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Kitzbühel - Il mito della Streif: gloria, paura, silenzio

Marco Castro

Pubblicato 18/01/2024 alle 21:41 GMT+1

SCI ALPINO - È la pista delle piste, il luogo sacro dello sci mondiale, il tempio austriaco di questo sport. Un viaggio senza fiato nel cuore di Kitzbühel: dalle origini della leggenda al record di Cuche, dai trionfi epici alle cadute fragorose, dalle imprese italiane ai fiumi di tifosi.

Ghedina - Copertina LongForm Kitzbuhel

Credit Foto Eurosport

Questa è una storia di coraggio e di ambizione. Una storia di mito e tradizione, di sport e di cultura. Ma anche di sudore e di paura, di silenzio e di clamore. Questa è la storia di Kitzbühel, madre e custode della pista delle piste: la Streif. Dove lo sci non è nato, ma si è fatto bello agli occhi del mondo. Dove la campana della gloria risuona per chi vuole lasciare un segno indelebile in questa disciplina. Dove tutti, campioni e debuttanti, indossano da sempre un ideale smoking bianco, perché non esiste appuntamento più importante. Una gara che può dare e togliere tutto: onori e dolori. Qui hanno sgomitato e trionfato i più grandi, qui anche l’Italia dello sci ha recitato un ruolo da protagonista. Qui, a Kitzbühel, è tutta un’altra storia.

1. Kitzbühel, le origini del mito

In principio fu Franz Reisch. A molti il nome dirà poco, ma la curiosità e l’intraprendenza di questo eclettico uomo austriaco hanno avuto un ruolo fondamentale per disegnare questo racconto e scolpirne il mito in maniera indelebile. Il XIX secolo sta volgendo al termine e il personaggio in questione lavora in una pasticceria di Kitzbühel. Già snodo commerciale dalla fine del Medioevo, questa perla del Tirolo orientale è un centro di villeggiatura che attrae un discreto numero di turisti grazie ai suoi prati, l’eleganza dello Schwarzsee (il "Lago Nero") e le fiere alture circostanti.
Reisch ha vent’anni quando si imbatte in un libro che in copertina recita "Auf Schneeschuhen durch Grönland", traducibile letteralmente in "Sulle scarpe da neve attraverso la Groenlandia". Scritte dall’esploratore norvegese Fridtjof Nansen, le storie catturano il giovane austriaco, sbalordito e attratto da uno strumento mai visto alle sue latitudini. Franz non ci pensa due volte e decide di ordinare dalla Norvegia un paio di “planks”, quelle tavole magiche in grado di far volare l’uomo su neve e ghiaccio. Perché non provarci a Kitzbühel, dove la neve imbianca il paesaggio già dal mese di novembre?
Quell’idea così rivoluzionaria naturalmente non convince tutti, e molti compaesani danno a Reisch del folle o del visionario. Non saremo stati al livello dei primi voli dei fratelli Wright, ma lo stupore è comprensibile. Lui, però, non demorde, e il 15 marzo 1893 si tuffa a capofitto dal Kitzbühel Horn indossando un paio di sci da 2 metri e 30. È il primo degli innumerevoli passi che porteranno alla diffusione di questo sport, legandolo in maniera indissolubile a quest’angolo dell’Austria. Già, perché svaniti in fretta in primi scetticismi, il fenomeno cresce in maniera esponenziale, scandito da alcune storiche tappe. Su tutte, il primo campionato di sci e la fondazione dello sci club Kitzbühel nel 1902.
Le gare sulla Streif cominciano nel lontano 1931 con la combinata, in un contesto molto pittoresco rispetto a quanto siamo abituati a vedere oggi.
Teatro di tutto ciò è il profilo avvolgente e scosceso dell’Hahnenkamm, la montagna che sorveglia la cittadina dai suoi 1712 metri. È sulle sue nevi che dal marzo del 1931 la scuola di sci locale organizza l’omonima e celebre combinata, l’Hahnenkammrennen. Un trofeo che, dopo i primi anni di assestamento, sceglie i temibili pendii della Streif per la gara di discesa e la pista Ganslern per il successivo slalom, le due prove che, sommando i tempi, assegnano il premio. Una competizione dalle fattezze ormai mitiche, che, sfidando lo scorrere del tempo, ha mantenuto intatto il suo fascino fino ai giorni nostri. Una gara che ha anticipato di più di 30 anni la Coppa del Mondo, di cui è entrata a far parte sin dalla prima stagione, nel 1967. Un evento che per lungo tempo consacrava il vincitore come lo sciatore più completo e più coraggioso, più resistente e più tecnico. Insomma, il migliore del mondo.
A Kitzbühel è nato lo sci che conosciamo oggi. A Kitzbühel questo sport ha raggiunto la popolarità. A Kitzbühel, anche se gli sci non sono più di legno né lunghi 2 metri e 30, si respira ancora l’aria delle origini. Forse è per questo che vincere qui ha un sapore più dolce che in qualsiasi altro luogo.

