Barcellona 1992
Dalla rosea alla "Stampa". Il Dream Team numero uno, modestamente. Lo squadrone di Michael Jordan e Magic Johnson, di Larry Bird e Charles Barkley. C’ero, alla conferenza, quando proprio a Barkley chiesero dell’Angola. Risposta: "Non so che cavolo sia, ‘sta Angola, so solo che saranno membri suoi". Difatti: 116-48.
Atlanta 1996
La fiaccola accesa dal braccio tremolante di Muhammad Ali. Il Parkinson lo aveva già prenotato. Rammento gli occhi aperti alla fatica, lui che era nato guerriero, e spalancati sulla nostra ansia che qualcosa potesse incepparsi, nel rito. Uomini di poca fede: i miti non si spengono, mai.
Atene 2004
L’oro di Aldo Montano. Sport di nobiltà assoluta, la scherma, ma capire chi ha "stoccato" chi - nonostante urla e lampadine - mi ha sempre affascinato e prostrato. Un D’Artagnan di cappa e sciabola, Aldo, casinista di successo e per eccesso, sul podio con la maglietta "Sono io, siamo noi" e la bandiera amaranto con il prefisso di Livorno (0586). La riscoperta del telefono.
Torino 2006
La cerimonia inaugurale, in questo caso. Confine serrato e poetico tra un inizio e una fine. Luciano Pavarotti cantò, in playback, "Nessun dorma". Venne giù lo stadio. Che brividi. O forse erano lacrime? Fu la sua ultima esibizione in pubblico. Gli dei lo aspettavano al varco.
Pechino 2008
I cinesi, furbi, ti controllavano al metal detector direttamente in albergo. Poi, se prendevi le navette dell’organizzazione, entravi tranquillo, ovunque e comunque, senza più rotture di scatole. All’ombra di Usain Bolt (ubi maior...) mi andai a vedere, per sfizio, la finale del calcio femminile, Brasile-Usa. Vinsero "le" Usa giocando all’italiana (1-0). Erano ancora i tempi del "calcio non è sport per signorine". Spettatori allo stadio dei Lavoratori, 51.612. Mica male. Dodici anni dopo, quei fiocchi (rosa) sarebbero diventati valanghe. Persino da noi.
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