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L'imponderabile come un mantra: la ragione per credere a Marco Cecchinato contro Novak Djokovic

Simone Eterno

Aggiornato 05/06/2018 alle 09:20 GMT+2

Sulla carta, nonostante tutto, non c'è partita. I numeri e gli esperti dicono che la corsa di Marco Cecchinato si fermerà ai quarti di finale. Poi, però, c'è il campo e quello che racconta che nulla è impossibile. Dal lento tentativo di riscalata dell'ex n°1 Djokovic agli ultimi 5 mesi da urlo di Marco Cecchinato. Il gap, la fiducia, un torneo giocato a mille e un precedente illustre...

Marco Cecchinato

Credit Foto Getty Images

dall’inviato a Parigi – Avessimo scritto questo titolo un paio di annetti fa, qualcuno avrebbe chiamato la neuro. E non è detto che qualcun altro, ancora oggi, possa pensare di fare la stessa cosa. I bookmakers, da questo punto di vista, sono il miglior termometro possibile. E questi dicono, in sostanza, che anche stavolta non ci sarà storia. Eppure…
La ragione di fondo è forse aver assistito in prima persona, 3 anni fa, alla più incredibile delle anomalie. Serena Williams aveva vinto il primo set e volava spedita verso la finale dello US Open 2015, ultimo atto prima di un Grande Slam di cui si stava già girando il film celebrativo. Poi, Roberta Vinci, quella trama decise di farla a pezzetti, inventandosi quanto ormai risaputo, con un copione riscritto interamente in italiano. Aerei di stato compresi.
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Roberta Vinci celebrates with the crowd after defeating Serena Williams

Credit Foto Reuters

Quella partita ha cambiato irrimediabilmente la storia recente del gioco e di chi si approccia alle analisi. Perché numeri e caratteristiche tecniche raccontato quasi tutto. Dove il quasi è l’imponderabile. Il fuori analisi. L’anomalia che si trasforma in realtà.
La distanza tra quella Serena Williams e quella Roberta Vinci è assai meno abissale di quella tra questo Novak Djokovic e questo Marco Cecchinato.
Sono loro due i soggetti nascosti dietro a questo lungo cappello. Una parentesi lunghissima e sostanzialmente riassumibile in un “perché non dovremmo crederci nuovamente?”.
Due anni è l’arco temporale preso in considerazione. Novak Djokovic vinceva proprio qui a Parigi prima di iniziare un lento declino fatto di appagamento, qualche questione personale, nuove scelte di vita e di tennis, ma la certezza – con il dodicesimo titolo dello slam – di aver chiuso un cerchio. Al tempo stesso, Marco Cecchinato, si vedeva invischiato in una brutta vicenda di scommesse. L’accostamento tra i due nomi avrebbe avuto un senso solo nelle sessioni di allenamento; magari una di quelle che dalla vicina Bordighera portava Marco e il suo staff fino al Monte Carlo Country Club, dove l’azzurro qualche volta era chiamato ad avere l’onore di testare un po’ l’indiscusso n°1 dell’epoca.
Due anni dopo il banco del tennis ha mischiato, come fa da sempre, velocemente le carte. Fagocitandosi in poco più di 600 giorni il prototipo del tennista imbattibile, per renderci una versione fantasma del prodotto; come quella di Indian Wells che lo scorso marzo perdeva al primo turno da Taro Daniel. Un Djokovic spento, svuotato, spaesato. Un Djokovic che senza più stimoli si vedeva costretto tornare, come chiunque davanti all’oblio, alle origini; agli unici che avrebbero potuto capire e resettare il prodotto.
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Novak Djokovic saluta il pubblico di Indian Wells dopo aver perso dal giapponese Taro Daniel, 2018.

Credit Foto Getty Images

E così, mentre Nole si riaffidava in tutta urgenza alle cure di Marian Vajda, Marco Cecchinato, dalla stessa parte del globo ma 17730 km più a sud di Indian Wells, batteva al Challenger di Santiago il signor Carlos Gomez Herrera: numero 365 – in quei giorni – della classifica ATP.
Il primo titolo del 2018 valeva a Marco il nuovo ingresso in Top100, che nell’arco di poco più di un mesetto sarebbe diventato l’inizio di una nuova vita. Il primo match vinto in un torneo Masters 1000; il primo titolo ATP; le prime partite vinte in un torneo dello slam fino al cammino di questi giorni, con la vittoria sul n°11 del mondo David Goffin e i quarti di finale – al primo colpo – del Roland Garros. Traduzione? In 5 mesi Marco Cecchinato costruiva 927 punti; 239 in più rispetto ai 688 conquistati nei precedenti due anni.
Potrebbe già essere questa una delle ragioni per iniziare a crederci. Se non fosse che i numeri, di per sé, come scritto, raccontano il giusto. Quello che ci ha raccontato il campo infatti è assai più importante e dice che ‘l’exploit’ Cecchinato è tutto fuorché figlio della casualità. Anzi, il risultato di una crescita tanto inaspettata quanto evidente, siano questi i colpi di inizio scambio come il servizio e la risposta, quanto l’atteggiamento mentale del giocatore. Cecchinato insomma credere di poter fare partita con tutti. E come è successo con Carreno Busta e David Goffin tra terzo turno e ottavi di finale, succederà anche nei quarti con l’ex alieno Novak Djokovic.
Sì perché se Nole resta comunque l’inevitabile favorito essendo al 40esimo – sì sì, 40 – quarto di finale slam della carriera, la sua piccola fiche Cecchinato la conserva comunque. Certo di ritrovare un giocatore in crescita, ma lontano parente del cannibale che fu; certo di affrontare un avversario motivatissimo dalla ghiotta chance di tornare ai luoghi che lo videro indiscusso protagonista, ma al tempo stesso fin qui mai realmente testato sul serio in questo torneo; certo che in due anni tutto è cambiato e che nel tennis di tanto in tanto l’imponderabile accade. Vinci insegna. Suona quasi come un imperativo. Vedi mai che tra gli appunti di gioco, Marco, si sia segnato anche questo.
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The Coach: Marco Cecchinato e il suo dritto angolato

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