2. The evil Streif: una pista diabolica

A Kitzbühel ci sono alcuni tratti in cui devi decidere se rischiare al 100% o perdere alcuni decimi. Nel 2004 volevo assolutamente vincere di nuovo sulla Streif. Per questo ho dato il massimo sull’Hausbergkante e sono stato ricompensato per il mio coraggio. Tolte le medaglie d’oro, è il mio più grande trionfo [Stephan Eberharter]
Se senti nominare Kitzbühel, difficilmente il pensiero non va alla Streif. Il nome deriva da Streifalm, il pascolo situato nella parte alta del tracciato e che, con buone probabilità, affonda le sue radici nel cognome di un contadino, tale Straiff, di stanza in questa terra in passato. Il mito di questa pista è cresciuto di pari passo a quello dell’Hanhnenkamm, di cui è il cuore pulsante, e conquistare una discesa sulle sue nevi vale una carriera, per alcuni anche più di una medaglia olimpica. Per conferma, citofonare a casa Bode Miller, uno in grado di salire per 11 volte sul podio tra Mondiali e Giochi ma che si è sempre rammaricato di non aver vinto da queste parti.
La Streif è una pista tanto ambita quanto temuta. Un mostro sacro che desidera rispetto, ma che richiede anche audacia e una giusta dose di follia per essere domata. Chi vuole vincere qua, in un tracciato che più di ogni altro non perdona nulla, dev’essere impeccabile fisicamente e mentalmente dal primo all’ultimo metro. Già dagli anni ’70 e ‘80, la neve in eccesso veniva tolta e gli addetti bagnavano la pista rendendola una lastra di vetro. Per questo era una delle più veloci e difficili. Ci sono stati anni in cui i partecipanti erano pochi (non più di 30-35) perché le squadre non mandavano gli atleti considerando eccessiva la pericolosità della pista. Oggi c'è un rifugio, ma prima si partiva da una casettina di legno. Gli sciatori mettevano fuori le punte degli sci e scorgevano il baratro.
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La vista dal cancelletto di partenza della Streif: un deserto bianco punteggiato di verde, la discesa, il silenzio, il vuoto.

Credit Foto Eurosport

Il cancelletto di partenza è fissato ai 1665 metri d’altitudine dell’Hahnenkamm Bergstation e, partito il cronometro, non c’è un attimo di respiro fino al traguardo. Affrontata la esse iniziale, la Mausefalle (la “trappola per topi”) impegna gli atleti con un salto lungo fino a 80 metri. Pochi secondi dopo, passata l’inversione a U della Karussellkurve (la "curva della giostra"), c’è già un punto chiave. È la Steilhang (il "pendio ripido"), una doppia curva con pendenza sfavorevole che porta alla stradina che caratterizza il settore centrale. In questo tratto bisogna trovare il giusto compromesso tra tenere lo sci e lasciarlo andare. Se si esagera da un lato, non si porta fuori velocità, mentre lasciare gli spigoli con troppo anticipo può condurre a un epilogo doloroso e spettacolare contro le reti di protezione.
I passaggi principali della Streif: il punto più critico è la Mausefalle, dove si raggiunge una pendenza dell'85%
L’uscita dalla Steilhang è il punto più critico e difficile, più delicato e importante di tutti i passaggi delle varie piste di Coppa del Mondo. [Kristian Ghedina]
Usciti dal tratto di scorrimento del Brückenschuss (il "ponticello"), si scollina metà gara in prossimità del salto di Seidlalmsprung. Qui le gambe bruciano già. Il successivo Oberhausberg è il tratto più lento della pista, quello che anticipa il gran finale. Ed ecco l’Hausbergkante (la "sponda Hausberg"), il passaggio più simbolico. Un salto a denti stretti sotto l’arco pubblicitario seguito da una curva esigente verso sinistra, dove pendenza e forza centrifuga che caratterizzano la lunga diagonale pungono come aghi affilati i muscoli già allo stremo. Lo Schuss finale, dove si sfiorano i 150 km/h, anticipa l’ultimo salto, oggi livellato dopo gli incidenti del passato, e il traguardo consegna chi scende all’ovazione del catino di Kitzbühel.
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On-board camera: la Streif vista in prima persona con Hans Knauss


