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Da Senna a Jannik Sinner: intervista a Riccardo Ceccarelli, “l’ingegnere del cervello” dei campioni

Matteo Zorzoli

Aggiornato 16/11/2023 alle 10:07 GMT+1

Intervista a Riccardo Ceccarelli, medico dello sport che da oltre 30 anni allena la mente dei migliori piloti di Formula 1 e dal 2020 fa parte dello staff allargato di Sinner. Un rapporto nato durante la collaborazione con Piatti e continuato sotto la gestione Vagnozzi: “Gira il mondo con una valigetta con i nostri strumenti per l’allenamento mentale. La sua forza? La ricerca dell’essenziale”

Sinner

Credit Foto Eurosport

Il tennis, lo sport del diavolo. Ti stai giocando una finale contro la tua bestia nera, con cui ha perso 6 precedenti su 6, e ti arrivano due palle break da sfruttare sul finire di un primo tesissimo set. La prima scappa via per bravura dell’avversario, la seconda si trasforma in una formalità: un facile smash a rete, comodo, invitante, servito su un piatto d’argento dalla “piovra” dall’altra parte del campo. Out. Game perso, tutto da rifare. Siamo all’ultimo atto della finale di Pechino tra Jannik Sinner e Daniil Medvedev. Dopo aver sbagliato il più facile dei colpi, fresco del nuovo status di n° 4 al mondo, l’altoatesino se la ride per un attimo, guarda il suo angolo quasi divertito, asciugandosi il sudore. L’azzurro non abbassa lo sguardo, si rimette a fondo campo e riprende a macinare punti.
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Può sembrare un dettaglio marginale, ma in quel sorriso genuino, quell’attimo di “leggerezza” e di “presa di coscienza” dopo un grave errore, c’è tutta la crescita del 22enne di Sexten che poi vincerà quella finale, sfatando uno dei più grandi tabù della sua giovane carriera, trionferà anche a Vienna in finale contro lo stesso Medvedev e successivamente incanterà il Pala Alpitour con uno storico successo sul n° 1 del mondo, Novak Djokovic. Dietro i miglioramenti tecnico-tattici c’è un lavoro nascosto, intimo, viscerale sulla mente dell’atleta Jannik Sinner e parte del merito va a Riccardo Ceccarelli, medico dello sport che da 30 anni si occupa della psicologia della crème de la crème della Formula 1 e dirige a Viareggio “Formula Medicine”, centro all’avanguardia per il mental training. Dopo Pechino, lo abbiamo raggiunto telefonicamente a Doha dove stava seguendo direttamente in pista le performance dei piloti nelle libere del Gp del Qatar.

Come è iniziato il suo percorso?

"Da neolaureato ho subito iniziato nella Formula 1. In carriera ho avuto modo di interagire con più di 80 piloti, tanti dei quali hanno scritto le più belle pagine del Motorsport: da Ayrton Senna e Ivan Capelli fino a Max Verstappen e Charles Leclerc. Ho avuto esperienza anche in MotoGp con Marco Melandri, Danilo Petrucci, Casey Stoner e ora in Ducati con Jorge Martin. Ultimamente ho seguito la nazionale di sci canadese che per la prima volta a Courchevel ha vinto 4 medaglie in un Mondiale".
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Ayrton Senna

Credit Foto Getty Images

Come nasce il suo centro, Formula Medicine?

"Da un’esigenza: il focus sulla mente dell’atleta con un approccio multidisciplinare. Purtroppo in certi ambienti ancora oggi si fa tanta confusione e un professionista ricopre più funzioni, magari molto lontane tra loro. Il fisioterapista dà consigli sulla dieta, il preparatore atletico sul controllo della rabbia. Nella nostra struttura, che ha sede a Viareggio, ci sono in servizio permanente tre medici, tre psicologi e tre preparatori atletici, affiancati anche da fisioterapisti, che lavorano in sinergia per migliorare la prestazione psico-fisica degli atleti. Negli ultimi anni abbiamo aggiunto al nostro team due ricercatori che lavorano sui parametri cardiaci e cerebrali e realizzano nuovi hardware e software per studiare ed ottimizzare la performance".
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Riccardo Ceccarelli a Doha

Credit Foto Eurosport

Mi spieghi meglio…

"Lo chiamiamo “Mental Economy Training”: partendo da uno studio realizzato dall’Università di Pisa con due eccellenze della neuroscienza, i professori Pietro Pietrini ed Emiliano Ricciardi, abbiamo capito cosa differenzia un top player da un atleta normale a livello cerebrale. Nel tennis, come nella Formula 1, la performance dipende più dal cervello che dai muscoli: rispondere per tre ore a un centimetro dalla linea, una volta che il corpo è allenato, è soprattutto una questione di testa. Si dice “Mens sana in corpore sano”, ma è vero anche il contrario. Il nostro metodo è il frutto di centinaia di test sotto stress. Alleniamo i nostri atleti a diminuire il carico emotivo davanti all’errore, al rimpianto, al pensiero negativo, alla sconfitta. In soldoni: tendiamo ad eliminare lo spreco di energia mentale".
Sono impegnato a conoscere il mio cervello. Mi interessa capire il 100% di come funziona, soprattutto nelle difficoltà, quando sono stanco o nervoso [Jannik Sinner]

Nel concreto come avviene il vostro lavoro con Jannik?

