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Le pagelle degli Australian Open 2019: Djokovic non si batte più, Federer da solo...

Simone Eterno

Aggiornato 28/01/2019 alle 11:44 GMT+1

Tra vincitori, vinti, sconfitti, sorprese, delusioni, giovani e italiani, diamo come al solito i voti. Da Djokovic che non si batte più a Federer che per una volta si batte da solo, passando per il passaggio di consegne ufficiale del tennis femminile con la nuova regina Osaka. Ma anche il 'dramma' di Zverev, il futuro della Anisimova, il reinventarsi di Nadal fino al successo del piccolo Musetti.

Nadal Djokovic Federer

Credit Foto Eurosport

I vincitori

Novak Djokovic. A inizio stagione, tra le righe, c’era stata una dichiarazione sfuggita ai più. Una mezza ammissione d’intenti, sulla volontà di raggiungere quei due là, davanti nella classifica – e in buona parte dei cuori – degli appassionati. Detto. Fatto. Il piano di battaglia è in pieno corso di svolgimento. Terzo slam consecutivo, 15esimo major in bacheca. Un successo arrivato in finale con una semplicità francamente disarmante persino per uno come Rafael Nadal, che in questa maniera non era mai stato trattato da nessuno, figuriamoci in una finale slam. E pensare che mezzo mondo – noi compresi – era lì a discutere se si sarebbe giocato 4 o 5 ore. Sette mesi fa questo signore era finito fuori da 20 del mondo. Oggi invece è numero 1 indiscutibile e indiscusso. Voto 10 e lode. Di più, nin zò. (cit.)
Naomi Osaka. Da un numero uno indiscusso a una che lo è appena diventata... E ha tutte le carte in regola per restarci a lungo. Abbiamo passato gli ultimi due anni a raccontarci roba tipo “sì, vabbé... però manca una vera n°1” oppure “eh però quando c’è Serena...”. Quel periodo sembra essere ufficialmente finito. Naomi Osaka non ha solo vinto l’Australian Open, ma lo ha fatto riuscendo laddove negli ultimi 15 anni solo Kim Clijsters e proprio Serena: ovvero metterne in fila almeno due di seguito. Un segnale evidente su come qualcosa sia davvero cambiato; e soprattutto su cosa possa riservare il futuro. La Osaka ha vinto e lo ha fatto con dei margini di miglioramento evidentissimi. A oggi è lei la più forte. E adesso non ci sono proprio più dubbi. Voto 10. Alla presa di coscienza.
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Naomi Osaka trionfa a Melbourne: gli highlights della finale con Petra Kvitova in 180 secondi

I finalisti

Rafael Nadal. Un percorso netto impressionante fino alla finale; il migliore in carriera in Australia. Una sconfitta incredibile nell’ultimo atto; la peggiore in carriera in una finale slam. Come leggere dunque il cammino di Rafa? A parere di chi vi scrive queste righe, più importante il primo segnale che il secondo. Per settimane infatti abbiamo sospettato, dubitato; abbiamo persino scritto che forse nemmeno l’avrebbe giocato e che in fondo sul cemento ormai aveva poco da chiedere. Poi però Nadal ha messo in fila tutti. Tutti tranne uno, certo. Ma l’ha fatto servendo come mai prima in carriera e mostrando un’evoluzione di alcuni aspetti del suo gioco che a 32 anni (va per i 33) solo gli alieni. Voto 9. Al guerriero mai domo.
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Highlights: tutto il meglio della finale Djokovic-Nadal in 180 secondi

Petra Kvitova. Una delle sue migliori versioni di sempre. Certamente la migliore in Australia, dove per una vita il caldo, escluse un paio di edizioni (2011 e 2012), l’aveva resa più che altro una sorta di comparsa. Petrona invece ha per una volta rispettato le indicazioni dei tornei precedenti, e dopo l’antipasto di Sydney ha sfiorato anche la portata principale in quel di Melbourne. Un ripalesarsi a livelli da professoressa del tennis; quale è lei quando tutto le congiunzioni astrali e non si allineano verso il suo splendido pianeta. Se qualcuno lo avesse prospettato due anni fa, quando un criminale per poco non le rovinò la carriera, l’avrebbero preso per pazzo. Voto 9. Al crederci sempre.