3. Dal silenzio alla bolgia

Il momento più difficile è prima della partenza. Vedere gli atleti che ti precedono prendere il via. Arrivi al cancelletto e pensi 'Mio dio, non è possibile'. Devi stare calmo e dire a te stesso che ce la puoi fare. Poi smetti di pensare: è il momento di agire. [Pierre Emmanuel Dalcin].
La Streif comincia prima della Streif. Se la discesa è il fulcro di un evento straordinario in tutti i suoi crismi, il momento che la precede è quello più catartico e delicato. C’è chi fa gli esercizi di riscaldamento, chi ripassa mentalmente il tracciato, chi rimane immobile, con lo sguardo fisso nel vuoto, alla ricerca della massima concentrazione. Quel tempo che sembra non passare mai, ma che scorre a velocità doppia quando si avvicina il proprio turno. Sono scene tipiche di ogni gara di Coppa del Mondo.
Eppure Kitzbühel sembra essere speciale anche in questo. Il rumore è ridotto al minimo, mentre il silenzio si diffonde nell’area circostante al cancelletto di partenza, avvolgendo gli atleti pervasi da una serie di sentimenti contrastanti. Paura, eccitazione, diffidenza, impazienza. Nessuno parla. C’è rispetto per la pista ma anche tra i concorrenti stessi, che in questa situazione diventano tutti uguali. Dal campione affermato all’ultimo della starting list, tutti si preparano a vivere gli stessi rischi. C’è chi dice che non si è mai davvero pronti ad affrontare la Streif, ma la prima volta può essere davvero terribile. Didier Cuche, campionissimo in seguito su questa pista, era terrorizzato il giorno del suo esordio, tanto da vomitare a pochi minuti dal via. Per dire.
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La partenza dalla Bergstation è un tuffo nel vuoto: in una manciata di secondi gli atleti superano i 100 km/h.

Credit Foto Imago

Scorrono i pettorali, tocca a te. Il bip ripetuto che significa conto alla rovescia ti riporta alla realtà, è il tuo momento: si parte. In quei due minuti mal contati di discesa verso il traguardo cambia tanto, cambia tutto rispetto a lassù. Quel silenzio, così tipico dell’Hahnenkamm Bergstation, lascia spazio ad altro. Il rumore delle lamine sul ghiaccio vivo, il fruscio di una porta sfiorata, il risuonare di qualche campana d’incitamento. Sei in apnea, concentrato al 150%, ma senti quel crescendo di suoni che ti accompagna verso valle. E dopo l’Hausbergkante, la vedi. Quella curva di tifosi in festa, che abbraccia l’ultima lingua di neve della pista e si prepara ad accogliere con eguale, incontenibile affetto qualunque sciatore tagli il benedetto traguardo.
Il silenzio è un ricordo lontano. Trombe, cori e musica risuonano dappertutto. Non è solo una gara, è soprattutto una festa. È dalla fine degli anni ’70 che gli organizzatori calcolano con discreta precisione il numero di persone partecipanti a quello che in Austria è l’evento sportivo dell’anno. Dopo una crescita più o meno costante per due decadi, il record di affluenza è stato fatto registrare nel 1999, quando, secondo i dati ufficiali dell’Hahnenkammrennen, si dice ci fossero 99.000 persone presenti nel weekend tra discesa, slalom ed eventi collaterali. Gente comune, addetti ai lavori ma anche tante stelle dello sport e dello spettacolo. Numeri incredibili e che continuano a rimanere tali col passare degli anni. La tradizione del Giro delle Fiandre, l’eleganza del centrale di Wimbledon, il parterre di San Siro nelle grandi occasioni. Kitzbühel strizza l’occhio ad altri luoghi sacri dello sport per rinnovare annualmente il suo mito.
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La folla al traguardo della Streif: ogni anno, a Kitzbühel si radunano quasi 100.000 persone, che rendono unica la cornice di questa gara.