"Utilizzando un joystick lo facciamo cimentare con i nostri test computerizzati che abbiamo creato ad hoc monitorando le performance ed associandole alle linee del suo consumo cerebrale (attraverso una fascia frontale) e del battito cardiaco. Il nostro allenamento è finalizzato a creare situazioni che permettano di percepire sensazioni come rabbia, sconforto, stanchezza, calma, efficacia. Sarà poi lui ad associarle ai vari momenti vissuti durante le partite. Con Jannik, come con gli altri atleti, lavoriamo molto su quella che noi chiamiamo “self awareness” ovvero lo sviluppo di una profonda conoscenza di se stesso. Inoltre lavoriamo sul concetto e sulla gestione dell’automatismo e della elaborazione cognitiva perché la prima rappresenta l’istinto della giocata, collegata ad una reazione che scatta in pochi centesimi di secondo, la seconda l’elaborazione della tattica di gioco. Solo così impari a conoscere come funziona il tuo cervello, esattamente come ha detto lui dopo il successo a Pechino. In questo aspetto raramente ho visto un ragazzo così determinato e maturo, nonostante l’età. Se questo percorso sta dando dei frutti gran parte del merito è suo perché è disposto a mettersi in discussione per raggiungere i suoi obiettivi. Nel lavoro con Jannik mi affianca la psicologa Alice Ferrisi. Il nostro approccio è molto oggettivo, numerico, siamo come degli “ingegneri”, gli ingegneri del suo cervello. Con un PC e con una piccola valigetta contenente gli strumenti Jannik può eseguire i test a casa o in ogni parte del mondo e noi possiamo analizzare i suoi dati".
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Jannik Sinner insieme a Riccardo Piatti in un allenamento in preparazione degli Internazionali d'Italia 2019, Foto Imago

Credit Foto Imago

Quando nasce il suo rapporto con Sinner?

"Ci chiamò il suo ex coach Riccardo Piatti, mi disse che nella sua Academy a Bordighera c’era un ragazzo interessante che poteva diventare il n° 1 al mondo. Avrebbe voluto farlo lavorare sugli aspetti mentali ma una prima esperienza in questo ambito non aveva dato i frutti sperati. E’ iniziato tutto nel 2020, un paio di mesi prima che vincesse il primo torneo nel circuito professionistico a Sofia. Gli è da subito piaciuto il nostro approccio, era curioso, partecipe, coinvolto. Mi ha colpito la sua riservatezza, la sua dedizione al lavoro. Un 19enne con alle spalle una famiglia di valori. Di base c’era un potenziale enorme. Oltre a sviluppare una maggiore self-awareness abbiamo lavorato tanto sull’immunità agli agenti esterni: clima, condizioni del campo, pubblico, avversario".

E da lì non vi siete più lasciati?

"In effetti siamo rimasti la costante dello staff allargato di Sinner, anche dopo il suo addio con Piatti. Con il nuovo entourage abbiamo sviluppato una splendida sinergia, specialmente con il suo coach Simone Vagnozzi e il preparatore Umberto Ferrara. Simone ha raccolto un’eredità ingombrante, costruendo un piano di lavoro coerente con quanto già ottimamente iniziato da Piatti".
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Jannik Sinner con Simone Vagnozzi e Umberto Ferrara dopo la vittoria a Pechino

Credit Foto Getty Images

Ogni quanto vi vedete?

"Non abbiamo una cadenza fissa, non ci sono vincoli. E’ un legame spontaneo, nato e continuato dietro le quinte. Di base ci vediamo a Montecarlo nell’off-season o nelle pause. Qualche volta l’ho seguito ai tornei, ci confrontiamo anche da remoto quando serve, per messaggio. Jannik è entrato perfettamente nella nostra filosofia e siamo orgogliosi del percorso che stiamo facendo pur non essendo costantemente al suo fianco. E’ importante che l’allenatore mentale non diventi la stampella per chi “zoppica”: se l’atleta ha bisogno di un supporto psicologico ad ogni partita significa che è debole. La personalità forte è quella che ha pochissime persone intorno. Cerca l’essenziale. Come Sinner".

In questi anni ci sono stati momenti in cui ha avuto più bisogno del suo supporto?

"Non ricordo un Jannik negativo che chiede aiuto, neppure dopo il match point sprecato contro Alcaraz agli US Open 2022. Anzi, sono momenti in cui indaga ancora più su se stesso, in cui cerca di migliorare la reazione alla frustrazione che c’è, è umana. Di solito gli servono un paio di giorni per smaltirla. Direi che la sua forza, e lo ripete soprattutto dopo i tornei vinti, è continuare a lavorare e migliorarsi".
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La salute mentale è ancora un tabù nel mondo dello sport?

"Devo essere onesto, sta acquisendo sempre più importanza. Per fortuna, c’è sempre più consapevolezza, ma manca ancora l’offerta giusta dal mondo della psicologia. C’è un approccio più patologico e contingente, “hai un problema va risolto”, più che un percorso costante che accompagna l’atleta nel quotidiano e anche quando tutto va bene. Spesso e volentieri il mental coach rappresenta più una figura di motivatore quando l’atleta è in crisi o insicuro. Tanti atleti in questi casi si rivolgono ai professionisti chiedendo una “formula magica” che li aiuti a superare i problemi. Per noi la strada verso il successo è diversa e non è fatta di scorciatoie. E’ fatta di lavoro costante e continuo dove l’atleta è responsabilizzato ed è almeno al 50% l’artefice del suo miglioramento. Non solo nello sport, ma anche nella vita".
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