Gli sconfitti

Roger Federer. Difendeva gli ultimi due titoli. E dunque non può non essere lui lo ‘sconfitto’ di questo torneo. Arresosi a una delle peggiori giornate della sua carriera col dritto. E a quel ‘dettaglio lì’ delle palle break, da sempre argomento delicato in casa Federer. Perché dei tre alieni, il buon Roger, è sicuramente quello dagli aspetti più umani. O meglio, lo è quando perde. Scelte sbagliate, occasioni sprecate... Quando va giù, il re di tanto in tanto lo fa come il più comune dei mortali. Come a volerci concedere materiale per chiacchierare, insinuare, dubitare, persino miscredere il più professato dei culti pagani. Torna a casa dall’Australia con una sconfitta francamente bruttina e una promessa ancor più preoccupante per gli adepti della sua setta e non solo: il ritorno a Parigi il prossimo maggio. Che sia davvero l’anno del tour d’addio? Nel mentre voto 6. Alla vulnerabilità dell'uomo.
Simona Halep. Il concetto qui è molto chiaro: doveva difendere, di fronte a colei che da tanti è sempre considerata come la vera n°1, l’onore di 64 settimane passate, per il computer, davanti a tutte. Ci ha provato. E in qualche modo l’ha anche fatto. Lottando. Stappando un set. Vendendo insomma, come sempre, cara la pelle. Il risultato finale però è stato lo stesso di sempre. Simona Halep si è arresa a Serena Williams, lasciando così il trono a una ragazzina che, a 21 anni, è già riuscita dove la povera Simona si è spinta solo 1 volta in 10 incontri: battere Serena. Voto 6. Al passaggio di consegne.
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Australian Open: Serena Williams-Halep 6-1 4-6 6-4, gli highlights

Le sorprese

Lucas Pouille. Non c’è Australian Open senza nome totalmente fuori dal giro pronto a spingersi almeno fino alla semifinale. Una regola non scritta palesatasi puntuale anche quest’anno, dove a sorprendere è stato il redivivo Pouille. Il francesino, improvvisamente ritrovatosi sotto le cure di madame Mauresmo, ha sfruttato la buona sorte di un tabellone tutt’altro che impossibile ma non per questo facile da domare. Coric prima, Raonic poi. Fino all’ostacolo Djokovic, che ha rimesso ogni cosa al suo posto. Intanto la Francia, dopo un 2018 per la prima volta davvero povero di soddisfazioni – nessun tennista ha chiuso nei 20 – riparte da un talento ritrovato e dall’unico nome concreto per il futuro a breve termine su cui puntare. Voto 7,5. All’enfant de la Patrie.
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Pouille: "Mauresmo conosce tutto del tennis, avere un coach uomo o donna non cambia nulla"

Danielle Collins. Ha preso a pallate tutte. Ha gridato in faccia a chiunque. Ha dichiarato “spero che qualcuno parli male di me, così posso provargli quanto si sbagli”. Ma soprattutto ha conquistato il cuore del sottoscritto con il sobrio hashtag #youcankissmyyouknowwhat. Signori, Danielle Collins. Dal nulla – o quasi – fino alla semifinale slam imponendo dazi tennistici alle esportartici tedesche Goerges e Kerber, ridicolizzando Caroline Garcia, riuscendo insomma nel classico cammino che da 6 anni ormai vede un’americana a turno esplodere in quel di Melbourne. Da Stephens a Keys, dalla Vandeweghe alla Collins. Se il livello sarà sempre quello visto in queste due settimane, qui c’è una Top10 tranquilla. Chi vi scrive nutre però dei dubbi a riguardo. Ma naturalmente, #sonoprontoabaciareilsuosaicosa. Voto 8. Al veleno.

Le delusioni

Alexander Zverev. Pua pua pua pua puaaaa. La sua è una pagella onomatopeica; è lo storico jingle della risposta sbagliata di chi prova a dare la soluzione, ma non ne azzecca mai una. Ha fallito Alexander Zverev. Ha fallito per la 15esima volta nella sua carriera di predestinato del tennis; uno in grado di mettere in fila già tutti nel due su tre ma di non andare oltre a un quarto di finale (e che quarto di finale... poteva venire a casa già al secondo turno) nel tre su cinque. Questa volta si è preso una ripassata unica da Milos Raonic, che gli ha piantato un doppio 6-1 nei primi due set... Roba che il canadese non riusciva a fare dal secondo turno di Halle 2012 al qualificato cinese Ze Zhang, per farvi capire la portata dell’impresa del tedesco. Avanti così, insomma. Appuntamento a Parigi. Dove magari Zverev arriverà con in tasca qualcosa tra Indian Wells, Miami, Monte Carlo, Madrid o Roma. Giusto per farci ripetere ancora una volta la solita filastrocca: “Oh, e se fosse lo slam di Zverev?”. Voto 4. Alla ridondanza.
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Zverev, che frustrazione! Il tedesco distrugge la racchetta rabbiosamente