Credit Foto Eurosport


4. Ghedina: in spaccata nella storia

Ancora oggi, la gente non si ricorda neanche che ho vinto a Kitzbühel, che sì fa parte del mio palmares, ma si ricorda soprattutto quel gesto. Della serie, Bravo Ghedina, sei stato un grande, ma quella spaccata… lì sei stato il numero 1. [Kristian Ghedina]
Ogni sport ha le sue icone, i suoi gesti simbolici in grado di attraversare lo spazio-tempo per la loro straordinaria unicità. Nel basket, ad esempio, lo sky-hook di Kareem Abdul-Jabbar o la sagoma di Jerry West utilizzata per il logo dell’NBA. Nel calcio, la rovesciata di Carlo Parola, tanto cara ai collezionisti di figurine Panini. Nello sci c’è una fotografia che per distacco ha segnato l’immaginario di questo sport, almeno per quanto riguarda la sua storia più recente: la spaccata di Kristian Ghedina a Kitzbühel nel 2004.
Un gesto spettacolare, inatteso e con una genesi particolare. Tutto nasce per una scommessa. Durante la ricognizione della mattina, Kristian fa una spaccata a bassa velocità e il cugino, quando lui si ferma al parterre d’arrivo, lo apostrofa, dandogli del pirla. Ghedina non ci sta, quello è il suo pane quotidiano e ribatte dicendo che un gesto del genere può farlo anche in gara. Il cugino continua a stuzzicarlo. Chiacchierone, chiacchierone,nianca bon, nianca omo. Alla fine i due mettono in palio una pizza e una birra. In realtà, al di là dell’input ludico, c’è anche una riflessione più profonda da parte dell’istrionico Ghedo nell’immaginare quel meraviglioso gesto.
Quella è la quinta discesa della stagione e l’atleta di Cortina si è messo in testa di arrivare fino alle Olimpiadi del 2006. Nel 2004 è già un veterano del circo bianco, ma l’assegnazione dei Giochi a Torino sembra essere il modo migliore per chiudere la carriera. Le gare precedenti a Kitz, però, non vanno nel verso giusto. Ghedina è avvilito, e nella sua mente balena anche il pensiero di un ritiro immediato.
È deprimente quando arrivi da stagioni in cui riesci ancora a fare risultato e poi non ce la fai più. Ti fai tante domande. Io ho pensato anche a questo quando ho fatto la scommessa. Pazienza se dovessi perdere qualche decimo con la spaccata. Non ho pensato alla pericolosità. Se arrivo 15esimo o 18esimo cambia poco. [Kristian Ghedina]
E invece quella gara diventa la più performante della sua stagione. Un sesto posto insperato e decisivo che dà a Kristian la carica emotiva per decidere di andare avanti. La gente si esalta, sono tutti stupiti. È quella la scintilla che gli fa capire di poter essere ancora competitivo tra i grandi velocisti dello sci.
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La "follia" di Kristian Ghedina: la spaccata sulla Streif a 137 km/h

