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Dimitrov, benvenuto tra i Masters: a due passi dagli US Open, che sia forse la volta buona?

Alberto Coriele

Aggiornato 21/08/2017 alle 11:02 GMT+2

Il bulgaro ha vinto a Cincinnati il suo primo Masters diventando il secondo tennista degli anni Novanta, dopo Zverev, ad imporsi in un 1000. Battuto Kyrgios, dopo una primavera deludente tra Roland Garros e Wimbledon, agli Us Open proverà a tornare il gran Dimitrov visto in semifinale a Melbourne.

Grigor Dimitrov lors du Masters 1000 de Cincinnati 2017

Credit Foto Getty Images

La notte su Cincinnati, Ohio, è calata e forse per Grigor Dimitrov inizia ora l’attesa per un’alba nuova. Perché vincere, in effetti, è tutta un’altra cosa. Ha tutt’altro sapore, tutt’altra consistenza. A Dimitrov mancava vincere, tremendamente: ci è sempre andato vicino, è sempre stato bello ed impossibile ma mai risolutivo. Cincinnati ha regalato a lui la prima vittoria in un Masters 1000, alla prima finale disputata (è il quarto tennista nato negli anni ’90 a raggiungere la finale in un 1000 dopo Janowicz, Zverev e Raonic). E non solo, il successo in terra statunitense lo ha riportato con forza dentro la top ten, una elite da cui mancava ormai da tre anni: a fine agosto 2014 fu ottavo, prima di entrare in un periodo – lungo – di appannamento tale da relegarlo fino alla 40esima posizione del ranking a luglio 2016, poco più di un anno fa.
Ad una settimana dall’inizio degli US Open, Dimitrov si propone in una posizione di forza e di fiducia mai avute prima in carriera: sul cemento ha fatto bene quest’anno, vincendo a Brisbane, a Sofia e appunto a Cincinnati. Tre tornei vinti nel 2017, su un totale di sette in carriera: in Australia andò non vicino, bensì vicinissimo alla prima finale slam della sua carriera, perdendo in semifinale al quinto dopo una battaglia epica con Rafa Nadal. I presupposti, di gioco e non solo di numeri, lo inseriscono come outsider di lusso a Flushing Meadows. L’ultima volta tre tornei li aveva vinti nel 2014, proprio quando la sua parabola di crescita aveva già raggiunto la top ten.
Potrebbe, e sottolineiamo il potrebbe perché fin troppe volte il bulgaro è inciampato sulle attese, essere il punto, il momento della completa maturazione di Grigor, atteso tra le lande dei Re fin da quando vinse gli US Open e Wimbledon tra i Junior. Accadde tutto in pochi mesi, tra giugno e settembre 2008 quando il nostro aveva da poco varcato la soglia dei 17 anni: il predominio giovanile, quello stile e quella gestualità tanto simile a Re Roger per tanti anni lo ha hanno caricato di aspettative, di attese: lui, il Baby-Fed, le ha troppe volte disilluse, scottato dall’ennesima etichetta tanto facile da attaccare quanto difficiel da sostenere. Eternamente schiacciato tra lo strapotere delle generazioni precedenti e l’esuberanza della Next Gen di Zverev, Grigor sta lottando per ritagliarsi il suo spazio di gloria e chissà che sia proprio Cincinnati l’alba di tutto.
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Grigor Dimitrov lors du Masters 1000 de Cincinnati 2017

Credit Foto Getty Images

Il cammino di Cincinnati è stato importante: Feliciano Lopez, Martin Del Potro, il giapponese Sugita, John Isner e per chiudere Nick Kyrgios, senza concedere alcun set, finale compresa. In un Masters 1000 orfano di sette inquilini della top ten (Federer, Murray, Djokovic, Nishikori, Raonic, Wawrinka e Cilic), Dimitrov è stato astuto a sfruttare un’occasione irripetibile, che lo ha fatto salire sì al nono posto del ranking, ma anche al sesto della race 2017. La sua stagione, dopo l’inizio arrembante nel Down Under, era nuovamente ricaduta nelle tenebre della terra, dell'erba (pur sconfitto agli ottavi da Federer a Wimbledon) e del cemento americano, lo stesso che ora gli ha permesso di rivedere la luce forse appena in tempo per presentarsi da protagonista assoluto agli Us Open: non è mai troppo tardi per tornare a splendere.
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