Caroline Wozniacki. Non che tornare a casa con Maria Sharapova sia un fallimento, anzi. Però dalla campionessa in carica era lecito aspettarsi qualcosa in più. Se non altro perché a parole la danese aveva più volte confermato come tutti i guai fisici fossero effettivamente sotto controllo. La sensazione è che anche per lei questo possa essere l’anno di seria riflessione sul da farsi, specie se non dovessero entrare i risultati. Già perché l’approccio al torneo dove si presentava da regina, alla prima partita seria, non lascia sperare un granché in sfarzi tennistici. Voto 5. All’attitudine vip.
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Australian Open: Sharapova-Wozniacki 6-4 4-6 6-3, gli highlights

I giovani

Stefanos Tsitsipas. Se non fosse stato per il greco, saremmo qui a ripescare gente che ormai va per i 23, come Medvedev o il redivivo Taylor Fritz (che va per i 22, ma poco cambia). Per fortuna c’è stato Stefanos, che di primavere nella sua vita ne ha contate solo 20 e vivaddio si è spinto fino alla semifinale di uno slam, notizia mica da poco nella gerontocrazia che è il tennis contemporaneo. Che dire di più? Ha battuto Federer, ha infiammato la pirotecnica comunità greca in quel di Melbourne, ha regalato una storia. Poi le ha prese su in malo modo da Nadal, ma quello è successo anche a chi di cognome fa Federer, figuriamoci se non può accadere a uno Tsitsipas. Voto 8. Al prospetto.
Amanda Anisimova. A proposito di prospetti, avete dato un occhio ad Amanda Anisimova? Qui di anni siamo a quota 17, ma provate ad andare a dirlo ad Aryna Sabalenka, che ha passato la sua partita a subire vincenti. Due gambe che non finiscono più, due braccia telescopiche. In due passi copre la linea di fondo, apre un attimo e fa i buchi in terra. La Anisimova pare un esperimento genetico per quanto è potenzialmente perfetta. Se non vince qualcosa di importante nella sua carriera sono pronto a mangiarmi il cappello. Ci metto anche il marchio: #ersentenza. Voto 8. All’esemplare Alfa.

Gli italiani

Lorenzo Musetti. Ha conquistato il cuore del sottoscritto quando sul match point ha provato a cercare l’ace con la seconda. Roba che per delicatezza del momento, con le dovute molle del caso, non vedevo da Ivanisevic-Rafter a Wimbledon 2001 (se non avete mai visto quella finale, vergognatevi). Per il resto utilizzo una frase del collega Riccardo Bisti: “Un sedicenne che gioca come un ventiseienne”. Giustissimo. Poi però c’è da vedere se questo sia un bene o un male... Facciamo così, adesso gli facciamo i complimenti e poi ripassiamo tra 2 anni, quando andrà per i 19. E se non dovesse essere sufficiente, ritorniamo per i 21. In quel momento – e solo in quel momento – saranno accettati i primi giudizi. Nel mentre complimenti al primo junior italiano di sempre a vincere in Australia. E in bocca al lupo. Ne avrà bisogno. Voto 10. Alle belle speranze.
Camila Giorgi. Sì è arresa sì al terzo turno, ma solo alla miglior Pliskova della carriera. Ci pare un bel prendere. Già perché per una volta aveva passato i primi due turni senza tremare, sintomo di una Camila certamente un po’ più matura nel suo vivere le partite. Il suo Australian Open è ‘nato male’, in una parte di tabellone dove sarebbe veramente servito un miracolo dopo l’altro. L’attendiamo nei prossimi slam, sperando – anzi, pretendendo – di continuare a vederla testa di serie. Perché è lì che una così deve stare. Voto 7. Alla consolazione.
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