La spaccata, dicevamo. Un gesto estemporaneo come quello pensato da Ghedina va preparato prima, soprattutto se di mezzo c’è la Streif di Kitzbühel. Lo devi pianificare nella tua testa nella ricognizione mentale prima della partenza, in seggiovia, al bar o nei momenti di pausa. Non si può improvvisare. Ma in questo caso, Kristian stupisce anche se stesso.
Ogni volta che ripetevo la gara mentalmente pensavo al salto in maniera normale, non alla spaccata. Nella compressione a 50 metri dal salto finale, dove mi hanno misurato la velocità di 137 km/h, mi viene il flash. Mi sono detto porca puttana, la scommessa! Non l’avevo pianificata mentalmente! La faccio o non la faccio? Non posso non farla sennò perdo la scommessa e mi girano le palle. Però se sbaglio mi faccio male forte. Il pensiero va velocissimo. Cosa faccio? Mentalmente hai 2-3 secondi per concretizzare il tutto dalla compressione al salto. Allora ho deciso: primo affronto il salto e lo schiaccio, poi se sono centrale apro le gambe in aria. E così è stato. [Kristian Ghedina]
La spaccata riesce alla grande. Ghedina taglia il traguardo e si ferma. E lì scoppia l’apoteosi, il tripudio. Kristian arriva giù col pettorale 12 facendo segnare il miglior tempo. Due o tre degli atleti più forti sono già scesi e lui rimane primo fino al 19. Pubblico, allenatori e addetti ai lavori non hanno mai visto una cosa così, diventano tutti matti. La gente lo tira a destra e sinistra per le maniche, a fare interviste, a osannarlo, a ringraziarlo per quello spettacolo inedito. "Sembrava che avessi fatto un’impresa epica", commenta lui. Lo è stata caro Kristian, lo è stata.
Spettacolare sì, ma anche vincente. Se la spaccata resta la sua fotografia più memorabile, il 24 gennaio 1998 è il giorno più gratificante di Kristian Ghedina sulle nevi di Kitz. In tuta rossa e sfidando la nebbia, Ghedo brucia Didier Cuche e Josef Strobl sul traguardo, diventando il primo italiano a trionfare in discesa su quella pista.
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Kristian Ghedina si mangia la Streif! L'impresa del 1998


5. L’Italia a Kitz: da Thöni a Paris

Fu quel soffio del tempo a creare la leggenda. Se avessi vinto, sarebbe stato un colpaccio, ma si sarebbe esaurito nell'inserimento del mio nome in un altro albo d'oro. Si sarebbe perso il sale di quella gara. Fu invece una sconfitta col sapore della vittoria. [Gustav Thöni]
Kristian Ghedina incarna l'immaginario collettivo dello sci italiano a Kitzbühel, ma prima, dopo e oltre a lui c'è stato molto altro. Per ben cominciare, Gustav Thöni. Sono gli anni della valanga azzurra, il periodo in cui i nostri portacolori entrano di prepotenza nelle alte gerarchie dello sci alpino, sfidando alla pari i Paesi che dominano la disciplina fin dalle origini. Per la precisione è il 1974. Quell’anno, la combinata dell’Hahnenkamm si disputa per la 32esima volta e il fenomeno di Trafoi iscrive per la prima volta il nome di un italiano nel prestigioso albo d’oro, precedendo nella classifica finale il compagno di squadra Herbert Planck.
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Gustav Thöni è stato tra i grandi protagonisti della Valanga Azzurra degli anni '70: a Kitzbühel ha vinto per tre volte la combinata.

Credit Foto Imago

Ma la sua impresa più memorabile, Thöni la compie l’anno successivo. Con una prova magistrale nella discesa, lui che era superbo interprete delle prove tecniche, si piazza a soli 3 millesimi dal Kaiser, Franz Klammer. Un’inezia, che gli leva la prima vittoria nella velocità, ma che di fatto gli vale la seconda Hahnenkamm di fila grazie al piazzamento nello slalom. Magico Gustav, che nel 1977 completa uno straordinario tris nella combinata più celebre dello sci in quella che è anche la sua ultima vittoria in Coppa del Mondo.
Tra i pali stretti della Ganslern, invece, solo tre azzurri hanno avuto merito e onore di chiudere davanti a tutti. Il primo, nel magico 1975, è Pierino Gros, che si toglie lo sfizio di battere re Stenmark. Il terzo, è Cristian Deville, che su queste nevi coglie la sua unica vittoria nel circo bianco, nel 2011. Il secondo, beh, non ha bisogno di presentazioni. Accento bolognese ed espressione sfrontata, sua maestà Alberto Tomba trionfa nel 1988, nel 1992 e nel 1995, salendo sul podio altre quattro volte.
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2013, 2017, 2019: le tre perle di Paris in discesa sulla Streif

Ma torniamo alla Streif. Dopo l'impresa di Ghedina, la gloria azzurra alberga nei giorni nostri e si manifesta sotto forma della sagoma imponente di Dominik Paris. L’atleta di Ultimo è inarrivabile il 26 gennaio 2013 nel suo primo successo sulla Streif e si ripete quattro anni più tardi, sbaragliando la concorrenza con la sua carica da rockstar. Ma è il capolavoro scolpito nel 2019 che fa sedere l'azzurro al tavolo dei più grandi di sempre della disciplina. Col pettorale numero 7, lo svizzero Beat Feuz fa valere i suoi gradi di leader di discesa e con una prova magistrale assapora quello che allora sarebbe il suo primo hurrà sulla Streif. La gara perfetta, pensano in tanti, nessuno può fare meglio. Nessuno tranne Paris. Domme è in forma, Domme sa come si doma questa pista meglio di tutti i suoi rivali. E lo fa vedere nel migliore dei modi. Impeccabile sulla Steilhang, statuario all'Hausbergkante, indemoniato sullo Schuss che porta al traguardo. Sono venti i centesimi di margine sull'avversario dopo un testa a testa di rara bellezza per due minuti di gara. Che spettacolo Paris, esuberante padrone di casa nella sacra dimora dello sci. Il suo nuovo sigillo allunga il momento d'oro degli italiani a Kitz, condito di recente da altre due perle. La prima, il successo in Super G dello stesso Paris nel 2015 (Domme ha conquistato in tutto 7 podi sulla Streif, l'ultimo nel 2021). La seconda, la vittoria in discesa di Peter Fill nel 2016. Un trionfo che per il futuro vincitore della Coppa di disciplina ha il sapore del riscatto, del superamento del “mostro” Kitzbühel dopo la tremenda caduta di tre anni prima.

6. I signori della Streif

Due giorni fa ho annunciato il mio ritiro, e oggi ho vinto per la quinta volta a Kitzbühel. È pazzesco. Ricordo ogni successo, il primo è stato speciale perché ero giovanissimo. Il Re di Kitz? No, continuate pure a chiamarmi Didier... [Didier Cuche]
Un urlo bestiale risuona al parterre d’arrivo, investendo tutta la vallata. Didier Cuche ha appena tagliato il traguardo della Streif e capisce di aver realizzato qualcosa di speciale. È il 1998, e il giovane svizzero vince per la prima volta la discesa di Kitzbühel, sprigionando nell’aria tutta la sua soddisfazione. Sembrano lontani anni luce i tempi in cui il nativo di Le Pâquier si sentiva male prima della partenza. Quel giorno, quella pista così mitica è roba sua, e lui, dentro di sé, scopre di avere un feeling speciale con il mitico pendio. La storia confermerà questa convinzione, anche se con un certo ritardo. Perché il grande Didier, sguardo da duro e cuore grande, è come il vino, e per lui i grandi successi arrivano quando la carta d’identità e già ingiallita dallo scollinamento dei 30 anni. La sua Era sulla Streif, infatti, inizia nel 2008, a una decade esatta da quel primo trionfo. In un quinquennio manca il gradino più alto in discesa una sola volta, cedendo il passo al connazionale Defago. Kitzbühel diventa Cuchebühel, la sua pista.
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Didier Cuche è il Re di Kitzbühel: ha vinto sulla Streif per cinque volte superando il record di Franz Klammer nel 2012.

Credit Foto Getty Images

Il suo capolavoro più bello lo dipinge nel 2011, quando rifila almeno un secondo a tutti quanti. Ma negli occhi di tutti resta la gara del 2012. Due giorni prima, convoca la stampa per annunciare che si sarebbe ritirato alla fine dell'inverno. Una decisione che non intende rivelare che ai piedi della Streif. La sua Streif. "È da lì che tutto è iniziato per me", dice, "quindi, no, ovviamente non è banale per me fare questo annuncio a Kitzbühel." La nebbia non ferma il suo appuntamento con la storia e Cuche, a 37 anni e 5 mesi, suona la sua quinta sinfonia nella discesa più ambita, superando il record di Klammer. Da un Kaiser all’altro.
I giganti dello sci si sfidano sulle nevi di Kitzbühel, la città del camoscio, fin dagli albori. Campioni arrivati da lontano ma anche da vicino o vicinissimo. Campioni del posto. Vedi gli enfants du paysToni Sailer e Andreas Molterer, nati e diventati grandi proprio a Kitzbühel, o Christian Pravda, originario della vicina Kufstein. Anton Elgelbert Sailer, per tutti Toni, vede la luce nel novembre del 1935 e vent’anni più tardi vince tutte le gare in programma alle Olimpiadi di Cortina, ripetendosi da fenomeno ai successivi Mondiali di Bad Gastein. A Kitz conquista due discese, uno slalom e una combinata prima di ritirarsi a soli 22 anni e dedicarsi alla carriera cinematografica. Un’esperienza sportiva folgorante e che lascia il segno, visto che nel 1999 viene nominato sportivo austriaco del secolo. Meno teatrali, ma dal talento cristallino sono Christian Pravda e Anderl Molterer, 7 combinate dell’Hahnenkamm in due. Insieme a Sailer e ad altri figli di Kitzbühel come Ernst Hinterseer, Hias Leitner e Fritz Huber dominano lo sci tra gli anni ’50 e la prima metà degli anni ’60.
I Signori della Streif
*Anche Beat Feuz è arrivato a tre vittorie in discesa libera sulla Streif, vincendo due volte nel 2021 e una nel 2022.
Arrivano gli anni ruggenti di Karl Schranz e Franz Klammer, nuovi padroni austriaci sulla Streif nella prima decade del circo bianco. Anni in cui lo speciale parla francese grazie ai vari Killy, Russel e Augert. Ma se la combinata non perde mai di fascino nel suo complesso, la gara di discesa rimane l’evento clou, quello più ambito della stagione. Anche Ingemar Stenmark, signore incontrastato di slalom e gigante per un quindicennio, affronta nel 1981 la pista delle piste, costretto da un regolamento di Coppa del Mondo ad inseguire punti per la combinata. Il risultato? Ingo chiude 34° su 39 classificati, staccato di più di 10 secondi dal vincitore. Rimarrà l’unica discesa disputata in carriera dal fenomeno svedese, come a voler mettere la parola "Streif” in un curriculum già leggendario. Un'edizione tremenda quella, visto che ben 17 atleti non riescono a tagliare il traguardo.
Gli anni del tramonto di Stenmark coincidono con l’inizio di tre brevi dinastie sulle nevi di Kitzbühel. Nell’ordine: Pirmin Zurbriggen, negli anni delle sfide tra polivalenti per eccellenza con Marc Girardelli, e poi gli specialisti doc della velocità Franz Heinzer e Luc Alphand. Il 1995 è l’anno del debutto a Kitz del Super G, gara rimasta più o meno stabile nel programma, ma che non fa parte del trofeo dell’Hahnenkamm. Sono gli anni del Wunderteam austriaco, capitanato idealmente da quel satanasso di Hermann Maier. Herminator lascerà la sua firma per sei volte sulla Streif, anche se per cinque di queste nella versione annacquata del Super G.

7. Non solo gloria: quando a essere celebri sono le cadute

Per popolarità, è stato più importante cadere a Kitz che fare tutti i risultati che ho raggiunto in carriera. È stato spettacolare, anche grazie alla televisione. A volte prendi una botta peggiore in una scivolata, mentre lì è andato tutto a gonfie vele, è stato il massimo. Dopo quel volo sono atterrato in un letto di neve, un materasso che ha attutito ogni colpo. [Pietro Vitalini]
I fasti, le vittorie, il fascino, il pubblico. Kitzbühel è stata terra di imprese da annali e festeggiamenti altrettanto memorabili, ma spesso ha messo in mostra anche un suo lato più buio: quello delle cadute. Alcune innocue, altre spettacolari, molte drammatiche. E c’è chi, anche molti anni dopo aver chiuso la carriera agonistica, viene ricordato più per un ruzzolone lungo la Streif che per i risultati ottenuti. Parliamo naturalmente di Pietro Vitalini, che nel 1995 fu protagonista di una delle cadute più incredibili che la Coppa del Mondo di sci alpino ricordi. Una serie infinita di capriole prima in pista e poi oltre le reti di protezione, con un finale incredibilmente lieto vista la dinamica.
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Pietro Vitalini, Peter Fill, Aksel Svindal: le cadute più spettacolari sulla Streif

Superato lo shock e rimessi gli sci, Pietro scende fino al traguardo, dove il pubblico gli riserva un boato quasi superiore a quello per l’idolo di casa che fa segnare il miglior tempo. Le televisioni lo circondano, in primis quella austriaca che vuole sincerarsi delle sue condizioni. Un po’ in inglese e un po’ in tedesco, Vitalini racconta l’accaduto. Ma “inghiottire la neve” non sa tradurlo. Lo sciatore azzurro fa ridere tutti e questa frase rimane storica, venendo ripresa sui blog dell’epoca, soprattutto in Austria. Gli dei dello sci avranno certo avuto un occhio di riguardo per Alitalia, come Pietro veniva scherzosamente chiamato, ma lo sciatore nato a Bormio ci mette del suo per costruire l’epica di quella giornata di fine gennaio. Già, perché quel giorno sono in programma due gare e a poche ore dalla caduta, Vitalini sfida di nuovo la Streif. Una reazione coraggiosa che fa capire a tanti il valore dell’atleta, per la capacità di gestire la concentrazione e saper tornare a sfidare una pista che due ore prima l’aveva disarcionato.
Ogni tanto mi capita di vedere un video in cui Bode Miller racconta alla tv americana l’evento più particolare della Coppa del Mondo. Lui parla del mio volo, non tanto per la caduta ma per la mia capacità di ritornare in pista subito dopo e fare quinto nella seconda discesa. Come quando cadi da cavallo, devi subito risalire perché altrimenti non lo fai più. Nel mio caso ho saputo domare la paura e tornare a scendere ad altissimo livello. Non ero pazzo, sapevo benissimo quello a cui andavo incontro. E poi un po’ di freno a mano, in quel punto, l’avrò di certo tirato… [Pietro Vitalini]
Naturalmente Pietro Vitalini non è stato l’unico sciatore protagonista di tremende cadute sulla Streif. E se a lui è andata di lusso, lo stesso non si può dire per altri. Nel 1987 Todd Brooker perde il controllo in prossimità dello Schuss finale e vede l’inferno, rotolando verso valle per decine di metri e salti mortali innaturali. Il canadese perde conoscenza e se la cava con una commozione cerebrale, la frattura del setto nasale e lesioni a un ginocchio. Ma di fatto chiude lì la sua carriera.
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La caduta di Aksel Lund Svindal del 2016 dopo l’Hausbergkante: il passaggio più simbolico della pista fu fatale a tanti atleti in quell'edizione.

Credit Foto Eurosport

Due anni più tardi è un altro canadese, Brian Stemmle, a spaventare tutti con un volo tremendo all’uscita della Steilhang. Lui torna a gareggiare, ma fa anche causa agli organizzatori per i danni riportati. Come si diceva, la Streif non concede un attimo di distrazione fino alla linea del traguardo. E infatti anche l’ultimo salto miete vittime nel corso degli anni. Analoghi i casi di Scott Macartney (2007) e Daniel Albrecht (2009), caduti rovinosamente a pochi metri dall’arrivo, sull’ultimo salto. Entrambi vengono posti in coma farmacologico e nessuno dei due otterrà più risultati di livello in Coppa del Mondo.
Arrivando a tempi più recenti, fanno specie, tra le altre, due cadute. Nel 2013 Peter Fill sbaglia sulla Steilhang e finisce contro le protezioni dopo un salto mortale che lo fa atterrare sulla schiena. Nel 2016, Aksel Lund Svindal spaventa tutti scivolando dopo l’Hausbergkante e terminando la sua corsa contro le reti a bordo pista. Fortunati a limitare i danni, la Streif porgerà loro l’altra guancia e li vedrà trionfare entrambi negli anni seguenti.
È questa l’altra faccia del pendio più famoso del mondo. Kitzbühel dà, Kitzbühel toglie. Una terra magica dove ogni singola componente è portata all’estremo. Le pendenze della pista, i rischi di chi scende, la soddisfazione e gli onori per chi vince, la partecipazione dei tifosi. Dove paradiso e inferno sono divisi da una linea sottilissima, o per restare in tema, da una lastra di ghiaccio molto fragile. Non ci sono compromessi, non esistono sfumature. Solo un’esperienza vivida che, comunque vada, lascerà il segno nel cuore di chi la prova.
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Skydiving sulla mitica Streif: le immagini sono mozzafiato

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